La reinvenzione del cibo. Culture del gusto fra tradizione e globalizzazione ai piedi delle Alpi di Cristina Grasseni, Verona, Qui Edit, 2007
Da quando l’innovazione tecnologica in campo agro-alimentare ha cominciato a rivoluzionare le abitudine alimentari, è fiorito un interesse interdisciplinare – che coinvolge l’etica, la sociologia, la politologia, etc. – sul tema del cibo.
Da sempre il cibo rappresenta tradizione, cultura, ma con il tempo è diventato anche lo strumento per esprimere le proprie scelte morali, politiche, religiose ed anche etiche ( si pensi alla protezione di certe categorie di animali…).
L’ingresso dell’innovazione tecnologica ha indubbiamente modificato le tecniche di produzione e di lavorazione dei prodotti alimentari, producendo, da un lato, migliorie nell’ambito della sicurezza e dell’igiene, dall’altro provocando una perdita di storia e di “sapere locale”. In questo senso, il cibo diventa il luogo d’incontro e di scontro tra storia, modernità, scienza e società, in un mercato che chiede sempre più prodotti riconoscibili e ripetibili sia nella forma che nei sapori. Ovviamente questo ha provocato delle ripercussioni anche nell’ambito normativo con la nascita di nuove forme giuridiche di tutela come le D.O.P e I.G.P .
Nell’ambito di questa valutazione, il saggio “La reinvenzione del cibo” di Cristina Grasseni, ripercorre le vicende recenti di alcuni formaggi d’alpe, come esempio della “reinvenzione della tradizione” a fronte dell’innovazione tecnologica, svolgendo un’analisi etnografica sull’interazione e la conflittualità delle nuove tecniche tecnologiche e la cultura delle tradizioni locali.
In questo saggio, l’autrice indaga l’evoluzione culturale del cibo e del significato ad esso attribuitogli non solo dalle piccole e grandi comunità, ma anche dall’economia e dalla politica. Il cibo, in particolare il formaggio, diventa un ottimo pretesto per scrutare con un occhio attento la trasformazione dei “saperi esperti”, dell’economia e l’incidenza dell’innovazione tecnologica su quest’ultima. Il processo di trasformazione di un “cibo semplice” come il formaggio, in commodity, rappresenta la “perfetta occasione per un’analisi critica del cambiamento di una produzione artigianale di fronte alle richieste di un mercato internazionale”. Infatti, “la sfida è mantenere la propria diversità pur essendo sufficientemente standard da essere commercializzabili”.
Cristina Grasseni è docente di Antropologia Culturale presso l’Università degli Studi di Bergamo. Ha condotto i suoi studi in antropologia, storia della scienza e filosofia a Manchester, Cambridge e Pavia. Da sempre si occupa di temi quali l’epistemologia, l’etnografia dei sistemi locali europei e l’antropologia della scienza e della tecnica.
Consapevole delle strategie produttive, comunicative ed amministrative con le quali si riscoprono i prodotti e le ricette tradizionali come risorse per lo sviluppo locale, sottolinea l’invadenza degli interessi economici e politico-territoriali sulle tecniche di produzione tradizionali, sulla cura degli animali e del territorio, ma anche sulla conservazione delle culture locali ed orali.
Questo lavoro intende contribuire una riflessione doverosa sul processo culturale- sociale che sta alla base di inquietanti ed evocativi concetti, come la globalizzazione, la standardizzazione da un lato, la tipicità, la riscoperta della tradizione dall’altro, per meglio comprenderli. Bella è la prospettiva di decodificazione di certe espressioni, come globalizzazione, standardizzazione, che si sono, ormai, impossessate del nostro linguaggio come passe-partout.
L’ambizione di spiegare i sopra citati concetti senza riferimenti astratti, ben si realizza indagando le reali motivazioni economico, sociali, culturali, che hanno contribuito ad una vera e propria “reinvenzione del cibo”, passando attraverso la tipicità. In sostanza, Grasseni fa comprendere che la tipicità e la re-invenzione sono processi di reazione non alla globalizzazione, ma alla industrializzazione dei processi di produzione e di lavorazione delle materie prime. E’ l’industrializzazione delle tecniche di produzione e lavorazione che ha provocato una omogeneità dei sapori e una conseguente perdita di “saperi” e tradizioni. Invece, con il processo opposto di tipizzazione del cibo c’è una riscoperta dei gusti e della tradizione. In tal senso si parla di re-invenzione del cibo, sottolineando la “direzione di ritorno” alla tradizione, custodendo, così facendo, il “valore aggiunto della diversità”. In definitiva, più che mai tipicità e re-invenzione come riscoperta della diversità, opposta alla standardizzazione del gusto e della cultura.
Finalmente, in questo lavoro, il tipico e il globale sono stati decifrati criticamente attraverso la lente d’ingrandimento dell’antropologia, comprendendo e facendo comprendere che non si tratta solamente di fenomeni economici.
Nicole Lozzi