Come ultimo capitolo di una intensa serie di eventi nella cornice della XX1 Triennale e della mostra New Craft, la giornata di studi City+Design in Transition ha proposto una visione internazionale del fenomeno della nuova manifattura digitale. La politica del Craft Council di Londra, i progetti dell’Institute for advanced architecture di Barcellona, l’attività dell’Institut national des métiers d’art di Parigi, le esperienze di Made in Cloister a Napoli, i casi delle aziende italiane all’estero, hanno offerto un quadro particolarmente ricco di spunti e informazioni.
Con la giornata dell’8 Settembre 2016 si è concluso il ciclo di incontri e convegni organizzato per affiancare l’esposizione New Craft della XX1 Triennale. Appuntamenti cui Fondazione Giannino Bassetti ha inteso dare il proprio contributo, proponendosi di integrare la mostra curata da Stefano Micelli con un ragionamento collettivo sulle implicazioni dell’innovazione nell’ambito del lavoro e della manifattura.
La giornata City + Design in transition, pensata dallo stesso Micelli e da Stefano Maffei (direttore di Polifactory) ha messo a confronto ospiti internazionali secondo due moduli distinti:
a) Design is the new craft
b) La manifattura torna in città
Il primo concentrato sulla ridefinizione del ruolo del design in rapporto alla tecnologia e alla manifattura distribuita; il secondo per riflettere a livello macro sul contesto urbano, prendendo in analisi sia le nuove relazioni che i soggetti emergenti nei processi di innovazione tecnologica.
Proponiamo le riprese video, le fotografie e un report dell’evento.
Nella lettura del post, i video anticiperanno lo scorrere del report e in coda verranno messe le fotografie.
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Design is the new craft
Annie Warburton (National Body for Contemporary Craft)
(I video sono visibili anche nel nostro account in Vimeo)
La presentazione di Annie Warburton si divide in due parti: all’inizio è descritto il National Body for Contemporary Craft, esempio di soggetto pubblico istituzionale che ha il compito, da un lato, di promuovere l’artigianato nazionale e dall’altro di facilitare e supportare i processi di innovazione al suo interno; in seguito Annie illustra il report stilato da KPMG congiuntamente alla Royal Society of Arts intitolato Innovation Through Craft; consigli a livello di politiche pubbliche per innescare spirali virtuose di innovazione attraverso l’artigianato.
La vision del National Body for Contemporary Craft consiste nel considerare e valorizzare la tendenza all’innovazione che l’artigianato ha nel suo codice genetico, cercando di spingerla oltre la comfort zone. Per farlo promuove azioni volte all’inserimento delle nuove tecnologie nei processi produttivi (ma anche nella distribuzione) e alle collaborazioni interdisciplinari fra artigiani e altre professionalità, artisti, ingegneri, medici.
Parliamo quindi di Innovation in Craft quando prendiamo a esempio il lavoro di makers come Shelley James, che – attraverso le possibilità offerte dalla tecnologia laser per la la lavorazione del vetro e alla collaborazione con scienziati e matematici – riesce a creare una scultura in grado di visualizzare i cosiddetti ‘numeri impossibili’, come il numero di Graham.
Parliamo invece di Innovation trhough Craft se facciamo riferimento al lavoro di Matt Darren, un artista-artigiano che lavora col vetro: grazie ad una collaborazione con il Royal Free College of Medical Research in London e con un’azienda leader nel settore della produzione del vetro, egli è riuscito a creare l’impalcatura per la ricostruzione della prima trachea da cellule staminali.
L’NBCC ha il compito di incentivare e orchestrare i processi che sottostanno alla creazione di questi prodotti, favorendo la conoscenza ex-post (del prodotto) ed ex-ante (del progetto) attraverso l’organizzazione di mostre ed eventi internazionali e pubblicando una rivista dedicata. Non solo: l’NBCC si fa carico di fornire supporto tecnico in fase di sviluppo di business, sviluppando azioni di ricerca operativa applicata, programmi di formazione e adozione di nuove tecnologie.
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PANEL
modera:Stefano Maffei (Polifactory, Milano)
panelists:
Alessandro Zambelli (exNovo, Trento)
Giulio Iacchetti (Iacchetti Studio, Milano)
Matteo Loglio (Primo Toys, Londra)
Filippo Gilardi (MX3D, Amsterdam)
Conclusioni a cura di:
Stefano Micelli (curatore della mostra New Craft)
Alberto Cavalli (Fondazione Cologni)
(Per motivi tecnici non possiamo offrire una parte le riprese della mattinata.
