Si è svolto il 9 ottobre 2024, nella sala immersiva del MEET Digital Culture Center, A Society for All Ages. Una finestra sul Giappone, secondo appuntamento del ciclo Innovazione e Longevità, nato dalla collaborazione tra MEET, Fondazione Giannino Bassetti e Fondazione Ravasi Garzanti. L’incontro con Stefania Bandini, docente di Intelligenza Artificiale e dal 2015 fellow presso il Research Center for Advanced Science and Technology dell’università di Tokyo, si è concluso con un dialogo insieme a Nic Palmarini, ceo di Voice Italia e direttore del National Innovation Centre for Ageing (NICA). Durante il confronto con il pubblico è intervenuto Piero Bassetti, nostro presidente. Di seguito sintesi, video, podcast e fotografie dell’evento.
Con i suoi numeri e stime, il Giappone è, in termini demografici, uno dei paesi più simili a noi. Anche per questo, uno dei capitoli del white paper A Society for All Ages (presentato lo scorso 21 marzo durante il Meet the Media Guru con Jamie Metzl), era dedicato a Lo specchio del Giappone, ovvero a una realtà che potrebbe fornici modelli e pratiche per affrontare la transizione verso una società per tutte le età. Ma è davvero così? Lo sguardo fornito da Stefania Bandini, che ha iniziato a incrociare i suoi studi sull’intelligenza artificiale con l’avanzare del fenomeno demografico proprio nel Sol Levante dal 2009, ha provato a fornire alcune risposte. La prima osservazione è culturale. Nonostante la piaga kodokushi, le morti solitarie (i dati dicono fino a 68mila l’anno), la società giapponese attribuisce alla persona anziana grande dignità e saggezza. Bandini ricorda Kane Tanaka, la donna che a 118 anni era stata scelta come uno dei tedofori della fiaccola olimpica (aveva poi rinunciato causa Covid); cita Fukurokuju, una delle sette divinità della Fortuna che presiede la saggezza, la felicità e la lunga vita; ma mostra anche anziani impegnati in lavori utili in nome di un work forever sostenuto anche da una nuova legislazione e programmi di sussidi, a conferma che una ‘vita longeva’ ha un grande impatto sulla società che bisognerebbe governare.
Se la longevità si può definire infatti come “la capacità fisiologica di un organismo biologico appartenente a una determinata specie di sopravvivere per un determinato periodo di tempo oltre il limite medio, con il conseguente allungamento dell’aspettativa di vita”, allungamento dovuto essenzialmente a miglioramenti della nutrizione, della salubrità delle abitazioni e delle tecnologie mediche, l’ageing society, ovvero l’intera società che invecchia, è il risultato di un insieme di persone sempre più longeve, intersecato con il contestuale declino della natalità. Una società che invecchia è quindi il risultato di più funzioni, compresa quella, citata da Francesco Samorè in sede di introduzione, del degiovanimento. Si tratta, sottolinea Bandini, di un fenomeno unico nella storia dell’umanità e di cui non abbiamo, giocoforza, modelli. Un fenomeno profondo che incide su tutte le componenti sociali, dall’economia alla salute (un esempio su tutti, i numeri in crescita delle malattie neurodegenerative), dal lavoro ai temi che riguardano le relazioni intergenerazionali. E si tratta di un fenomeno duraturo e pervasivo perché condizionerà non solo i Paesi ricchi, ma anche quelli in via di sviluppo. Una complessità che richiede una lettura nuova che Bandini struttura intorno a quattro fattori: demografia, territorio, lavoro e tecnologia.
l’ageing society, ovvero l’intera società che invecchia, è il risultato di un insieme di persone sempre più longeve, intersecato con il contestuale declino della natalità (...) compreso il degiovanimento
Sul primo fattore, la demografia, ormai i dati sono sempre più articolati e precisi. La forma a diamante della struttura per età della popolazione giapponese si avvicina molto alla piramide dell’età mostrata dalla direttrice centrale ISTAT Sabrina Prati durante l’open night al museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Meno indagato il nesso con il territorio. Ricordando l’esperienza di Longevicity: Social Inclusion for the Elderly through Walkability, il progetto di ricerca che ha studiato le città del futuro in funzione della crescente presenza di cittadini longevi, Bandini apre lo sguardo ai territori al di fuori delle aree urbane, quelli che in Italia sono classificati come aree interne. In questo caso, il paragone tra Italia e Giappone riflette una maggiore densità di popolazione del paese nipponico (il doppio su uno stesso territorio), ma resta il fatto che le cosiddette aree interne nel nostro Paese coprono il 60 per cento dell’intera superficie nazionale, il 52 per cento dei Comuni e il 22 per cento della popolazione (qui l’analisi Istat/SNAI su dinamiche recenti e prospettive future demografie delle aree interne a luglio 2024). Anche il Work Package 4 guidato da Bandini all’interno di Ageit, si propone di analizzare sistemi di assistenza innovativi e differenziati destinati sia ad aree urbane che interne, per favorire la transizione verso nuovi sistemi di cura. Come dire che, se nell’analisi dei fenomeni demografici il territorio è fattore determinante, la ricaduta sul territorio è la chiave per misurare l’efficacia di ogni investimento, anche intellettuale, nel progetto di una società per tutte le età.
