Lectio Magistralis di Piero Bassetti, Presidente di Globus et Locus, per il Dies academicus dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia, 14 marzo 2017.
(In questa pagina: video, podcast, testo, fotografie)
Glocalismo tra presente e futuro
Eccellenze,
Magnifico Rettore,
Autorità,
Chiarissimi Professori,
Signore e Signori,
Amici Studenti
Sono molto grato al Rettore per l’invito e per avermi dato l’opportunità di trattare un tema a me caro in una sede prestigiosa quale quella che oggi ci accoglie.
Penso che questa possibilità mi sia stata data in connessione con l’esperienza ormai quasi ventennale che con “Globus et Locus” abbiamo sviluppato in materia.
Mi fa poi piacere constatare la coincidenza con l’iniziativa che l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha scelto di presentare oggi in occasione del Dies Academicus e cioè l’Osservatorio per il Territorio “Impresa, formazione, internazionalizzazione”. La vostra città e il suo territorio hanno, infatti, delle specificità che ne fanno a mio avviso un potenziale motore primario di quella rinascita nel segno del glocalismo che ora si prospetta quale promettente via d’uscita dalla crisi in cui siamo immersi.
In questa mia riflessione sul glocalismo, partirei dal nome della nostra Associazione. Quando fondandola decidemmo di chiamarla “Globus et Locus”, eravamo consapevoli di fare una forzatura: in latino globus e locus non vogliono dire esattamente ciò che in italiano s’intende oggi per “globo” e per “luogo”. Ci piaceva però la dimensione universale che comunque la lingua latina evoca.
D’altra parte, non a caso, in risposta alla sfida del glocalismo avevamo voluto mettere insieme due sperimentati universalismi. Enti fondatori dell’Associazione furono, infatti, la Camera di Commercio di Milano, Universitas mercatorum, e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Universitas studiorum. Quest’ultima doppiamente tale: perché Università e perché luogo di sapienza ispirato alla fede cattolica, universale sin dal nome. Ciò nella convinzione che stessimo per entrare in un’epoca di grandi trasformazioni in cui entrambe le dimensioni sarebbero state sfidate; come infatti accadde poi, e in modo radicale.
Viviamo la fine di un’epoca, che già diversi grandi pensatori del secolo scorso avevano intravisto e preannunciato. Tra questi, anche per il suo specifico legame con Brescia, mi piace citare il grande filosofo e teologo italo-tedesco Romano Guardini, di cui la Morcelliana è da sempre l’editore italiano. È del 1950 l’uscita de La fine dell’epoca moderna, il saggio in cui Guardini acutamente già delineava il “cambiamento d’epoca” che stiamo ora vivendo.
Mentre dal 1648, dall’epoca della pace di Vestfalia in poi, eravamo stati abituati a ragionare in termini di dimensione nazionale e internazionale, adesso il quadro è del tutto mutato.
Quando muta il rapporto tra tempo e spazio muta la dimensione della “velocità”. Quando muta l’idea di velocità presto o tardi muta anche l’idea di mobilità.
Ed è sulla mobilità che noi costruiamo il nostro sistema di relazioni fra noi e con lo spazio che ci circonda. Tanto più quando si tratta di relazioni informative.
Si pensi al world wide web, www, e al dilagare delle reti sociali o social networks, che nell’arco di poco più di vent’anni hanno radicalmente trasformato le nostre relazioni su scala planetaria. Basti pensare che nel gennaio 2016, su 7 miliardi e 395 milioni di abitanti della terra, risultava che: 3 miliardi e 419 milioni usassero Internet (46%); 3 miliardi e 790 milioni i telefoni mobili (51%); 2 miliardi e 307 milioni fossero presenti sulle reti sociali o social networks (31%).
Alla base della globalizzazione e della glocalizzazione del pianeta non è, quindi, tanto la variazione dello “spazio di riferimento ma la contrazione del tempo e dello spazio nell’esperienza quotidiana dell’uomo”: Questo – che già dieci anni or sono scrivevamo nel nostro Globus et Locus. 10 anni di idee e pratiche – si conferma più che mai oggi. Il mondo è ormai “organizzato su un asse temporale tendente a zero e con lo spazio vissuto quasi fosse un punto”.
È un mondo quindi radicalmente diverso da quello precedente.
