Nel maggio 2018 è stato pubblicato, in formato cartaceo e digitale, “Scienziati in affanno? Ricerca e Innovazione Responsabili (RRI) in teoria e nelle pratiche” a cura di Alba L’Astorina e Monica Di Fiore per IREA-CNR. Una raccolta di contributi che raccoglie, tra gli altri, quattro riflessioni di Fondazione Giannino Bassetti, a firma di Jonathan Hankins, Anna Pellizzone, Francesco Samorè e Angela Simone.
Anna Pellizzone ha incontrato le curatrici, stabilendo un dialogo che funge non solo da presentazione del volume ma anche da scambio per riflettere sull’RRI come uno dei possibili approcci alla ricerca e all’innovazione.
Anna Pellizzone
In un momento di sfiducia nei saperi esperti, di tagli alla ricerca e di transizione sociale, lo scienziato deve imparare a ri-orientare la propria attività, essere pronto a reinterpretare il proprio ruolo, acquisire nuove competenze e punti di vista. I cittadini giocano un ruolo inedito nel processo di ricerca e innovazione, la torre d’avorio della conoscenza è crollata e il luogo della ricerca e dell’innovazione si è esteso ben oltre il laboratorio. Ma è davvero così? In che modo “Scienziati in affanno” si inserisce in questo contesto?
Alba L’Astorina
Credo che il contributo del volume stia nel tentativo di mettere in connessione i diversi piani che citi nella domanda e che portano oggi il ricercatore a dover ripensare le proprie pratiche e il proprio ruolo nella società. Non si può capire l’appello all’etica, all’inclusività, all’apertura se non si comprende cos’è successo in questi anni nella relazione tra scienza, politica e società. Il rischio è di considerare il tema stesso della responsabilità come un aggravio burocratico e la richiesta di partecipazione della società come l’invasione di un territorio che si considera di propria esclusiva pertinenza.
Da un lato abbiamo un apparato tecno-scientifico che è diventato autoreferenziale, con i suoi criteri di validazione e di valutazione della ricerca, i cui esiti tuttavia travalicano i confini del laboratorio e impattano enormemente nella società – sia in senso positivo sia in senso negativo.
Dall’altro abbiamo una società che chiede sempre di più di essere coinvolta nelle decisioni sulle innovazioni che riguardano ambiti sensibili, come l’ambiente e la salute, o che diventa essa stessa protagonista di processi innovativi, come succede in molte esperienze al di fuori dell’accademia che raccontiamo proprio nel nostro libro.
La politica europea, in questo quadro, cerca di rispondere alle sfide del XXI secolo costruendo uno Spazio Europeo per la Ricerca, che mira a far diventare l’Europa la «più grande, competitiva e dinamica economia mondiale basata sulla conoscenza».
In “Scienziati in affanno?” abbiamo provato a raccontare tutto questo seguendo l’evoluzione dello strumento principe della politica europea della ricerca e dell’innovazione, i cosiddetti Programmi Quadro, che i ricercatori conoscono bene perché sono una delle fonti primarie di finanziamento della loro attività di ricerca. Questi programmi pluriennali non scandiscono solo la visione strategica dell’Unione Europea di volta in volta emergente, le priorità tematiche e le regole per la formulazione di un progetto, ma definiscono anche il tipo di relazione che i ricercatori dovrebbero avere con la società, chiedendo loro di motivare il contesto, gli obiettivi e gli impatti della loro attività e di impegnarsi a comunicarla anche al di fuori del mondo scientifico.
Monica Di Fiore
La tendenza di cui parla Alba ha una sorta di punto apicale nel più recente programma quadro, Horizon2020, dove la collaborazione con la società smette di essere una generica raccomandazione a comunicare di più ma, almeno idealmente, orienta il modo stesso di condurre la ricerca. Parliamo dell’approccio definito di Ricerca e Innovazione Responsabili, noto con il suo acronimo RRI, intorno al quale ruota tutto il volume. La RRI chiede di anticipare i possibili impatti della propria ricerca fin dalla fase di presentazione di una proposta, non limitandosi ad un bilancio rischi/benefici, ma chiarendo come il processo proposto produrrà una innovazione «socialmente desiderabile e accettabile».
