Si è tenuto lo scorso 11 giugno il terzo appuntamento di Around Mobility, il progetto pensato e realizzato da Fondazione Giannino Bassetti e MEET dedicato alla mobilità del futuro. Protagonista della serata, supportata da Repower e Politecnico di Milano, l’italico Jeffrey Schnapp, Chief Visionary Officer di Piaggio Fast Forward e fondatore del metaLab di Harvard.
Se è vero che la mobilità del futuro è uno dei più potenti riconfiguratori sociali del nostro tempo, la capacità di visione è certamente una delle peculiarità più preziose di un umanista digitale come Jeffrey Schnapp. Come ha ricordato Francesco Samorè nel suo intervento di apertura, quello che a noi sembra routinario e immobile, anche il nostro modo di spostarci, in realtà si sta trasformando molto velocemente, basti pensare alla repentina diffusione di monopattini o agli skateboard elettrici, o all’aumento (+14%) della mobilità su rotaie in Lombardia negli ultimi 4 anni (dati Trenord). Siamo immersi in una fase di transizione, in cui il cambiamento porta con sé opportunità e tensioni. Proprio dalla mobilità, da una tassa sulla benzina, è partito ad esempio il conflitto sfociato nel movimento dei Gilet Gialli, così come quello sull’alta velocità in Val di Susa.
Il tema dalla mobilità non appartiene quindi soltanto al dominio della tecnologia, ma anche, se non prima di tutto, a quello delle relazioni tra persone. Non a caso, Jeffrey Schnapp ha introdotto la serata partendo da una serie di spunti storici e filosofici. Facendo una ricerca negli archivi della Piaggio, che custodiscono numerose fonti su una delle più importanti rivoluzioni mobili del secolo scorso, quella della Vespa, il guru ha studiato come lo scooter abbia di fatto catalizzato un nuovo modo di vivere la città, quello degli anni ’50, e ha riscoperto il concetto di “movibilità“. «Una parola anomala – l’ha definita Schnapp – che fa riferimento a una visione che va oltre la mobilità così come l’abbiamo conosciuta nel ‘900. L’automobile non sta scomparendo, ma mentre nel XX secolo ha troneggiato, in futuro non sarà più una regina assoluta, perché oggi c’è una ben più vasta gamma di proposte. Come l’alta velocità, o i veicoli per la micromobilità, che fungono da supporto alla cultura del camminare».
Un atto, quello del camminare, che ci caratterizza come essere umani e che è alla base dell’evoluzione di Homo sapiens. Come l’antropologia fisica ha ormai dimostrato, la postura eretta e l’andatura bipede hanno determinato le nostre caratteristiche anatomiche e cognitive. Non a caso, ha fatto notare Schnapp, la filosofia è in un certo senso nata in simbiosi con il deambulare: i primi filosofi, certamente quelli della scuola peripatetica, “pensavano camminando e camminavano pensando“. E il passeggiare fu al centro della riflessione di Gassendi, che al cogito ergo sum cartesiano contrappose un suggestivo ambulo ergo sum. Come a dire che all’attività primordiale del camminare viene riassegnato un ruolo fondante della condizione umana.
Ma naturalmente, nel corso della storia, l’uomo non ha solo camminato. Ha inventato biciclette, carrozze, veicoli a motore di varia natura, locomotive, moto… All’inizio dello scorso secolo le strade delle città erano una commistione di attori e di azioni e ospitavano pedoni, cavalli, tram e automobili nello stesso spazio, che era in un certo senso uno spazio di movimento libero, di libertà. Schnapp come esempio mostra un vecchio filmato di Marker Street a San Francisco nel 1906. Oggi Market Street è qualcosa di completamente diverso: è un’autostrada in cui i pedoni stanno al margine.
L’utopia della città veloce, la città del futuro, il “tomorrow land” descritto da Norman Bel Geddes, ha profondamente modificato le realtà urbane, nutrendo il sogno di un modello di circolazione veloce senza attrito, ma anche senza una connessione tra i vari luoghi della città: dove si abita, dove si lavora, dove ci si diverte. In questo modello l’automobile trionfa, mentre i pedoni sono relegati a un reame completamente marginale.
Da circa 30 anni la maggior parte delle città in cui viviamo oggi risponde a questo modello. La percentuale di spazio urbano dedicata allo stoccaggio di automobili va dal 10% al 15% e Milano è una testimonianza di questo fenomeno. Il prezzo che paghiamo a causa del nostro appiattimento a questa visione di città va dalla bassa qualità dell’aria alla scarsa attività fisica. Per dirla con le parole del guru «Abbiamo sacrificato sull’altare della “automobilità” gran parte della libera interazione che abbiamo visto, storicamente, nelle città. In una cultura dove si parla tanto di sport, la realtà è che viviamo in città in cui le persone si muovono meno».
La sfida allora è immaginarsi un modello alternativo che sia in grado di superare il dominio tirannico dell’automobile, e andare oltre. Qual è il modello di città che corrisponde di più ai nostri valori di fondo? Come perseguirlo?