“La glocalizzazione, insomma, è un’autentica rivoluzione che fa di una percezione diversa del mondo che ci circonda il fulcro della nostra esperienza” (1). Il nuovo rapporto con il tempo e con lo spazio, l’accesso diretto generalizzato a ogni fonte di informazione e la preminenza delle dimensioni globali hanno già posto sfide drammatiche al sapere, alla convivenza civile e al potere.
Con questa recente e radicale ondata di innovazioni raggiunge un culmine il processo di incivilimento che già Carlo Cattaneo aveva con grande lungimiranza visto e descritto oltre un secolo e mezzo fa. Egli, infatti, osservando l’impatto non solo economico ma anche sociale e culturale dell’ondata di progressi materiali del suo tempo – dalla macchina a vapore alla meccanizzazione dei telai – fu tra i primi a rilevare il ruolo centrale dell’intelligenza creativa nel processo economico; e quindi a comprendere quanto la tecnica e la sua applicazione “intelligente”, ossia l’innovazione, stessero diventando un motore primario della storia.
Alla luce di quanto vediamo accadere oggi, l’affermazione di Cattaneo sull’intelligenza come fattore di sviluppo si conferma, ma apre anche a nuove e inattese sfide. Se infatti, l’innovazione è la capacità di realizzare l’improbabile, oggi promuovere l’innovazione responsabile, che è la “mission” della Fondazione Giannino Bassetti che pure presiedo, diventa una sfida sempre più necessaria ma anche sempre più impegnativa. Associare all’innovazione una responsabilità presuppone infatti una capacità di prevedere proporzionata alla rilevanza delle poste in gioco, il che invece è sempre più difficile.
Come giustamente osserva il vostro concittadino Emanuele Severino, siamo in una situazione in cui la tecnoscienza, ossia la scienza applicata alla tecnica, sfida tanto le prassi dell’agire economico quanto quelle dell’agire politico. È uno scenario caratterizzato da due dimensioni, da due dinamiche: l’innovazione come causa agente e il potere come causa recipiente e storicizzante. Il potere è chiamato cioè a rispondere a tale sfida creando nuove forme di organizzazione e nuove istituzioni.
L’esito di questa somma di innovazioni è una nuova dialettica fra “locale” e “globale” pervasiva come mai prima. Sotto la spinta di nuovi fattori propulsivi, di nuovi drivers, sia il “locale” che il “globale” si trasformano.
Una nuova dialettica segna e condiziona la vita delle persone, delle economie, delle società e delle istituzioni. Indagata dalle scienze sociali, e già pensata in misura crescente anche dalle filosofie, questa dialettica esige di venire saldamente messa o rimessa al servizio dell’uomo; pena, in caso contrario, la caduta in una barbarie, e perciò anche un’epoca di marasma economico, paradossalmente provocate non dal declino bensì dal progresso della scienza e della capacità produttiva.
Globale e locale: dalle radici all’àncora
La globalizzazione ha fatto del globale e del locale due dimensioni che – diversamente da come da sempre eravamo abituati a pensare – non possono più venire considerate distinte l’una dall’altra. In un mondo di mobilità e di connessioni istantanee quasi infinite, tutti i locali partecipano del globale e viceversa. Tramonta così la storica identificazione del locale con le radici e del globale con lo sradicamento. Al suo posto Zygmunt Bauman ha genialmente proposto un’immagine nuova: quella dell’àncora. A differenza infatti del “radicarsi” e dello “sradicarsi” nell’idea di àncora non c’è «niente di irrevocabile e definitivo. Le radici divelte dalla terra si seccano, uccidendo la pianta, mentre al contrario le ancore vengono issate solo per essere gettate di nuovo, e altrettanto facilmente, in posti diversi» (2). Oggi la mobilità consente di spostare l’ancoraggio e spinge a vivere il concetto di locale in modo diverso tanto in sé quanto nei suoi rapporti col globale.
È importante rendersi conto che l’esito di tale sviluppo, ossia la glocalizzazione, non appartiene a un futuro seppure prossimo. Appartiene al presente. Il glocalismo ci ha già trasformato, ha già trasformato la società e il mondo in cui viviamo.
Ma “che cosa è, al fondo, la glocalizzazione?” vi starete chiedendo.
Cominciamo da cosa è la globalizzazione.