Anche io credo che non si possa capire questa richiesta se non si dà spazio a tutta la riflessione sui rischi e i benefici connessi all’innovazione tecno-scientifica, sulla crisi della scienza e delle sue pratiche, sulla crisi di fiducia nelle istituzioni e nella stessa scienza che si è svolta dentro e fuori il mondo accademico, coinvolgendo esperti dentro e fuori la Commissione.
È questo contesto che ha portato all’emergere non solo della RRI ma anche di altri approcci e prospettive, che in alcuni casi dalla RRI prendono le distanze, che sviluppano percorsi originali di lettura della crisi ponendo l’accento sulla privatizzazione sia dei risultati delle ricerche, sia dei suoi stessi processi.
Percorsi che pure avanzano proposte pratiche di “riforma”, come ad esempio quello della scienza post-normale, cui molti autori del volume si ispirano, che vale la pena di esplorare.
Queste comunità condividono parole chiave tipiche della RRI, come la riflessività e l’inclusività, ma le declinano in maniera ancora più radicale, come quando parlano del coinvolgimento di una comunità di pari (extended peer community), o della necessità di “trasparenza” sia nei ruoli che gli scienziati assumono nelle varie sedi decisionali, sia nell’ammissione dell’incertezza della scienza e della presenza di valori e contesti che la influenzano e che non possono essere ignorati.
Anna
Qual è la genesi del libro? Intendo sia in termini dei vostri bisogni/interessi/esperienze di ricercatrici, sia in termini di occasione concreta da cui è nato.
Alba
L’emergere della RRI ha certamente guidato i nostri passi. L’introduzione di un approccio trasversale nell’ultimo Programma Quadro in un certo senso ci è sembrata un’occasione interessante per affrontare il tema della trasformazione in atto nel mondo scientifico e nella stessa società.
La Commissione Europea ha investito tantissimo sulla diffusione di questo approccio, in particolare attraverso il progetto europeo RRITools, che in Italia ha visto in prima linea la Fondazione Cariplo, la stessa che finanzia molti progetti di ricerca, soprattutto in Lombardia. La spinta operativa è nata proprio dal lancio, nel marzo del 2016, dell’RRIToolkit, cioè il portale del progetto RRITools. Mi hanno chiesto di collaborare aprendo le porte dell’Area della ricerca di Milano in cui ci sono istituti con ambiti disciplinari molto diversi e ho accettato volentieri.
Ho apprezzato da subito la unicità di questa collaborazione indirizzata a ricercatrici e ricercatori interessati ad esplorare i possibili significati di un approccio così «performativo, aperto e opaco» come la RRI. Molto spesso nella fase di sottomissione di un progetto piombano sulle spalle dei ricercatori ‘incombenze burocratiche’ e la RRI ha rischiato e rischia tuttora di essere percepito come uno tra i tanti fardelli che gravano sulle spalle dei ricercatori.
Non a caso per il ciclo di incontri che ho organizzato con Irene Tomasoni e in collaborazione con Valentina Amorese della Fondazione Cariplo ho scelto il titolo ‘RRI: sfide e opportunità per il mondo della ricerca‘. Gli interventi nella prima parte del libro seguono proprio la successione degli incontri durante i quali alcuni esperti hanno esplorato ciascuna delle dimensioni chiave della RRI: etica, Open Access, coinvolgimento pubblico, educazione scientifica, governance e genere.
Nell’ideare le Giornate, abbiamo cercato di mettere al centro della nostra iniziativa le ricercatrici e i ricercatori del CNR, ma poi abbiamo avuto adesioni anche da persone che venivano da fuori il CNR, come universitari o altri centri di ricerca e allora la platea si è allargata ed è diventata più eterogenea.
Nel libro, ogni intervento è preceduto da una cloud di parole: sono quelle che i partecipanti alle Giornate del CNR hanno usato durante una breve attività che avviava ogni incontro, in cui chiedevamo di ricostruire il loro immaginario relativo a ciascuna dimensione della RRI: cosa significava per loro parlare di genere? Come avrebbero definito un comportamento etico? Quali erano le loro esperienze nell’ambito di iniziative di educazione scientifica? Cosa significa coinvolgere il pubblico?
