Alla ricerca dei fondamenti della comunicazione della scienza (14-15 febbraio 2008, Bergamo)
Giovedì 14 febbraio 2008, nella splendida cornice di Città Alta di Bergamo, presso l’antico complesso monastico di S. Agostino oggi sede universitaria, si sono aperti i lavori del convegno “Costruire un ponte tra scienza e società. Alla ricerca dei fondamenti della comunicazione della scienza”.
L’evento, che si sviluppa in due giornate di studio e di approfondimenti ed è stato organizzato dalla Scuola di Dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità dell’Università degli Studi di Bergamo e dalla Scuola internazionale Superiore di Studi avanzati SISSA di Trieste in collaborazione con la Fondazione Giannino Bassetti ha sviluppato un dibattito estremamente ricco ed articolato sul rapporto e sulle relazioni che intercorrono oggi tra scienza, politica, società.
Le relazioni inaugurali di Mauro Ceruti e Pietro Greco hanno messo in evidenza come non ci sia scienza senza comunicazione: mentre in passato si riteneva valesse un “modello Rio delle Amazzoni” dove la ricerca scientifica percorreva un corso predeterminato dalla sorgente del sapere al mare della divulgazione, ora vale il “modello Venezia”: mille isole e mille ponti di comunicazione.
Nella sessione “Comunicazione e costruzione della scienza”, coordinata da Gianluca Bocchi, Giuseppe O. Longo ha evidenziato come l’importanza assunta dalla tecnoscienza nella nostra società debba fare riflettere sugli aspetti etici sia dell’attività di ricerca sia della comunicazione, a proposito delle quali dovrebbero ricevere maggiore spazio di osservazione le problematiche legate alle modalità di ricerca dei finanziamenti e l’ingresso sul mercato. I finanziamenti, in linea di massima, sono concessi solo alle ricerche che fanno prevedere ricadute applicative nel giro di pochi anni. Ci sono poi le esigenze della società: in un contesto di valori codificati le ricerche a volte trovano difficoltà ad essere capite ed accolte. L’amplificare indebitamente i risultati e le prospettive di applicazione, specie in campo medico, alimenta inutili ed infruttuose speranze.
Silvano Tagliagambe, ragionando sul senso della “rappresentazione della conoscenza”, ha sottolineato come l’ambiguità e il fraintendimento fra mondi semiotici differenti può portare ad una fruttuosa condizione di incertezza che diventa fonte di innovazione.
La sessione “Comunicare la scienza responsabilmente” ha visto la presentazione in anteprima della pubblicazione in italiano di Taking European Knowledge Society Seriously. Report to the Science, Economy and Society Directorate, commissionato dalla Direzione generale per la Ricerca della Commissione Europea. La prima relazione di Piero Bassetti ha aperto la riflessione con un interrogativo “E’ possibile pensare alla comunicazione della scienza come un nuovo contributo per declinare in modo diverso la relazione tra scienza e società?”. L’innovazione può essere definita come la realizzazione dell’improbabile e va distinta dalla scienza in quanto essa non risiede nella scoperta, non è una questione di solo sapere. Né riguarda poi solo un fatto di potere – con il quale si intende la presenza di capitale e tecnologia – quanto piuttosto “l’innovazione è realizzazione, implementazione di ciò che prima era improbabile non solo perché non saputo ma anche perché non potuto (tecnica) o non osato (rischio). Dunque l’innovazione non è questione di solo sapere, né di solo potere (capitale e tecnologia) ma anche di volontà. Ed è a questo punto che si manifesta il tema della responsabilità.
“La responsabilità attiene infatti all’uso del potere, non a quello del sapere. Non si può chiedere al sapere di responsabilizzarsi. Bisogna invece chiederlo al potere. Ecco perché bisogna avere ben chiaro che i problemi di governo del sapere (ammesso che siano possibili) sono comunque assai diversi da quelli di governo dell’innovazione.”
Questa questione critica e problematica è apparsa alla Fondazione ben segnalata nel Rapporto Taking European Knowledge Society Seriously, tradotto e pubblicato in italiano per iniziativa della Fondazione.