Le definizioni possono essere molto varie, ma vale la pena di capirsi partendo da quella più comune. La globalizzazione non è un’idea più o meno condivisibile. È innanzitutto un processo storico: il rapido ed enorme moltiplicarsi ed estendersi delle relazioni umane che ogni persona del nostro tempo può avere durante la propria vita. Relazioni umane che si manifestano a vari livelli: culturale, tecnologico, economico, politico, informativo, e così via. E che nell’organizzazione di queste relazioni provocano mutamenti sempre più rapidi.
Il concetto di glocalizzazione arricchisce e precisa quello più generale di globalizzazione ponendo l’accento sull’influenza biunivoca tra dimensione locale, nella sua declinazione individuale e sociale, e dimensione globale, nella sua dimensione reticolare e olistica. Nel mondo glocalizzato in cui viviamo, problemi e soluzioni di ordine locale vanno a influenzare problemi e soluzioni di ordine globale. Allo stesso modo – il che è spesso più evidente – problemi e prassi globali influenzano la nostra dimensione locale.
Con il suo avvento la glocalizzazione, infatti, non solo ha prodotto nuove categorie concettuali e giuridico-istituzionali – che trascendono l’ordine della pace di Vestfalia – ma ha posto l’esigenza di introdurne di nuove.
La dimensione glocal ormai trascende la dimensione nazionale.
Il campo della sovranità viene disarticolato e sommerso da reti di rapporti funzionali di vario raggio e di varia intensità.
La tradizionale coincidenza tra territorio, popolo, mercato, ordinamento, che caratterizzava lo Stato- nazione entro le sue frontiere rigidamente definite, risulta quindi intaccata e rimescolata.
Sono nati nuovi spazi pubblici transnazionali che richiedono strategie e politiche “glocali”, locali e globali nello stesso tempo.
C’è in tutta questa problematica qualcosa di analogo a ciò che a suo tempo fu la rivoluzione copernicana. Allora, con la definitiva dimostrazione che non la terra ma il sole era al centro del sistema, l’uomo scoprì di avere nell’universo una collocazione differente da quella che aveva sempre creduto fosse la sua. Oggi analogamente l’uomo scopre di esser collocato in una sfera spazio-temporale ben diversa da quella in cui fino ad ora si era percepito.
È a questo presente che occorre dare futuro.
Un compito al quale non possiamo sottrarci.
Adesso si tratta però di andare avanti.
In questo senso saluto con piacere la nascita dell'”Osservatorio per il Territorio: impresa, formazione e internazionalizzazione”, un’iniziativa di evidente ispirazione glocalistica. Con l’Osservatorio l’Università Cattolica si propone infatti di dare impulso e vigore alle sue iniziative di formazione attraverso l’incontro tra un sapere, quello accademico, che è per natura sua di stampo globale; e l’ancoraggio a un territorio – con le sue eccellenze, le sue vocazioni e i suoi saperi – che è per natura sua tipicamente locale.
Glocalismo, infatti, non è solo una nuova parola! È una realtà concreta e promettente da cui vengono domande cui urge dare risposte adeguate.
Sono risposte che per parte sua Globus et Locus ha scelto di dare attraverso vari progetti organicamente collegati tra loro. Accenno in questa sede ai tre principali.
Al livello “global”, nell’intento di creare un ponte fra la riflessione teorica sul glocalismo e la prassi istituzionale e politica ad esso ispirata, Globus et Locus pubblica dal 2013 il Glocalism: Journal of culture, politics and innovation, rivista quadrimestrale di alta riflessione culturale, “peer rewiewed”, interdisciplinare e a libero accesso, che annovera nel suo comitato direttivo alcuni fra i più autorevoli rappresentanti del pensiero glocale (come Amartya Sen, Manuel Castells, Saskia Sassen, ecc.). Uno strumento veramente glocal, che consente al “locus” di Milano di dialogare con tutto il pianeta su temi che vengono proposti e sviluppati da studiosi di ogni parte del mondo. Tanti gli argomenti sviluppati finora: “Local and global democracy”, “Networks and new media”, “On global risks”, “Global cities”, e tanti altri.