Siamo volute partire da quella che Polany chiamerebbe la “conoscenza tacita”, quella esperienza delle cose che si ha ma che non si sa di avere o non si sa esprimere. Abbiamo scoperto che molte di queste dimensioni sono già nella pratica di ricerca, altre invece faticano a penetrare o generano resistenze.
Partire dal lessico prodotto nell’ambito dei laboratori, ci sembrava un modo per chiarire lo spirito della nostra iniziativa, che intendeva stimolare una riflessione sul ruolo di tutti gli attori della scienza e dell’innovazione, ma anche scoprire significati inediti e inesplorati di parole come etica o genere.
Monica
È stato proprio il laboratorio la genesi del volume anche se io ed Alba lo abbiamo compreso successivamente. Io stessa sono stata una delle partecipanti alle Giornate organizzate da Alba. Mi ha colpito la formula che ha scelto, diversa dal tipico seminario. La partecipazione dei ricercatori nello spazio del laboratorio ha messo in evidenza un interesse forte su questi temi e anche un’apertura significativa verso approcci sinergici tra diverse discipline. Di sicuro ha giocato a favore la interdisciplinarietà e la eterogeneità del pubblico, fatto non solo da addetti alla ricerca ma anche di persone che si occupano di comunicazione scientifica o di fund raising.
Nel corso del laboratorio con i partecipanti sono emerse molte riflessioni, dubbi ed anche resistenze sul ruolo e sulle pratiche della scienza nel suo nuovo rapporto con la società. Come conciliare la RRI con i tempi e le pratiche della ricerca? Cosa vuol dire «allineare» i risultati della ricerca ai valori della società? Cosa vuol dire produrre una innovazione «socialmente desiderabile e accettabile»? Cosa e chi deve cambiare: gli individui o le istituzioni? Quali implicazioni nell’apertura alla società? Che peso possono avere, in una consultazione pubblica, il parere di un esperto e quello di un “semplice cittadino”?
Ne è emerso uno stimolante confronto che ci ha spinto a portare queste domande fuori dal contesto del laboratorio e condividerle con altri autori.
Siamo partite da qui per costruire la seconda parte del volume, nell’ottica di raccontare come la responsabilità possa essere declinata nelle pratiche, attraverso il racconto sia di chi opera nel mondo della ricerca, produce innovazione, ma anche di chi è parte della ricerca sul campo. Si tratta di contributi molto diversi per stile, lunghezza, tipo di legame con i temi della RRI, e anche per la formazione degli autori. Alcuni riflettono a partire da esempi pratici di innovazione responsabile, come nel caso del progetto Smart-map che vede protagonista proprio la Fondazione Bassetti, o ci riportano cosa sta succedendo nelle istituzioni, come nella Regione Lombardia o nel rapporto con il mondo produttivo italiano. Altri aprono ad ulteriori articolazioni e significati del lessico della RRI; altri ancora rinviano a scenari critici, sollevando perplessità fino a prendere, in alcuni casi, le distanze dalla RRI. Altri, infine, si collocano al di fuori dell’accademia e non sono direttamente vincolati dal contesto normativo della RRI, a dimostrazione del fatto che il tema della responsabilità non è prerogativa di questo approccio.
C’è in realtà anche una seconda ragione che ci ha spinte a lavorare su questo progetto: abbiamo voluto raccogliere la sfida di parlare in lingua italiana di temi che sono dibattuti molto a livello internazionale, riferendoli in modo esclusivo al contesto italiano.
Alba
Tornando alla domanda riguardo ai nostri bisogni e interessi, prima con Irene Tomasoni, poi anche con Monica, abbiamo pensato al nostro lavoro come ad una sorta di “cavallo di Troia”. Credo che se avessimo organizzato semplicemente degli incontri sulla responsabilità nella ricerca, sull’etica o sulla questione di genere, slegandoli da una pratica di ricerca in cui in qualche modo questi temi devono essere considerati, forse non avremmo avuto tante adesioni. Invece in questo modo, vuoi anche per la presenza della Cariplo, che è una Fondazione i cui bandi di ricerca i ricercatori conoscono bene e a cui sono molto interessati, abbiamo potuto introdurre argomenti non sempre presenti nella loro agenda. Peraltro da anni Fondazione Cariplo chiede di fare piani di comunicazione con attori al di fuori del mondo scientifico molto dettagliati e ragionati, ed è una delle poche istituzioni in Italia che ha raccolto la sfida della RRI. Sapevamo che il nostro “stratagemma” avrebbe creato un po’ di “scompiglio”. Ed infatti ci sono state interessanti discussioni durante le giornate, a riprova del fatto che si tratta di temi che non lasciano indifferenti nessuno.
