Si è tenuto online lo scorso 28 gennaio 2021 il secondo dialogo FGB dedicato al tema dei vaccini, dal titolo “Ai tempi del vaccino. Dialogo su responsabilità e comunicazione”.
Il ciclo di incontri, che ha preso forma a partire dallo stimolo di Andrea Lavazza – filosofo del Centro Universitario Internazionale di Arezzo e amico di Fondazione Giannino Bassetti – nasce dalla consapevolezza che i vaccini e le campagne vaccinali non sono una mera questione tecnica. Essi, infatti, comportano decisioni complesse, da prendere a volte in corsa, come nel caso di un’emergenza sanitaria.
In questa pagina rendiamo disponibile la registrazione dell’incontro, una sintesi a cura di Anna Pellizzone, il podcast e qualche screenshot.
All’incontro, svoltosi online in piattaforma Zoom, hanno partecipato Barbara Saracino (sociologa e coordinatrice dell’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società, Observa Science in Society), Giancarlo Sturloni (comunicatore della scienza ed esperto di comunicazione del rischio), Angela Simone (comunicatrice della scienza ed esperta di public engagement, Fondazione Giannino Bassetti), Andrea Lavazza (filosofo, Centro Universitario Internazionale Arezzo), Paola Mosconi (Istituto Mario Negri), Pietro Perconti (filosofo, Università di Messina), Francesco Samorè (Fondazione Giannino Bassetti). Ha moderato Roberta Villa (giornalista scientifica ed esperta di comunicazione della salute e dei vaccini).
In un primo intervento di raccordo con la puntata precedente “Vaccini COVID-19, quali scelte?“, Pietro Perconti ha ripercorso i principali temi emersi durante lo scorso incontro, che si era concentrato sulle strategie percorribili per una campagna di vaccinazione efficace (su questo si veda anche il citato report dell’ECDC “COVID-19 vaccination and prioritisation strategies in the EU/EEA“).
Il governo di questioni complesse, come certamente è quella pandemica, richiede risposte complesse che hanno bisogno di fondarsi su un dialogo tra i saperi e le tante voci che emergono dalla società, a partire dai cittadini. Uno dei nodi chiave davanti a cui la pandemia ci ha messi di fronte con evidenza è il fatto che tutti ci portiamo sulle spalle un qualche grado di responsabilità.
Cosa pensano dunque i cittadini della gestione della pandemia, quali sono le fonti che prediligono per informarsi, quali i soggetti in cui hanno più fiducia e che percezione hanno del rischio e della vaccinazione anti COVID-19? E soprattutto: quali strumenti possiamo adottare per una gestione il più possibile responsabile ed efficace dell’emergenza sanitaria?
Per rispondere a queste domande, l’incontro è partito da una prima, ancora inedita, restituzione da parte di Barbara Saracino in merito ai risultati del sondaggio di Observa, Osservatorio Scienza, Tecnologia e Società, di cui la sociologa è coordinatrice, che dal 2003 rileva gli orientamenti su scienza e tecnologia degli italiani con un’indagine campionaria che viene annualmente condotta tra marzo e aprile. Nel 2020, al questionario annuale sono state aggiunte alcune domande sulla percezione che gli italiani hanno del vaccino anti COVID-19 e dell’informazione sulla pandemia più in generale, con rilevazioni a marzo 2020, aprile 2020, ottobre 2020 e gennaio 2021.
Rispetto alle fonti di informazione, la ricerca ha evidenziato che i notiziari televisivi e radiofonici, seguiti dai canali istituzionali, sono i principali strumenti utilizzati dagli italiani per informarsi sulla pandemia. Altro dato interessante è l’aumento nel tempo delle persone che non si stanno informando, a conferma della covid fatigue registrata a livello internazionale dagli esperti. Venendo al livello di fiducia nei confronti delle fonti di informazione sul COVID-19, il dato più positivo si registra per le istituzioni, seguite dei medici di base, per cui si assiste a un incremento della fiducia contestualmente all’avvio della campagna vaccinale. Da questo punto di vista, web e social media sono invece all’ultimo posto.
