Lo scorso 3 luglio 2017, Fondazione Giannino Bassetti ha avuto il piacere di ospitare l’incontro “Promesse e responsabilità della Precision Medicine”, un dialogo con Francesco Lescai, Professore di Genomica e Bioinformatica presso l’Università di Aahrus e coordinatore del progetto SMART-map, a cui ha fatto seguito l’intervento di Paola Larghi, Responsabile dell’Ufficio Scientifico della Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica.
(Il testo prosegue sotto il video e la parte con i podcast. In fondo pagina qualche foto dell’evento)
Lo sviluppo tecnologico, la rivoluzione digitale, la diffusione di un approccio sistemico che ha portato alla nascita di nuove discipline – le cosiddette “omics” – come la genomica e la proteomica, e la crescente partecipazione di pazienti a cittadini al processo di diagnosi e cura ha preparato il terreno per un una vera e propria rivoluzione della medicina, che ha la precision medicine tra i suoi principali protagonisti. Non è un caso, infatti, che negli ultimi anni siano molti i Paesi che hanno deciso di investire nello sviluppo di questo settore, primo fra tutti il Regno Unito, che ha messo a punto una strategia nazionale per la precision medicine da 550 milioni di sterline.
Come Angela Simone ha ricordato nella sua introduzione al seminario, la precision medicine è anche un tassello importante della riflessione di Fondazione Giannino Bassetti sull’innovazione responsabile. Protagonista del Progetto SMART-map, insieme alla biologia molecolare alla stampa 3D in biomedicina, la precision medicine è infatti di particolare interesse per chi si occupa di responsabilità dell’innovazione. Per capirne le ragioni, basta ricorrere a qualche esempio, come l’emblematico caso di DeCode Genetics – l’azienda famosa per aver mappato il Dna dei cittadini islandesi e avere utilizzato le informazioni genetiche raccolte anche per scopi commerciali per cui non aveva ricevuto il consenso – o il caso di Wannacry, il virus informatico che ha colpito su scala globale anche diversi ospedali, infiammando il dibattito sulla sicurezza delle banche dati sanitarie.
Privacy e cyber security, quindi, sono al centro della riflessione in termini di responsabilità dell’innovazione. Ma non è tutto: tanto per fare un esempio, anche il tema della citizen science e della raccolta dati bottom-up riguarda direttamente la precision medicine. Sono infatti sempre di più le health apps accessibili ai cittadini che consentono la raccolta e la condivisione di dati sulla salute.
La lecture di Francesco Lescai ha dato molti spunti per una riflessione calata nella realtà di oggi e si è aperta con un esercizio pratico per il pubblico in sala: appoggiando sulla lingua un tampone imbevuto di feniltiocarbammide (PTC) alcune delle persone presenti hanno sentito un forte sapore amaro (gli eterozigoti e gli omozigoti CC), altre no (gli omozigoti GG). Un’evidenza macroscopica in termini di gusto percepito, che dipende da una differenza minima tra le sequenze di DNA di ciascuno individuo. Questo, a dimostrazione che una minima variazione a livello molecolare, può, ad esempio, predisporci di più ad alcune malattie, o impattare enormemente la reazione del nostro corpo a stimoli esterni, tra cui anche la risposta ai farmaci. Non è un caso, ha spiegato Lescai, che molti dei farmaci oggi più venduti siano efficaci solo su una minoranza di pazienti. È il caso di alcune terapie per curare l’asma, la schizofrenia, la depressione o l’eccesso di colesterolo. In altre parole, possiamo dire che fino ad oggi la medicina è stata tutt’altro che precisa e che – per dirla con le parole di Barack Obama – “la promessa della precision medicine è di assegnare il giusto trattamento, nel giusto momento, in ogni momento, alla giusta persona”.
