Ovvero: Io, o del robot
La presenza dei robot nel vivere quotidiano è un tema già affrontato in alterne occasioni dalla Fondazione Giannino Bassetti nel corso degli ultimi anni: dagli articoli e interventi radunati sotto la dicitura “Roboetica, l’urgenza di una riflessione” (ad esempio qui e qui) alla divulgazione dei contenuti di workshop internazionali dedicati come quello tenutosi a Tokyo dal titolo programmatico “The mechanization of empathy” (qui), passando per gli editoriali e i commenti di autorevoli scienziati e ricercatori (ad esempio qui e qui).
Con l’occasione si intende proseguire il ragionamento intrapreso negli anni per aggiornare lo stato di fatto di quella riflessione e per intervenire con lucida consapevolezza sui temi della responsabilità che l’innovazione porta sul piano della salute pubblica. A ragione di ciò il contributo di seguito compie la prima di tre riflessioni dedicate alle applicazioni della robotica negli ospedali, negli istituti di ricovero e di riabilitazione. Più nello specifico il presente articolo mira ad analizzare gli sviluppi della riabilitazione robotica e a collocarla all’interno del quadro economico del sistema sanitario nazionale.
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Il professore Giuseppe O. Longo, in un articolo pubblicato su “La scienza in rete” e segnalato all’audience della Fondazione Giannino Bassetti, ha posto nel 2010 alcune interessanti domande , fra queste una in particolare ha catturato la mia attenzione invitandomi a intervenire con una serie di contributi che qui troveranno spazio nel corso dei prossimi mesi. Il quesito in oggetto era il seguente: «Fino a che punto siamo disposti a convivere con i robot, ad affidarci a loro nella vita quotidiana, nell’accudimento e nelle cure?».
Affondando nella stessa direzione di quell’interrogativo dobbiamo ricordare che la presenza dei robot nelle cure comporta tre temi basilari: tecnico, economico (rapporto costi-benefici) e legale (responsabilità). Alla luce di questi aspetti è importante disegnare una strategia di intervento che tenda a coniugare la sostenibilità economica dell’intervento stesso, con il senso dell’innovazione e con l’efficacia del beneficio; tuttavia un istante prima di tutto ciò pare altresì importante addentrarsi nel lessico e nei gangli del mondo robotico per non essere sprovveduti al momento delle scelte (anche politiche) che i decisori sono chiamati a compiere.
Entriamo nel merito. In ambito clinico si è diffuso l’utilizzo di tecnologie robotiche e di dispositivi elettromeccanici per la riabilitazione di pazienti neurologici per recuperare le funzionalità motorie degli arti superiori e inferiori, sostenendo così le terapie fisioterapiche, chirurgiche e farmacologiche. In tale ottica il robot svolge una funzione di assistenza e agisce come facilitatore alla movimentazione, indirizzando il moto – a titolo di esempio – secondo criteri funzionali e sostituendo funzioni motorie che il paziente non ha facoltà di eseguire in autonomia. La ricerca clinica ha dimostrato che le persone con lesioni al sistema nervoso centrale (chi ad esempio ha subìto un ictus) possiedono un rilevante potenziale di recupero se seguono una riabilitazione ripetitiva, frequente, intensa e orientata al recupero funzionale. In tale ottica il robot è utile e cruciale per il recupero motorio, poiché permette al paziente di allenarsi a ripetizione con l’intensità tarata sulle proprie capacità residue. Il robot stimola con movimenti, con intensità programmata, con rinforzo visivo e uditivo, i recettori periferici e propriocettivi ad inviare dalla periferia al centro informazioni che possono migliorare l’attuazione di programmazione centrale di sequenze neuromotorie più corrette. L’intervento di macchine robotiche in questo processo non sostituisce la centralità del paziente, né tantomeno quella del terapista che è invece sostenuto nel somministrare con precisione e ripetibilità la terapia motoria; inoltre il terapista può così acquisire informazioni quantitative sul movimento, può modulare la difficoltà dell’esercizio, et-cetera.