Ma ci sembrava stimolante creare questo “scompiglio” anche quando abbiamo deciso di pubblicare il libro con Monica. Nei nostri rispettivi contesti di lavoro e di studio – lei si è sempre occupata di innovazione e società, mentre io mi occupo di sperimentare modalità di comunicazione che permettano di migliorare la relazione scienza e società – spesso di questi temi se ne parla in maniera accademica e poco arriva alla platea dei ricercatori. Per dirla con Campelli, ci interessava «ridurre la distanza tra chi fa scienza e chi riflette sui suoi cambiamenti». Secondo l’autore, la distanza è dovuta «alla rinuncia al pensiero filosofico da parte della scienza». In questo contesto, ci è sembrato che un’operazione di “divulgazione” come pubblicare un libro che cerca di andare alle radici stesse del tema della responsabilità, potesse giocare un ruolo importante. Abbiamo potuto in tal modo attivare un dialogo in cui costruire un lessico comune tra ricercatori di varia provenienza che hanno diversità disciplinari ma condividono la matrice sociale, culturale, e profondamente umana, della scienza.
Anna
Il titolo “Scienziati in affanno” è molto evocativo. L’RRI aggrava o allieva l’affanno degli scienziati?
Monica
Mi chiedo: quanto è gravoso essere responsabili nelle attività di ricerca così come la Commissione europea ci chiede di essere? Mi limito a chiedere, ad esempio, quanto sia gravoso rispettare la parità di genere nella ricerca. Quello che voglio dire semplicemente è che tutto questo non dovrebbe essere un affanno. Semmai la domanda, che è un po’ la scommessa di questo volume, è chiedersi cosa è successo e sta succedendo per essere arrivati ad inserire la responsabilità nella propria attività di ricerca ed innovazione tra i requisiti per accedere ai finanziamenti europei. Ma a questa domanda risponde con efficacia la prima parte del volume.
Alba
Sì, è vero, il titolo è evocativo: vuole alludere alla reazione che gli scienziati spesso hanno nei confronti dei cambiamenti che il loro lavoro sta avendo negli ultimi anni e che abbiamo provato a descrivere. Ma ci sono varie ragioni per sentirsi in affanno. Qualcuno pensa che tutto questo non lo riguardi e deve andare su un terreno che non conosce. Nel caso della RRI, l’affanno è proprio quello di doversi confrontare con temi di cui fino ad allora potevi fare a meno di occuparti.
Lavorando e discutendo quotidianamente di questi temi fra ricercatori, ci sembra che molti percepiscano la RRI e le richieste di apertura e inclusività come un fastidioso vincolo cui sottomettere la propria attività, nei confronti del quale sentono di non possedere le competenze né gli strumenti, e di cui forse non condividono neppure le ragioni. Nella pratica quotidiana del mondo scientifico, la comunicazione in genere si rivolge solo alla propria comunità di riferimento, usando regole, canali, modalità e linguaggi che raramente prevedono il dialogo con attori sociali diversi dai propri colleghi.
Ecco, questa ‘evoluzione’ della pratica della ricerca secondo me affanna più di tutto. Chiaro che la relazione tra scienziato e società è una foto mossa, agitata, come è facile immaginare, da resistenze. Siamo dentro un momento di crisi e di transizione in cui, per usare le parole di Gramsci, ‘il vecchio muore e il nuovo ancora non può nascere …”. I due studiosi con cui colloquiamo alla fine del volume, che osservano da tempo questa transizione nella sua complessità, come una crisi parallela della scienza e della democrazia, passano in rassegna le resistenze nel mondo scientifico che usa molti meccanismi per non vedere o non ammettere le proprie responsabilità . Comprendere queste ambiguità è fondamentale.
(Il dialogo continua in una seconda pagina. >>>>VAI>>>>)
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