Nei mesi e negli anni successivi alla Liberazione, Milano affrontò, con la partecipazione delle rinate rappresentanze civili, imprenditoriali, culturali e politiche, la sua ricostruzione. Materiale, con nuove case, scuole, ospedali, ma anche valoriale, con la rinascita, sulle macerie dei bombardamenti, dei simboli di una nuova cultura tecnico scientifica, artistica, civile. Questa la riflessione cardine del convegno La libertà di reinventare Milano. Quando rappresentanze e società civile pensarono la città nuova che Fondazione Giannino Bassetti, il 26 marzo, ha curato all’interno del palinsesto Tempo di pace e di libertà. Ottanta anni di Liberazione promosso dal Comune di Milano nell’ambito del progetto Milano è memoria. Di seguito, l’intervento conclusivo del presidente Piero Bassetti (qui una sintesi completa dell’evento, con video, podcast e immagini)
La libertà di reinventare Milano (cioè il titolo della mattinata) ammette la possibilità che occorra reinventarla. Un conto è parlare di Milano come è, un conto è parlare di come vorremmo che fosse, ed è questa la parte interessante. A mio parere, negli ultimi tempi, la preoccupazione del reinventare è stata sostituita dalla preoccupazione “centralista” di domare Milano. E questo è un fatto importante, soprattutto se teniamo conto che l’Europa, intesa come somma di Stati nazionali, non riusciremo a farla. Proprio ieri Trump – per voce del suo vicepresidente Vance – ha affermato che noi europei saremmo dei parassiti; per me che ho studiato negli Stati Uniti, e che ricordo come gli americani guardavano agli europei non solo nel dopoguerra ma anche soltanto pochi anni fa, è stata una stilettata. Perché rende evidente come noi europei non possiamo non occuparci dell’Europa, della sua istituzionalizzazione: quello che è in ballo, in realtà, è l’istituzionalizzazione del mondo.
In questo momento ci sono le guerre, si discute di Houthi o della presenza dei cinesi, il tutto a ricordarci che una collettività – Milano è certamente una collettività – non si può limitare a guardare a sé stessa, ma necessariamente deve riferirsi al pianeta. Nell’ ultima parte della nostra mattinata abbiamo sentito – per esempio l’ ultimo intervento sulla convivenza e il pluralismo religioso a Milano è stato chiarissimo – tanto la necessità quanto la possibilità di fare; quindi, per me, la libertà di reinventare Milano è data!
Allora dobbiamo considerare che i soggetti cui è demandata la sfida sono stati evocati qui a Milano ma dovrebbero essere ripresi in attenta considerazione, perché è chiaro che un conto è la discussione tra Comune, Regione e Stato in una visione strettamente nazionalista, un altro è il rapporto con, per esempio, le fondazioni, con le nuove tendenze culturali della città e con le innovazioni che ne reinventano le esperienze civili passate.
Da ultimo vorrei ricordare che siamo la città di Sant’ Ambrogio, per significare che Milano non può non esprimere “simbolicamente” il suo modo di essere libera. Come è stato detto giustamente all’inizio, un sindaco come Greppi ha dimostrato come si faceva a essere liberi nel dopoguerra: se pensate che ha avuto il coraggio di ricostruire La Scala in un momento in cui – io lo ricordo bene – Milano era distrutta. Un sindaco chiaramente socialista, ma con la consapevolezza che La Scala non era soltanto “il palchetto dei signori”, bensì era un simbolo della nostra liberazione fin dal tempo dell’ Austria, in generale quindi dalle truppe di occupazione. È per questo che, come presidente di Fondazione Bassetti, sono soddisfatto del convegno di oggi; perché abbiamo “portato qui” questo problema.
Indubbiamente oggi, a Milano, il problema è di egemonia: per liberare Milano dobbiamo trovare la soggettività che esprima egemonia e così ci autorizzi a essere presenti nella discussione anche con lo Stato nazionale. Non in termini di campanilismo ma in termini di costruzione di politica strutturale, Milano deve porre il suo rapporto con lo Stato nazionale e con il Sud, perché effettivamente, per la direzione in cui va il mondo, se Milano non ha un rapporto con il Sud finalizzato a rimanere nel Mediterraneo non andiamo da nessuna parte. Mentre in questo momento sembrerebbe che lo Stato si sia impegnato a lavorare per ricreare la differenza tra Nord e Sud. Non abbiamo riflettuto abbastanza sul fatto che nel 1958, il sindaco Ferrari aveva portato Milano a partecipare a un referendum promosso dal Consiglio Europeo su dove avrebbe dovuto essere la capitale dell’Europa; e Milano è uscita terza dopo Bruxelles e Strasburgo, dimostrando che evidentemente c’eravamo, ma avevamo già cominciato a perdere la capacità di fare il nostro baricentro europeo. Probabilmente – e non è campanilismo – se in questo momento la capitale dell’Europa fosse Milano, la politica europea farebbe passi avanti più forti; e la rievocazione, che abbiamo ascoltato e riscoperto oggi dai materiali d’archivio, del mio colloquio del 1971 con Altiero Spinelli dice che in fondo il discorso tra l’Europa e la Regione era, appunto, un discorso del 1971.
Un altro punto che forse non è stato rievocato abbastanza: se oggi Milano si vuole reinventare deve reinventare il suo medium espressivo, perché la grande rivoluzione del mondo è stata la rivoluzione della comunicazione. Questo tipo di problemi vogliamo porre. Porre a Milano l’esigenza di ricordarsi di non
essere un borgo, di essere una potenziale “chiamata a raccolta” di ciò che è valido nella tradizione storica italiana, del rapporto tra il nostro modo di vivere e il nostro modo di considerare il territorio. Nella mia esperienza regionale facemmo un convegno pionieristico sulle Alpi, nel 1970, poi divenute macroregione europea (Eusalp): che il problema delle Alpi si inserisca nel discorso sulle risorse mondiali, non credo si possa negarlo. Quindi la volontà della Fondazione è favorire i fermenti culturali che si sviluppano intorno
al vero fenomeno storico: l’innovazione. È stata richiamata anche attraverso la prospettiva di ciò che accade dove facemmo Expo, dove oggi c’è MIND, e dentro l’innovazione sociale di Fondazione Triulza. Cioè oggi il pianeta è dominato dall’innovazione e al contempo incapace di regolarla, perché? Se devo regolare qualcosa di nuovo, devo sapere cosa è, quindi la parola Stato, participio passato del verbo essere, già dichiara in sé stessa il suo limite. Abbiamo un mondo che diviene in contrasto con un mondo che sta e quindi tutto il problema politico che dobbiamo contribuire a ripensare va di pari massimo con il problema dell’accettazione del nuovo sapere, della tecnologia, da parte delle forze sociali. La mia promessa da presidente della Fondazione è che noi andremo avanti su questa strada. Il mio augurio è che il Comune di Milano, come è stato nei momenti importanti della storia, possa essere – come stamattina – un interlocutore ospitale e disponibile. Grazie.
Al convegno hanno preso parte anche l’Assessore del Comune di Milano Emmanuel Conte, Fiorenzo Marco Galli, Direttore del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, Fiorella Imprenti di Fondazione Aniasi, Maria Canella e Paolo Zanini dell’Università degli Studi di Milano, Luca Stanzione per la Camera del Lavoro, Massimo Minelli di Fondazione Triulza, Per fondazione Bassetti sono intervenuti Dario Baldini, Giulio Antonucci, il Segretario generale Francesco Samorè, e il Presidente Piero Bassetti (i link rinviano ai loro interventi).