Cristina Grasseni, direttore scientifico della Fondazione, ha spiegato come il report sia stato commissionato ad un gruppo di esperti come una delle azioni di avanzamento dell’agenda di Lisbona: cioè trasformare l’Unione Europea in una Società della Conoscenza competitiva sui mercati internazionali della tecnoscienza. Il report di fatto ha proposto una critica, della nozione di società della conoscenza sottesa all’Agenda di Lisbona per come essa è stata intesa ed impostata nella prassi politica, legislativa, comunicativa e amministrativa della commissione europea.
Mariachiara Tallacchini, traduttore del report e membro dello stesso gruppo di esperti coordinato da Brian Wynne, ha sottolineato come nella Commissione Europea mancasse il punto di vista STS; nessun rapporto aveva mai esplicitamente tematizzato la prospettiva dei Science and Technology Studies. Si deve a Nicole Dewandre, da tempo al lavoro sui temi di Science and Governance, l’avere organizzato, attorno a Brian Wynne, un gruppo di esperti che fosse espressione europea e d’oltreoceano di questo approccio. Chiamando in causa “l’autoriflessività delle istituzioni” si è sostenuto che “i timori del pubblico nei confronti della scienza non siano frutto di un deficit di conoscenza, ma della perplessità che i cittadini nutrono nei confronti delle istituzioni; il problema, quindi, riguarda piuttosto la policy e il modo in cui viene impostato il discorso tra la scienza e la società, tra la scienza e le istituzioni”.
Nella sessione “comunicazione e identità della scienza”, coordinata da Pietro Greco, Paola Govoni ha inquadrato storicamente la divulgazione scientifica dall’età dell’illuminismo. La storia del successo e del declino della “scienza per tutti” sembra indicare che alcune delle principali difficoltà che si presentano nei rapporti tra scienza e pubblico in Italia hanno origine nella strutturale debolezza dell’educazione di base.
Fabio Bevilacqua ha discusso la sfida dei media partecipativi, sottolineando come è in corso una nuova rivoluzione scientifica e tecnologica che rende possibile restringere il divario tra “scienza” e “società” permettendo una partecipazione sempre maggiore ad un “pubblico” sempre più vasto. Le nuove tecnologie digitali aprono nuove frontiere e grandi opportunità.
Infine Enrico Gianetto ha tematizzato la scienza come un’attività storica complessa, una ricerca continua che ci restituisce un’immagine della Natura molto diversa da quella meccanicistica: una Natura mai del tutto controllabile, in profondità indeterminata nella sua essenza e nelle sue evoluzioni dinamiche complesse, che richiama l’uomo ad un’etica del rispetto totale e che può ancora destare mistero e incanto come a un bambino, una volta abbandonata l’illusione di una spiegazione meccanicistica in cui tutto è esattezza assoluta e incontrovertibile.
La giornata si è conclusa con la lectio magistralis di Claude Fischler, direttore del Centro Studi Edgar Morin di Parigi, che si è focalizzata in particolare sulla percezione del rischio nell’alimentazione con un taglio interculturale, sulla base di analisi sociologiche non solo dei "cittadini" in generale ma anche degli "esperti": medici, tecnici, produttori.
Nella sessione su "Comunicazione della scienza, percezione pubblica ed educazione", tenutasi venerdi 15 febbraio, si è sollevato il problema di educare gli scienziati a parlare con il pubblico. Agnes Allansdottir, psicologa della comunicazione, ha enucleato la domanda chiave della due giorni bergamasca: come si fa a gestire in maniera democratica la scienza? E cosa si fa se, a fronte di costosi dibattiti governativi, assemblee e forum in rete, l’opinione dei cittadini va chiaramente contro quella di grossi interessi capaci di fare lobby a livelli governativi? Il rischio, sottolinea Giuseppe Pellegrini, è che si irrigidisca la frattura tra una politica che sa poco di scienza, un’élite di ricercatori che non tengono conto dei dibattiti nella società, e manipoli di cittadini esasperati. I momenti deliberativi intrapresi prima, "a monte" delle scelte e delle emergenze, dovrebbero affrontare e confrontare dati tecnici ma anche i valori in discussione, e consegnare ai cittadini anche funzioni di controllo per attivarne la responsabilità.