Ci scusiamo con i nostri visitatori e con i partecipanti alla giornata)
(I video sono visibili anche nel nostro account in Vimeo)
La riflessione di questo Panel si concentra su quali siano le condizioni abilitanti ai processi di innovazione e attrazione di competenze all’interno di un determinato territorio. Le esperienze dirette riportate dai designer Alessandro Zambelli, Giulio Iacchetti e Filippo Gilardi sembrano andare tutte verso un’unica direzione, quella di definire una “via italica all’innovazione” che differisce profondamente da quella generata da città come Londra o Amsterdam.
Le condizioni contestuali di città come Milano – che pur essendo una metropoli presenta alcune peculiarità, come la scarsa varianza antropologica e culturale (forte invece in città più cosmopolite) – le permettono di godere di un fertile ed omogeneo sostrato che, da un lato, favorisce certamente una sorta di coerenza in termini di produzione, dall’altro ne limita forse gli orizzonti.
Un altro punto toccato dal panel, come ci ricorda Fondazione Cologni, è il matrimonio necessario fra il saper fare artigiano e la cultura del progetto, in modo da sfruttare a pieno le capacità di entrambi, attivare le sinergie necessarie e rendere ancora più competitivo il design italiano.
Si suggerisce di muoversi in due direzioni: capire quali siano i fattori di attrazione internazionale e impostare azioni programmatiche volte alla creazione di queste condizioni; facilitare il dialogo fra designer e artigiani, valorizzando al tempo stesso le peculiarità e le incredibili potenzialità di questa relazione a livello internazionale.
Piero Bassetti ci invita infine a non perdere di vista il fine ultimo di questi sforzi produttivi, ovvero quello di migliorare le condizioni di vita e la società in cui viviamo, per non considerare l’innovazione e la “corsa al nuovo” come valore in sé.
Conclude Micelli sulla necessità di portare all’attenzione internazionale la deliberata e storica cura che la produzione italiana rivolge al ‘domestico’, non solo in termini di prodotto, ma come progetto culturale e sociale.
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La Manifattura Torna in Città
Francesco Samorè (Fondazione Giannino Bassetti)
Stefano Micelli (curatore della mostra New Craft)
Stefano Maffei (Polifactory)
Cristina Tajani (Assessore allo sviluppo economico del Comune di Milano)
(I video sono visibili anche nel nostro account in Vimeo)
Francesco Samorè, direttore scientifico di Fondazione Giannino Bassetti, apre i lavori della seconda parte della giornata con una riflessione sul genius loci delle città, che favorisce l’insediamento di nuovi processi produttivi. Le città, luogo di concentrazione di persone, tempo e denaro, si pongono in diretta relazione con il globo; diventano il palcoscenico di fenomeni innovativi quali le tecnologie additive che, a loro volta, alimentano la trasformazione dei rapporti sociali e produttivi.
L’Assessore Tajani porta la testimonianza di cosa l’amministrazione ha fatto e di quanto progetta per i prossimi anni in merito all’accompagnamento su scala urbana di queste forze innovative.
Essendo la città sia l’oggetto sia lo strumento attraverso il quale l’amministrazione svolge i suoi compiti, l’Assessore ci invita a riflettere sulla duplice natura dei processi discussi oggi: al tempo stesso generatori di nuove economie (quindi di occupazione) e trasformativi degli spazi urbani.
L’amministrazione ha organizzato iniziative rivolte ai NEET stabilendo una partnership anche con i FabLab attivi sul territorio. Le valutazioni più alte a livello di soddisfazione degli utenti sono state registrate proprio in questi spazi.
E’ stato creato un Albo ufficiale che, oltre a far emergere i soggetti coinvolti nella diffusione della nuova manifattura in città, ha consentito di supportarne le attività sia dal versante economico (in conto capitale e con finanziamenti diretti) sia da quello della formazione, ibridando conoscenze altamente specializzate con nuove tecnologie.
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La Manifattura Torna in Città
Tomas Diez (Institute for Advannced Architecture of Catalona)
(I video sono visibili anche nel nostro account in Vimeo)
Tomas Diez, leader del progetto FabCity di Barcellona, ci spiega come il capoluogo della Catalogna intenda muoversi in maniera sistematica per riuscire a diventare autosufficiente entro 40 anni. L’autosufficienza viene decretata nel momento in cui la città riuscirà a produrre il 50% degli oggetti, dell’energia e del cibo che consuma.