Quando interrogati su un generale giudizio dell’operato di una serie di soggetti coinvolti nella gestione dell’emergenza, si assiste a un picco di consenso per le istituzioni nelle rilevazioni di aprile 2020, coerentemente al fenomeno noto come “round the flag“, che consiste in un aumento del consenso popolare per i governi nei momenti di crisi. Significativamente, nei vari rilevamenti, si registra una crescita costante della fiducia dei cittadini italiani nei confronti dell’Unione Europea.
In decrescita invece la fiducia negli scienziati, tradizionalmente piuttosto alta tra i cittadini italiani. Dall’indagine dell’Osservatorio, grazie all’introduzione di una domanda specifica su questo a partire dalla seconda rilevazione, è emerso che questo decremento è attribuibile al fatto che gli esperti hanno dato pareri spesso contrastanti tra loro. Le difficoltà sul piano comunicativo sembrano quindi essere alla base della diminuzione di fiducia nei confronti degli scienziati, fiducia che invece in altri Paesi risulta in crescita (per esempio in Svezia, dove le rilevazioni di uno studio simile a quello di Observa sono comparabili a quelle italiane). La sfida, come emerso successivamente nel corso dibattito, è proprio quella di imparare a comunicare l’incertezza e di superare una visione monolitica della scienza, che è fatta anche di discussione. Quello che è fondamentale, è imparare a comunicare in modo trasparente, innanzitutto chiarendo dove finisce il parere della comunità scientifica e dove cominciano le opinioni personali. Il tutto in un mondo in cui le conoscenze evolvono molto rapidamente. Come ha riportato Roberta Villa, citando Andrea Crisanti, “la trasparenza è la misura del rispetto che si nutre nei confronti degli altri e genera un bene prezioso, la fiducia“.
Complessivamente, nelle varie rilevazioni si registra un decremento della percentuale di negazionisti secondo cui la pandemia sarebbe un'”invenzione totale per giustificare scelte politiche ed economiche“, che passa dal 6% di ottobre 2020 al 3% di gennaio 2021.
Allo stesso tempo, aumenta la percentuale di persone che si vaccinerebbe immediatamente contro il COVID-19, che passa dal 36% di ottobre 2020 al 59% di gennaio 2021, mentre diminuisce sia la percentuale di coloro che non si farebbero vaccinare (rispettivamente dal 21% al 14%) e di coloro che avevano risposto che si sarebbero fatti vaccinare “ma non subito” (da 37% al 24%).
Chi tra i partecipanti al sondaggio è disposto a vaccinarsi subito lo è per “fiducia nella scienza” o “perché i benefici superano i rischi“. Chi è disposto a farlo, ma non subito, motiva la propria risposta prevalentemente con il fatto che ritiene non ci siano “dati sufficienti su sicurezza ed efficacia” o “perché i vaccini sono stati sviluppati troppo in fretta“. Quest’ultima risposta è anche la principale motivazione (44%) riportata da chi si dichiara contrario al vaccino, seguita (20%) da quella che fa riferimento a notizie preoccupanti sui vaccini.
Ed è proprio sulla comunicazione, a partire da quella istituzionale, che si è concentrata la riflessione di Giancarlo Sturloni, comunicatore scientifico ed esperto di comunicazione del rischio. Una riflessione, ci ha tenuto a specificare Sturloni, non basata su studi scientifici, ma sul confronto tra ciò che ha osservato in Italia nei 12 mesi di pandemia e i principi della comunicazione del rischio e dell’emergenza riconosciuti a livello internazionale. Di fronte all’evento epocale della pandemia, le principali lacune che hanno determinato l’inadeguatezza della comunicazione delle istituzioni riguardano l’assenza di pianificazione, coerenza e pervasività.