Vi sono robot con caratteristiche specifiche differenti a seconda della funzione riabilitativa che devono assolvere; ciononostante possiamo distinguerli generalmente tra arti superiori e arti inferiori. I primi (arti superiori) puntano a ripristinare le funzionalità più legate alla possibilità di esplorare lo spazio di lavoro delle braccia e parimenti a recuperare l’interazione con l’ambiente manipolando oggetti. Secondo l’ottica progettistica i robot per gli arti superiori si possono classificare attraverso due approcci basilari: end-effector-based ed esoscheletri. In riferimento al primo approccio un esempio di robot end-effector è InMotionARM (in uso presso centri clinici e di ricerca), un braccio meccanico con il quale il paziente interagisce impugnando la manopola; InMotionARM propone un allenamento motorio basato su semplici scenari virtuali a cui è combinato un ritorno aptico di forza, pertanto il paziente che si applica negli esercizi usufruisce sia di un ritorno visivo sia di uno tattile. Secondo tale modalità il robot lavora con la logica assist-as-needed, assistendo il training solo in corrispondenza di errori motori rilevanti per ri-orientare il movimento verso l’obiettivo e di conseguenza stimolare i canali sensori-motori del paziente. L’esito di tale approccio permette al paziente di confrontarsi con esercizi sfidanti, quasi mai noiosi. In riferimento al secondo approccio troviamo i dispositivi ad esoscheletro, concepiti per avvolgere il paziente all’interno della struttura. L’interfaccia con il paziente dovrebbe risultare comoda, ergonomica, stabile e sicura; qui la capacità progettistica deve lavorare per ottenere che il movimento della struttura cinematica sappia essere coerente con quello del braccio del paziente, vincolandone al contempo il meno possibile l’attività spontanea all’interno dello spazio di lavoro dell’arto superiore. Un esempio per questa categoria di dispositivi è ArmeoSpring, un esoscheletro che consente il training di vari distretti dell’arto superiore, sostenendone il peso secondo modalità configurabili, il cui utilizzo è associato ad applicazioni ludiche che offrono un ritorno visivo alla gestualità motoria e propongono livelli di sfida adattabili. Un altro esempio è ArmeoPower, un esoscheletro provvisto di motori, in grado di imporre il movimento anche in assenza di attività spontanea del paziente.
Rimanendo nel distretto degli arti superiori, ma spostandoci per un momento sul versante delle protesi (per chi non possiede più l’arto o parte di esso), la ricerca sta compiendo evoluzioni importanti, basti guardare ai recenti progetti dell’Istituto Italiano di Tecnologia in collaborazione con il Centro Protesi dell’INAIL che conosceranno la loro finalizzazione l’anno venturo (2017). Come è noto le protesi di arto superiore presentano nella progettazione gradi di difficoltà maggiori rispetto a quelle dell’arto inferiori, dovuti al fatto che la mano svolge funzioni non ripetitive, variegate, che esigono gradi di precisione e forza differenziati fra loro. I dispositivi in circolazione rimangono ancora distanti dalla mano umana, pertanto si attende la conclusione di questo progetto che ha come obiettivo quello di mettere a disposizione un dispositivo facilmente utilizzabile, robusto, a costo sostenibile e con un aspetto e con un livello di versatilità paragonabile a quello della mano umana. Parimenti a questo sviluppo IIT e INAIL sono impegnati nell’implementazione di dispositivi e tecniche per il controllo di protesi basato su tecniche di elettromiografia avanzate (EMG), che saranno utilizzati per ottenere un miglior controllo dei dispositivi e per misurare l’attivazione muscolare nel corso degli esercizi riabilitativi.