Ma quanto sappiamo del genoma umano? La precision medicine è molto promettente e sta avanzando a passi lunghi e veloci, ma la strada tutt’altro che breve e sgombra di ostacoli e di interrogativi potenti, soprattutto per quanto riguarda la gestione dell’informazione genetica e gli aspetti di governance del settore. Ad oggi, solo una piccola porzione di DNA è associata a qualcosa di positivo o di negativo per la salute umana. Le varianti genetiche che non siamo in grado di associare a una particolare manifestazione sono la maggior parte. E anche quando siamo a conoscenza di una corrispondenza tra una particolare sequenza e una malattia, non sempre siamo in grado di intervenire per migliorare la salute e la vita delle persone. Ecco allora che prende forma una domanda importante: se l’informazione al paziente e al medico interessa per prendere una decisione, per la sua utilità clinica, che cosa fare delle informazioni non immediatamente utilizzabili in ambito sanitario? E come custodirle in modo sicuro? Con che vantaggio per i cittadini?
Perché la ricerca vada avanti è necessario incrociare moltissimi dati: la raccolta e la condivisione delle informazioni è un driver fondamentale per l’avanzamento del settore. Anche se il DNA può stare racchiuso in una cellula, i big data sono ormai un ingrediente essenziale della genomica. Basti pensare che, ha spiegato il Coordinatore di SMART-map, se provassimo a descrivere la dimensione delle informazioni genetiche in gigabyte un solo genoma umano ne occuperebbe 120. La necessità di raccogliere, stoccare, integrare e analizzare le informazioni richiede quindi una capacità computazionale che non è alla portata di tutti gli ospedali o di tutti i centri di ricerca.
Ma le considerazioni da fare sono molte. In primis, dobbiamo ricordarci che questa trasformazione verso la personalizzazione sta avvenendo in un momento in cui la medicina tende verso altre tre “P”: prevenzione, previsione e partecipazione (4P medicine: predictive, preventive, personalized e participate). Questo significa che l’attenzione della medicina si sta progressivamente spostando verso l’individuo sano, impattando tutto il sistema sanitario. Servono, e serviranno sempre di più, nuove competenze tra medici e infermieri, ma anche nuove categorie professionali, ad esempio per quanto riguarda la gestione della privacy e delle banche dati. I cittadini sono al centro di questa trasformazione in modo attivo, producendo dati e scegliendo la destinazione d’uso delle proprie informazioni genetiche.
Pioniera in questa trasformazione è sempre l’Inghilterra, che ha stanziato 20 milioni di sterline per un programma di educazione alla genomica, coinvolgendo 10 Università, 40 centri di training e decine di migliaia di persone ogni mese e dove Wellcome Trust ha avviato uno studio pubblico per indagare l’accettabilità sociale dell’uso dei dati sanitari, il cui risultato ha messo in evidenza che gli inglesi ritengono più accettabile che aziende private accedano ai dati sanitari dei cittadini nel caso in cui questo abbia un’utilità pubblica.
La scala di trasformazione della precision medicine è tutt’altro che banale e coinvolge la società nel suo complesso. Necessita di investimenti e di una strategia nazionale, quando non internazionale, smuove in profondità il tema dei big data e ha implicazioni dirette sulle singole persone, sulla privacy e non può prescindere dalla partecipazione dei cittadini. In Lombardia, come ha testimoniato Paola Larghi, un primo tentativo di public engagement sul tema è stato condotto da Regione da Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica, dove una consultazione pubblica sulla precisione medicine, condotta attraverso il portale Open Innovation – ha portato alla produzione di un documento di posizionamento di Regione Lombardia nel settore.
Il dibattito è stato ulteriormente arricchito dagli interventi dal pubblico: Guido Romeo ha introdotto una riflessione sul ruolo dei GAFA (Google, Amazon, Facebook, Apple) in un contesto in cui gli studi clinici si fanno sempre meno negli ospedali e sempre più attraverso dispositivi medici indossabili; Piero Rivizzigno ha sottolineato l’enorme dimensione della precision medicine in termini di business e l’importanza della formazione della classe medica, al momento assolutamente impreparata ad affrontare questa trasformazione; Gianfelice Rocca ha portato l’attenzione sul tema della proprietà intellettuale, del sistema degli incentivi alla ricerca, portando come esempio quello dei farmaci orfani; e Piero Bassetti ha chiuso gli interventi dal pubblico evidenziando l’importanza di un ragionamento sul potere, sulla classe politica e sulla necessità di individuare i criteri per rendere l’innovazione governata e “digeribile” dalla società.
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