Come sappiamo, nonostante alcuni campanelli di allarme rispetto al rischio di insorgenza di una pandemia, non avevamo un piano pandemico e di conseguenza nemmeno un piano di comunicazione della pandemia. Questo ci ha portati ad essere perennemente in ritardo, a inseguire il virus, con costi enormi, prima di tutto in termini di vite perse. Per quanto riguarda la mancanza di coerenza, come evidenziato anche nel sondaggio di Observa dai cittadini stessi, a giocare un ruolo importante sono stati gli esperti, che non sono riusciti ad essere una guida nell’incertezza e che hanno anzi contribuito ad alimentare l’infodemia. Sebbene pochi dal punto di vista numerico, alcuni scienziati con grande visibilità hanno, sia a inizio pandemia, sia nell’estate del 2020, contribuito a creare confusione, “facendo un favore al virus“. La responsabilità è naturalmente degli esperti che hanno fatto disinformazione; ma anche dei media e dei giornalisti, che hanno abdicato al loro ruolo di intermediari, così come delle istituzioni, che non sono riuscite ad occupare la scena lasciando ad altri spazio per colmare quel vuoto, per esempio anche a causa di siti web non fruibili. Come ha raccontato Roberta Villa, la necessità di un sito aggregatore di tutte le informazioni era stata la prima indicazione della task force anti fake news istituita dal Governo proprio per far fronte alla pandemia, ma purtroppo non ha dato gli esiti sperati. L’arena mediatica non è stata presidiata e questo ha portato a una maggiore cacofonia e dispersione delle informazioni.
La scarsa pianificazione si è manifestata anche in un altro momento cruciale: l’avvio di una massiccia campagna di vaccinazione, che non è stata accompagnata da una altrettanto massiccia campagna di comunicazione. A mancare, oltre all’organizzazione, è stata una narrazione coerente in grado di accompagnare i cittadini attorno a dei messaggi chiariti fin dal principio, con obiettivi chiari prefissati. “Il problema non è se il logo o il video di Tornatore sono belli o brutti“, ha spiegato Sturloni, “il problema è che non si capisce cosa si vuole dire“. Manca il messaggio.
La soluzione? Investire in comunicazione, cosa che al momento non avviene perché non c’è comprensione del fatto che una attenta e pervasiva informazione è uno strumento per salvare vite, durante una pandemia più che mai. Di più: nei primi mesi dell’emergenza, la comunicazione era l’unico strumento che avevamo per salvare vite. E continua ad essere fondamentale, perché per esempio le persone che rispetto al vaccino hanno dei dubbi vanno prese sul serio. Le perplessità vanno affrontate attraverso una comunicazione istituzionale strategica, sostenuta da comunicatori esperti. “Se non investiamo su questo, sicuramente un problema lo avremo“.
I cittadini, oltre ad essere i destinatari della comunicazione, possono avere un ruolo attivo nel disegnare la governance di temi complessi, come sicuramente è un’emergenza sanitaria. Le risposte dei decisori, a partire dalle soluzioni tecnico-scientifiche – ha spiegato nel suo intervento Angela Simone, comunicatrice della scienza ed esperta di public engagement per Fondazione Giannino Bassetti – hanno degli impatti sulla società e l’ingaggio della popolazione è fondamentale per tenere insieme tutti i livelli di complessità che si aprono per esempio con l’introduzione di una app di tracciamento, di un vaccino, ma anche di un lock-down per limitare i contagi.
Le decisioni che sono dietro all’adozione dei ritrovati tecnologici che ci aiutino nella gestione dell’emergenza hanno un’influenza enorme sulla vita delle persone e proprio per questo è importante che i cittadini, che sono poi anche gli utilizzatori finali, partecipino a tali scelte.
Come descritto nella recente Flash Research su Scienza e Decisione Pubbliche di Fondazione Bassetti, da ormai diversi decenni esistono delle metodologie strutturate in cui gruppi rappresentativi di cittadini possono portare le proprie opinioni e contribuire a disegnare la governance di scienza e tecnologia. Per esempio, anche durante il lock-down, quindi in piena emergenza da COVID-19, nel Regno Unito sono stati condotti degli esercizi deliberativi rispetto all’introduzione delle app di tracciamento.
Anche sul vaccino, chiaramente a partire dalle evidenze su sicurezza ed efficacia forniti dalla comunità scientifica, sarebbe utile coinvolgere la popolazione. A chi dare la priorità? Che scelte operare in caso di carenza di dosi? Il contributo che può arrivare dai cittadini è cruciale perché da un lato contribuisce a problematizzare e a rendere più efficaci le risposte di governance, dall’altro – se il processo partecipativo è trasparente – incide positivamente sul rapporto di fiducia con le istituzioni, con per esempio degli esiti positivi in termini di adesione alla vaccinazione.
È quello che sta accadendo in Francia, dove sulla campagna vaccinale è stata attivata una citizen assembly a partire da gennaio 2021, che sta avendo un ruolo di accompagnamento alla campagna stessa.