Una della risposte date da Piaggo Fast Forward è Gita, un veicolo che si muove intorno ai 10 Km/h, una velocità “umana”, che corrisponde a uno jogging lento. Gita è un veicolo intelligente, trasportatore, che segue il proprio operatore, cioè la persona, il pedone. Per dirla in inglese, è un “following robot” che trasporta corrente elettrica, connettività e oggetti fino a un peso di 20 Kg. L’idea di Schnapp e collaboratori è che questa macchina funga da un supporto a chi sceglie di spostarsi a piedi e che incentivi questo tipo di scelta.
Si tratta di qualcosa di completamente diverso da un altro tipo di veicolo intelligente di cui oggi si discute certamente di più, l’auto a guida autonoma, che secondo il guru presenta però una serie di problemi. Il primo riguarda la nostra visione di fondo di città e i fini verso cui vogliamo tendere, anche a lungo termine: in che tipo di città vogliamo vivere?
“Io sono un amico dei veicoli autonomi – ha spiegato – ma sono anche pragmatico ed è importante sottolineare che la loro intelligenza è quasi eccessiva. Questo è il problema. I codici e le regole del traffico, poco descrivono la realtà. Le auto a guida autonoma sono troppo corrette e questa ipercorrettezza e rigidità può provocare incidenti, come tamponamenti o frenate anomale“. Non perché l’auto non funziona, ma perché l’intelligenza artificiale è diversa dall’intelligenza umana. Il trolley problem è ormai cosa nota ed è altrettanto noto che è una questione particolarmente complessa, perché riguarda un algoritmo che si muove nel mondo degli uomini, della cultura umana. “Una cultura è un miscuglio di gesti, passioni, credenze, conoscenze esplicite e implicite ed elementi di vario tipo non facilmente leggibili alle persone da dentro, figuriamoci a un occhio esterno come l’intelligenza artificiale“. Non vuol dire che non si possa trovare una convergenza, ma secondo Schnapp la compatibilità, ad esempio, tra driverless car e pedoni è molto improbabile.
Certo, in assenza di pedoni ci sarebbero molti meno problemi, ma qual è dunque la visione della società implicita in queste soluzioni? Che “siamo tutti passeggeri, iper-disciplinati per proteggere la sicurezza dei veicoli a guida autonoma“.
L’Approccio di Piaggio Fast Forward è in un certo senso capovolto rispetto a questa concezione. Cerca di creare veicoli intelligenti che si muovono insieme ai pedoni, seguendo le norme e i comportamenti che esse hanno appreso nell’arco della propria vita. Quelle regole che consentono loro di muoversi, ad esempio, senza calpestare i piedi agli altri, rispettando spazi civici e umani.
L’idea che sta dietro a Gita è quella di rafforzare l’autonomia delle persone nel muoversi sulle proprie gambe. Dati alla mano, ha spiegato Schnapp, il fattore che più spesso ci fa optare per la macchina anziché per una passeggiata è la necessità di trasportare qualcosa. “Noi non giriamo il mondo nudi, ma accompagnati da oggetti che sono importanti per le attività che compiamo e per la nostra libertà di fare altre cose mentre ci muoviamo“. Ed ecco che allora Gita, il following robot trasportatore associato ai pedoni, può diventare un importante incentivo a spostarsi a piedi.
Anche perché, sulla base di dati raccolti negli USA, il modo preferito di muoversi degli americani è camminare. “Perché è piacevole, non costa niente, non richiede il parcheggio, è sostenibile ed è più efficiente che non guidare“. Eppure, proprio negli Stati Uniti, solo il 10% delle persone si sposta camminando. I dati evidenziano quindi uno stacco tra desiderio e realtà, che richiede innovazione per rimuovere una serie di ostacoli tra cui, appunto, il “problema” del trasporto di oggetti. Ma ci sono altri vantaggi molto concreti. Camminare è anche una scelta legata alla salute e rafforza le interazioni sociali e i legami di comunità.
“Il marciapiede è un’incarnazione della complessità del mondo umano. Non ospita segnali stradali ed è uno spazio dove ci vogliono comportamenti complessi“. Per questo, Gita è un oggetto intelligente, che intuisce le regole del comportamento umano, con l’obiettivo di rafforzare lo spazio di libertà richiesto da tre macrotrend delle città del futuro:
1) la costruzione di più connessioni tra gli spazi in cui abitiamo, lavoriamo, giochiamo, etc;
2) il techlash, ovvero la rivolta contro cultura dello schermo, legata al desiderio di riconnettersi alle persone, all’ambiente, ai quartieri;
3) il riavvicinamento alla natura (qui intesa anche nella forma dei parchi urbani).
È disponibile il video integrale dell’incontro nel sito di MEET e una raccolta di immagini di tutto il ciclo Around Mobility nel nostro account in Flickr.
Qui sotto alcune immagini della serata con Jeffrey Schnapp:
—————