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Nel tempo lungo della pandemia, decisioni cariche di un sapere specialistico, in particolare biomedico, hanno vista riconosciuta un’autorità epistemica senza precedenti. Fin dal febbraio 2020 scelte doverose e drastiche sono passate dal legittimo processo politico, pur declinato nelle misure emergenziali e nella decretazione del presidente del consiglio. Certamente però i saperi esperti hanno esercitato forte influenza.
Gli esperti come attori pubblici non sono ovviamente una novità nel panorama politico contemporaneo. Ma forse in passato si è più spesso trattato di economisti e sociologi, detentori di saperi più generali. Oggi consultiamo un sapere specialistico meno abituato alla interazione con gli altri saperi e poteri che popolano società complesse e pluralistiche come la nostra.
Ascoltiamo cosa ne pensano (vedi video o ascolta il podcast):
Maurizio Ferrera, docente di scienza politica alla Statale e editorialista del Corriere della Sera
Francesco Guala, filosofo dell’economia e della scienza alla Statale di Milano
Eleonora Montuschi insegna logica e filosofia della Scienza a Ca’ Foscari di Venezia
Roberta Sala, docente di filosofia politica all’università Vita Salute San Raffaele
Il primo giro di opinioni è aperto da Maurizio Ferrera. Una sfida sanitaria e di salute pubblica, una sociale ed economica hanno messo in rilievo l’interdipendenza profonda, in tutto il pianeta, tra livello biologico (il virus e il salto di specie), economico e tecnologico. La globalizzazione ha creato catene di valore troppo lunghe che rischiano, anche con piccole interruzioni, di privare alcuni paesi di beni primari. Costi e benefici distribuiti in maniera ineguale sembrano essere, una volta di più, caratteri del nostro tempo (NdR: in questo mese di luglio 2021, anche il Fondo monetario internazionale mette in guardia sulla lentezza della diffusione vaccinale, che potrebbe permettere al virus di mutare ulteriormente. Ne abbiamo parlato durante l’incontro “Vaccini globali” del 21 aprile 2021, con Antonella Fioravanti e Vittorio Emanuele Parsi). In un’economia globale interdipendente, il limitato accesso alle cure e ai vaccini nelle economie in via di sviluppo minaccia anche la ripresa globale. Troppe fratture, vecchie e nuove, attraversano un mondo a più velocità.
Entriamo oggi nel conflitto eco-sociale, che riguarda la distribuzione di costi e benefici di questa transizione. Ferrera vede tre rischi politici: quello che attiene alla tensione tra saperi esperti e decisori pubblici (e rientrano in gioco gli scienziati sociali, anche perché nei prossimi anni i piani di Recovery coinvolgeranno fortemente le tecnocrazie europee), il cui centro è la definizione delle sfere di lavoro. Ciò implica il rischio della comunicazione, con le sue tentazioni e limiti (NdR: ne abbiamo parlato il 28 gennaio nel dialogo “Ai tempi del vaccino: responsabilità e comunicazione”). La pandemia ha fornito nuovo carburante alle tematiche di mobilitazione cognitiva dei cittadini. Se da un lato il pubblico è più informato, dall’altro, anche tramite i social media, si sono creati varchi per la fabbrica delle post-verità. La politica deve ripararsi dalla pioggia di falsità ma anche dalla propria progressiva incapacità di guida normativa. Identificare le weberiane “cause”, le visioni, è uno degli obiettivi della funzione politica, per consentire ai cittadini di porre un ordine alla complessità dei problemi e dare un senso al cambiamento, soprattutto quando esso è molto rapido. I saperi esperti possono avere un ruolo di complemento, ma la sintesi generale è sempre politica.
In ultima analisi, questa non può contare che su se stessa, come il Barone di Munchausen che cercava di sollevarsi dal suolo tirandosi per il cappello.
Per Francesco Guala la visione degli esperti come produttori di input che chiedono di essere vagliati ed elaborati dal corpo politico richiede una chiosa: la pandemia ha infatti evidenziato l’esigenza che questi input siano plurali e vari. Durante l’ultimo anno e mezzo chi abbia osservato in modo critico gli eventi si è facilmente confrontato col tema del Nudge, la “spinta gentile” che induce comportamenti virtuosi – come indossare la mascherina in contesti sociali – senza necessariamente dover ricorrere alle prescrizioni e norme. Sia nella regolazione dei comportamento dei cittadini, sia nelle decisioni istituzionali, non possiamo dimenticare la dimensione del conflitto, che fa parte della politica. Gli interessi non sono allineati in partenza e il compromesso è parte del processo sociale.
Eleonora Montuschi si sofferma sul modo in cui la scienza raggiunge la politica. L’opinione scientifica non è “informazione”, bensì implica il giudizio, un giudizio complesso. Non scienziati schierati ma individui competenti sensibili alla destinazione del sapere di cui sono portatori. Per i decisori politici, la dimensione collaborativa e deliberativa è fondamentale nel gioco delle competenze. Il pubblico è altrettanto cruciale. Esso riceve indirettamente il contenuto della scienza: in parte dalla comunicazione scientifica, in parte dalle istituzioni e dalla governance, che deve essere credibile e responsabile. La fiducia nella scienza è quindi “in seconda battuta” e gli strumenti di controllo delle fonti assumono ancor maggiore rilievo. Tanti di questi indicatori sono a disposizione del cittadino, ma mancano incentivi a usarli; mancano cioè incentivi alla costruzione di una cultura scientifica. La partecipazione non è solamente un diritto, bensì una pratica che si costruisce insieme nella società.
Roberta Sala si domanda (con Anna Harendt) “cosa è andato storto?” Se parliamo di voltar pagina, pensiamo all’obbligo vaccinale: è indicativo di una misura di ragionevolezza, proprio perché alla eventuale imposizione si domanda di contrastare uno spazio di irragionevolezza. Certo, quando la norma interviene sulla società può significare che la politica non ha fatto fino in fondo il suo lavoro: per esempio, non spiegando quanto la salute pubblica sia un bene pubblico. Allora è da ripensare il patto sociale. Tornando agli esperti, quale tipo di fiducia gli abbiamo accordato? E quale dimensione valoriale incorporano le nostre scelte, anche in un contesto tecnocratico? Fiducia non significa fideismo (lo scienziato Oracolo), e ragionevolezza non significa scetticismo.
“Visione”, conclude Roberta Sala riprendendo Ferrera, è anche capacità di superare le secche dicotomie, con ragionevolezza.
dialogo via piattaforma Zoom, 17 giugno 2021.
Per una visione completa del dibattito è possibile guardare qui sotto il video o ascoltare il podcast. In fondo alla pagina qualche screenshot dell’incontro.
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