Anche la certificazione vaccinale e l’obbligatorietà del vaccino potrebbero essere oggetto di discussione per prendere decisioni condivise, informate e strutturate. In Italia non c’è una cultura deliberativa forte, ma qualcosa si sta muovendo e questi approcci potrebbero essere una chiave per passare dall’approccio paternalistico nei confronti dei cittadini di cui tanto si è parlato in questi mesi verso scenari più trasparenti e democratici.
Un caso molto interessante nell’ambito della partecipazione dei cittadini è stato riportato da Andrea Lavazza, filosofo del Centro Universitario Internazionale di Arezzo. Lo studio, pubblicato sulla rivista Plos One e destinato al coinvolgimento della popolazione olandese, è stato condotto su una piattaforma online e aveva come obiettivo quello di raggiungere un ampio numero di cittadini, la cui risposta in termini di adesione è stata enorme. La ricerca partiva dalla descrizione di 8 misure adottate durante il lock-down – come il divieto di visitare le persone negli ospedali o la chiusura delle aziende – e chiedeva al pubblico per quale di queste sarebbe stato opportuno introdurre una forma di alleggerimento della restrizione per dare un po’ di sollievo alla popolazione. A ciascuna opzione è stata associato un impatto in termini di aumento del peso sul sistema sanitario e ai partecipanti è stato chiesto di motivare la propria scelta. Le risposte sono quindi state trasmesse ai decisori politici.
Secondo Andrea Lavazza, il caso olandese è un esempio particolarmente positivo. Prima di tutto in termini di solidità delle attività partecipative, perché ha consentito una valutazione su un ampio spettro di opzioni ben definite, associate a conseguenze chiaramente descritte e rese note ai cittadini, consentendo così di raccogliere le opinioni dei cittadini il più possibile basate su informazioni evidence based e trasmetterle ai policy maker. E poi perché è stata un’occasione di collaborazione tra cittadini e istituzioni, che probabilmente ha contribuito ad accrescere la consapevolezza dei cittadini del proprio ruolo e a rafforzare il rapporto di fiducia tra questi ultimi e decisori.
Come descritto del recente report dell’Oecd che raccoglie un ampio numero di esperienze deliberative degli ultimi 20 anni, perché questi strumenti siano adottati in maniera proficua e non strumentale sono necessarie una serie di condizioni, tra cui la trasparenza del processo partecipativo e una reale presa in carico da parte delle istituzioni.
Ed è proprio la difficoltà di implementazione delle risultanze che emergono dalle pratiche deliberative uno degli ostacoli maggiori per un reale coinvolgimento di cittadini nella governance di scienza e tecnologia. Paola Mosconi – ricercatrice presso l’Istituto Mario Negri – ha raccontato l’esperienza del progetto PartecipaSalute, nel contesto del quale, ormai quasi venti anni fa, sono state organizzate 4 giurie di cittadini. In particolare, il primo esperimento ha riguardato il coinvolgimento della popolazione nell’ambito dello screening del tumore della prostata. Nonostante la solidità del processo partecipativo e il fatto che gli screening oncologici si prestino molto bene ad attività di questo tipo, purtroppo la mancanza di coinvolgimento e interesse da parte delle autorità competenti ha rappresentato un freno per il successo dell’iniziativa. Queste giurie – ha spiegato la ricercatrice – forniscono un importante “tassello in un puzzle più generale di decisioni che si devono prendere, dando il punto di vista dei cittadini, che è importante, e dal quale i decisori e i ricercatori possono prendere spunti“.
Secondo Andrea Sturloni, uno degli ostacoli a una diffusione capillare delle metodologie partecipative in Italia sta nell’assenza di una normativa in merito, salvo qualche eccezione a livello regionale non sempre applicata correttamente. A fare la differenza è quando “uno Stato decide che ci sono dei momenti in cui si devono coinvolgere i cittadini“. Il modello di riferimento potrebbe essere quello del Debate Public, secondo cui, come stabilito con l’introduzione di una legge nazionale in merito, nel 1995, le grandi opere sopra i 300 milioni devono passare da un confronto coi cittadini. Inoltre, “senza una norma non si riesce a far crescere le competenze, che è un po’ lo stesso problema che c’è con la comunicazione del rischio“, ha aggiunto.
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