Si capisce come questa prospettiva veda protagonista l’ecosistema dei FabLab che prolifera e prospera nella città. L’idea è creare un sistema di connessioni e di reti che metta in relazione tutte le forze che spingono all’autoproduzione, conferendogli una vision e coordinandone le azioni in maniera congiunta.
L’obiettivo ultimo della FabCity, sarebbe proprio quello di far sparire i FabLab. In un modello di FabCity ideale essi dovrebbero essere diffusi capillarmente nella vita quotidiana delle persone, senza essere concentrati in un unico spazio fisico.
Il conflitto che si viene naturalmente a generare fra ciò che vi era di preesistente (come attività manifatturiera) e il nuovo modello centrato sull’autoproduzione, secondo Tomas Diez, rende necessario trovare un punto di equilibrio.
Il relatore conclude presentandoci alcuni esempi di quanto il fenomeno FabCity si stia diffondendo in altre città come Shenzen, Parigi, Amsterdam, Detroit o nello stato del Bhutan. Queste città sono tutte in connessione fra loro, il che equivale a dire che i FabLab al loro interno sono collegati globalmente.
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La Manifattura Torna in Città
Pascal Leclercq (Institut National Métiers d’Art, Paris)
(I video sono visibili anche nel nostro account in Vimeo)
Pascal Leclerqc, direttore del Institute National Metiers d’Art (INMA), ci presenta l’esempio di Parigi come campo di prova per l’azione sistemica di un’istituzione pubblica come quella dell’istituto che dirige. L’INMA è infatti un ente che risponde a tre ministeri diversi: Economia e Finanza, Istruzione e Cultura.
INMA ha per mission la messa a sistema della cosiddetta Parigi degli Atelier: non solo gli atelier di arte, ma anche e più in generale le piccole botteghe artigiane.
Nonostante la manifattura specializzata in Francia sia stata sempre fortemente centralizzata, da alcuni anni stiamo assistendo alla nascita e alla proliferazione di collaborazioni ibride fra designer e ingegneri che hanno richiesto un maggior coinvolgimento dei ‘mestieri dell’arte artigiana’.
Settori come design, moda e arte cominciano quindi a dialogare con le industrie e a stabilire nuove collaborazioni e nuove relazioni che, principalmente, trovano nella città il terreno fertile dove poter crescere e svilupparsi.
L’istituto rivolge particolare attenzione a progetti formativi (per giovani apprendisti) e alle opportunità di ricerca e sviluppo offerte da collaborazioni ibride. Vi è anche un incubatore d’impresa per progetti portati avanti da giovani che rientrino nei tre pillars del design, della moda o dell’arte.
Fra i progetti futuri da annotare vi è Cargo, uno spazio di 15.000 metri quadrati dedicato ad ospitare mestieri creativi e un Prospective Hub, che integri artigianato tradizionale con mestieri d’arte, design e digital.
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La Manifattura Torna in Città
Rosalba Impronta (made in cloister)
Antonio Martiniello (made in cloister)
(I video sono visibili anche nel nostro account in Vimeo)
Rosalba Impronta e Antonio Martiniello, con il loro made in cloister, ci mostrano invece un progetto che ha preso forma nella città di Napoli, nato da un bisogno spontaneo percepito dai cittadini e pertanto di natura prettamente privata.
Il progetto prende vita nel quartiere di Porta Capuana, situata all’interno del centro storico di Napoli: una zona a forte vocazione artigiana. Da qui, l’idea di centrare il progetto sull’ibridazione di un sistema esistente altamente specializzato, quello dell’artigianato classico, con la visione di artisti e designer. Made in Cloister è dunque un progetto di riqualificazione urbana, che consiste nel restauro e nella messa in funzione di un intero edificio e di un chiostro del Cinquecento in totale abbandono. La rigenerazione dell’edificio è in realtà l’armatura fisica del progetto che si rende necessaria per innescare una spirale virtuosa di cambiamento nella zona.
Il chiostro fungerà da spazio espositivo per i lavori prodotti dalla rete. Non solo, l’intero edificio ospiterà gallerie d’arte, FabLab e nuovi artigiani in cerca di spazi per portare avanti i loro progetti.
Made in Cloister cerca nell’amministrazione pubblica un partner forte che gli permetta di ampliare i propri orizzonti e di considerarsi come un primo tassello per un progetto di riqualificazione più ampio.
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Qualche immagine dell’evento:
(Le fotografie sono visibili anche nel nostro account in Flickr.)
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