Sempre sul piano “global”, con il Progetto Italici, Globus et Locus mira alla scoperta e alla valorizzazione di un fenomeno importante che invece tipicamente sfugge al vecchio mondo ancora legato alla cultura dell’epoca dei trattati di Vestfalia: la realtà di circa 250 milioni di persone, viventi nelle più diverse parti del mondo, che dobbiamo abituarci a chiamare appunto “italici”. Gli italici sono: cittadini italiani in Italia e fuori d’Italia, ma anche e soprattutto discendenti degli italiani, italo-americani, italo-australiani, italo-argentini e così via, italiani di altra nazionalità (svizzeri italiani, sammarinesi, italiani dell’Istria e della Dalmazia), italofoni in genere. Inoltre tutti coloro che – anche senza avere una goccia di sangue italiano né alcuna intenzione di diventare cittadini italiani – hanno abbracciato valori, stili di vita e modelli di quell’Italian way of life diffuso nel mondo, ibridandolo con altre culture. Frutto dell’emigrazione di massa dall’Italia dei secoli XIX e XX, ma anche dell’influsso diretto della cultura e del modo di vivere italiano nel mondo, gli italici sono una world community che può diventare un protagonista della storia globale. In un mondo sempre più glocalizzato e interconnesso, che ha bisogno di nuovi attori e di nuove culture capaci di rispondere alle sfide poste dalla glocalizzazione, noi pensiamo che l’appartenenza italica sia una grande risorsa, innanzitutto, culturale e politica, ma anche di business e di mercato.
Al livello “local” siamo invece impegnati in una riflessione geopolitica sulla nascente regione metropolitana subalpina e sulla necessità di darle opportuna consistenza istituzionale, seppur in forme nuove e originali. Miriamo così a dare evidenza e prospettiva politica a uno sviluppo in atto che finora viene invece trascurato. Nell’epoca della glocalizzazione l’importanza dei crocevia, dei nodi della rete, non viene meno. Chiede però di essere vissuta in modo del tutto nuovo.
Come bene si vede nel caso della regione metropolitana subalpina.
Le metropoli e le regioni storiche vengono ora progressivamente riassorbite da nuove realtà: da nuove regioni metropolitane che si configurano sempre più come plessi di reti e di flussi che vivono nella (e della) mobilità, e che si raccordano attorno a nodi di riferimento, cortocircuiti tra il “globale” delle funzioni e il “locale” delle specificità e dei territori. Il rapporto tra ciò che è globale e ciò che è urbano trova il suo ambito in un tessuto metropolitano che le nuove tecnologie rendono tendenzialmente continuo, senza che ciò implichi una corrispondente concentrazione fisica.
È una nuova prossimità generata da “drivers” funzionali: dalla mobilità ultraveloce alle reti telematiche, dalla nuova logistica alle transazioni finanziarie istantanee.
Da questa nuova prossimità emerge la domanda di una trasformazione sostanziale anche dell’assetto dei poteri territoriali. In ballo non è tanto la città di Milano e la sua espansione, e i problemi che ne deriverebbero. In ballo è la realtà già in atto di una regione metropolitana subalpina che si estende da Torino a Trieste. È la costruzione di un nuovo modo di vivere e convivere in questa nuova città diffusa. Una novità di cui sono segno e simbolo innovazioni tecniche e funzionali come i treni ad alta velocità; e sono tipici sviluppi l’integrazione funzionale tra “utilities” di diversi territori, come nel caso A2A, così come in quello di gruppi bancari come Intesa-SanPaolo.
Per attuare tutte le sue potenzialità la nascente “metropoli multi-localizzata” ha bisogno di istituzioni e di organismi in grado di rappresentare il suo complesso tessuto urbano, i suoi interessi e le sue specifiche risorse economiche e sociali.
Brescia, crocevia e punto di raccordo tra globale e locale
È in questo mutato contesto, regionale e metropolitano, che a una città come Brescia si aprono nuove e promettenti prospettive di sviluppo in una dimensione globale, e non più semplicemente padana. Qui infatti, molto più che altrove, non si stenta a capire quanto, rispetto agli anni ’50-’70 del secolo scorso, sia cambiata la localizzazione del potere.