L’allenamento robotico riabilitativo dell’arto inferiore è invece mirato a ripristinare i pattern più meccanici relativi al camminare e al mantenimento della postura eretta. Al contrario dell’arto superiore le funzioni motorie da riabilitare sono meno complesse a livello neurale, ma l’allenamento è per natura meno modulabile nell’apprendimento e pertanto più difficile da calibrare in modo progressivo. L’approccio seguito dalla maggior parte dei dispositivi è basato su ortesi, generalmente motorizzate, in grado di sostenere il peso del paziente e indirizzarne la deambulazione. Tuttavia negli ultimi anni si sono sviluppati esoscheletri di arti inferiori per favorire la deambulazione di persone con lesioni midollari, sebbene gli esoscheletri attualmente disponibili non rispondano ancora alle effettive esigenze delle persone in termini di facilità d’uso, di indossabilità, di semplicità di controllo e di sforzo fisico.
Altri dispositivi robotici in utilizzo presso centri di riabilitazione o centri di ricerca sono destinati non solo alla riabilitazione, ma anche all’assistenza durante l’esecuzione di gesti funzionali. È il caso di ReWalker, che consiste in un’ortesi leggera, alimentata a batteria, provvista di motori a livello delle anche e del ginocchio. In corrispondenza di lievi spostamenti del centro di gravità, ReWalker attiva il supporto attivo al cammino. Un’inclinazione in avanti della parte superiore del corpo viene rilevata dai sensori del dispositivo, che attiva il primo passo. Il ripetuto avanzamento genera poi una sequenza di passi che imita il naturale gesto funzionale, così facendo ReWalker consente la camminata semi-indipendente.
Gli sviluppi tecnologici nel campo della riabilitazione sin qui descritti cominciano ad essere utilizzati con sempre maggiore frequenza. Le ultime brevi di cronaca, infatti, ci restituiscono un uso aumentato sul Paese Italia: solo nel mese di Marzo l’«Ansa» registra l’introduzione di due nuove macchine robotiche per la riabilitazione pediatrica dei giovani pazienti dell’Ospedale Bambin Gesù di Santa Marinella (provincia di Roma), mentre il quotidiano «Messaggero» spiega le ragioni della Fondazione Don Gnocchi che in otto suoi centri ha introdotto i dispositivi robotici con la medesima finalità tanto che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha visitato il centro Santa Maria della Pace di Roma (31 marzo) proprio per verificarne la qualità. A fronte delle opportunità di beneficio rappresentate da tali evoluzioni tecnologiche vale la pena capire, come suggerito all’inizio, come selezionare le voci di costo da mettere a bilancio, anche perché come afferma sulla «Stampa» (31 marzo) il Professore Francesco Longo, economista sanitario dell’Università Bocconi: «La selezione è già in atto, non solo per i farmaci ma anche per la chirurgia. Nell’efficiente Lombardia abbiamo liste d’attesa di nove mesi perché non ci sono soldi né per i dispositivi chirurgici, né per pagare gli anestesisti».
Il budget sul 2016 destinato al sistema sanitario nazionale è di 111 miliardi di euro, cifre che stando alle recenti rilevazioni della Corte dei Conti e dell’AIFA non sono più sufficienti (sul 2015 è stato, infatti, stimato un passivo di ca. 1 miliardo di euro). Pertanto, se le evoluzioni della robotica nell’ambito della riabilitazione stanno raggiungendo vette inaudite, perché possano diventare innovazione nella vita di tutti i cittadini occorre trovare il punto di equilibrio nel modello economico sanitario che oggi non è più adeguato. Le soluzioni a disposizione – diverse e ciascuna non di facile attuazione nel breve periodo – richiedono un metodo di scelta differente: occorre, infatti, parametrare la sostenibilità economica nel medio-lungo periodo, individuare la rilevanza su distinti target di popolazione e rispondere di quella visione nella logica complessiva di un sistema sanitario nazionale in cerca d’autore
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(Immagine: fotogramma dal video “Star Wars revisited FABLE – the Open BioMedical Initiative prosthetic hand“)
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