Brescia è notoriamente in Italia l’unico grande centro economico con un ceto imprenditoriale per lo più di tradizione cattolica. In altre parti dell’Italia “bianca”, benché sia “bianco” il popolo, non lo sono altrettanto la borghesia e quindi il ceto imprenditoriale. Una così forte specificità non può che avere delle sue forti radici; e in tale prospettiva la memoria corre innanzitutto a Giuseppe Tovini [1841-1897], fondatore della Banca di Valle Camonica, a Brescia della Banca San Paolo e a Milano del Banco Ambrosiano.
Mi ha poi sempre positivamente sorpreso il fatto che una città di queste dimensioni, e con un'”immagine” soprattutto legata all’industria pesante, sia nel medesimo tempo sede di diverse case editrici di alta cultura e di importanza nazionale. Non è un paradosso bensì il frutto della grande capacità del mondo cattolico bresciano di fare cultura raccogliendo con tempestività le sfide dei tempi, e dando ad esse risposte originali e non compromissorie.
Tra globale e locale, tra presente e futuro
Su un così denso sfondo culturale, peraltro incardinato in un tessuto economico e sociale tanto forte e vario, bene si situano le tematiche della glocalizzazione di cui abbiamo parlato fin qui, e che sono oggetto del lavoro di Globus et Locus.
Come Giovanni Bazoli ha giustamente sottolineato in una sua recente intervista, “la responsabilità della gravissima crisi che ha colpito il mondo dal 2008 non può essere attribuita alla globalizzazione in sé stessa, bensì al modo in cui essa è stata gestita”. Nella ricerca di un modo per venirne fuori un approccio come quello glocalista può essere di grande aiuto.
Senonché oggi la storia non la fanno più, da soli, né le istituzioni, né i partiti.
D’altra parte non la fanno più nemmeno gli Stati nazionali, che ovunque tendono a frantumarsi sotto la spinta delle “patrie” originarie che avevano assoggettato e sommerso.
Queste a loro volta s’intrecciano con le nuove “patrie” non territoriali frutto della globalizzazione.
La storia la fa l’innovazione, ovvero l’incontro tra le avanguardie del sapere, gli scienziati, i ricercatori, e le avanguardie del potere, ossia le imprese e gli imprenditori aperti ai nuovi orizzonti della globalizzazione.
Se dunque così stanno le cose, se è l’innovazione a fare la storia, oggi la sfida è ricercare, agire, fare politica: è trovare un’ipotesi di senso, tra presente e futuro, che riassuma tutto questo.
Questa è una sfida per noi tutti.
E lo è qui oggi a Brescia.
Senonché per fare questo occorre trovare il coraggio di reinventare. Oggi, infatti, abbiamo una grandissima paura di reinventare, sul piano istituzionale e politico. Mentre viviamo in un mondo guidato dall’innovazione, riteniamo che il nostro compito non possa essere trovato in direzioni nuove di organizzazione del potere.
Secondo me questa è una grandissima sfida.
E lo è per tutti noi, perché ci impone di concepire l’impegno, politico, culturale, formativo, imprenditoriale, come prevalentemente creativo.
Il che vuol dire che dobbiamo costruire il sapere, gli spazi, i soggetti, le finalità da proporre a chi vogliamo mobilitare.
Ecco perché vogliamo farlo anche qui a Brescia.
E farlo nell’ambito di un pensiero e una visione universalista, quale quella che caratterizza un’Università come la Cattolica. Una visione peraltro glocale ante litteram, come tipicamente testimonia – mi piace osservare – la formula della benedizione pontificia solenne urbi et orbi: alla città di Roma e al mondo, al locale e al globale. C’è quindi un promettente spazio di collaborazione tra l’universalismo “laico” e quello cattolico, che sono convinto abbiano oggi particolarmente bisogno l’uno dell’altro.
Guardiamo perciò con grande interesse all’istituzione dell'”Osservatorio per il Territorio: impresa, formazione, internazionalizzazione” che oggi viene inaugurato, certi che potrà diventare un importante interlocutore anche per noi di Globus et Locus.
La glocalizzazione è in atto.
È già un presente.
Siano i nostri giovani, i nostri studenti a raccordarla al nostro futuro!
(Brescia, 14 marzo 2017)
————-
Note:
1. “Globus et Locus. 10 anni di idee e pratiche” , pp. 246-247, Giampiero Casagrande Editore, 2008. (torna al testo)
2. Bauman, Zygmunt, Capitalismo parassitario, Roma-Bari, Laterza, 2009. (torna al testo)
————-
————-