L’aiuto oggi, spiega Bandini, viene proprio dalle nuove tecnologie con la possibilità di usare droni e tecniche di intelligenza artificiale, a partire dai GIS (Geographic Information System) con cui raccogliere, analizzare e processare i dati per poi rappresentarli su una mappa. Mappe indispensabili per avere una fotografia consapevole sull’ubicazione delle diverse età e dei conseguenti bisogni e necessità, sia che si tratti di servizi assistenziali ed essenziali, sia che si tratti di tutela di attività produttive e artigianali a rischio, causa lo spopolamento e l’abbandono degli stessi territori da parte dei giovani. Mappe e studi utili ad amministratori e politica, e a tutti coloro che dovranno ripensare in modo più sostenibile una struttura della società in cui ancora resiste, nonostante l’aumento dell’aspettativa di vita, la classica divisione nelle fasi di apprendimento, lavoro, e pensionamento.
ripensare in modo più sostenibile una struttura della società in cui ancora resiste, nonostante l’aumento dell’aspettativa di vita, la classica divisione nelle fasi di apprendimento, lavoro, e pensionamento
Forse la vera distanza tra Italia e Giappone, oltre a uno stile di vita che Nic Palmarini definisce joyfully invece che safely, sta nel rapporto con la tecnologia. La loro cultura popolare, la loro mancanza di pregiudizi, nonché una certa difficoltà nell’accogliere migranti, fa sì che accettino positivamente l’idea di robot sociali con ruoli di assistenza, compagnia e cura, tanto che molti prodotti di questo tipo sono già presenti nel mercato di massa. Risale d’altra parte al 2005 il primo Brain Training del Dr. Kawashima: Quanti anni ha il tuo cervello?, un videogioco sviluppato dal neuroscienziato dell’Università di Tohoku Ryuta Kawashima per Nintendo, che consente di allenare il proprio cervello per prevenire la decadenza cognitiva e neurale. I dati quantitativi, nella dimensione e nella struttura, di una popolazione non sono infatti gli unici a determinare produttività ed efficienza della stessa. Formazione, istruzione, sostegno forte di ricerca e sviluppo, la qualità insomma di una popolazione, sono strumenti altrettanto efficaci per una società stabile e duratura.
Ed è sull’oggettivazione della vecchiaia, di uno status esistenziale prima che statistico, visto e analizzato come un oggetto, che si concentra infatti l’intervento finale di Piero Bassetti. «È questo», dice, «il vero bias di fondo. Esiste nella nostra società una propensione a nascondere l’essere vecchio. Una propensione anche individuale, se gli stessi “vecchi” (condizione di cui faccio parte), mostrano una certa insicurezza nell’assunzione di un ruolo pubblico. Insicurezza conseguente alla considerazione che diffusamente si dà della vecchiaia». Anche sul motivo di questa particolare trattazione nel dibattito pubblico riservata a un tema che inevitabilmente ci riguarda tutti, il presidente di Fondazione Giannino Bassetti propone la sua originale lettura: «Guerra e vecchiaia, per esempio, sono due eventi collettivi. Ma mentre la prima non è vissuta da nessuno come fatto oggettivo, bensì come pericolo per tutti, la vecchiaia continua a essere percepita come “pericolo” individuale. Ciò dipende dal rapporto singolare, e certo anche culturale, che abbiamo con la morte. Un aspetto che sfugge a ogni analisi statistica, mentre, come si è visto, lo strumento principale con cui si tratta e studia la vecchiaia, è quantitativo e statistico. La vecchiaia non dovrebbe essere un’entità solo misurabile, ma qualcosa da interiorizzare nei processi, anche di governo e innovazione, che la riguardano. Il rischio, come accade, è che, per risolverla con una battuta: “la vecchiaia rimanga un problema per i preti”, ovvero rimanga un problema al di fuori del territorio del potere, che come sappiamo vive invece su ciò che può misurare e quindi normare». Non è una mancanza da poco, se si considera che è proprio il “potere” che dovrebbe disegnare una società per tutte le età. «Risolvere il problema del rapporto con la morte», ha concluso Bassetti, «significa riproporre l’interrogativo mantra della nostra Fondazione “a quale sapere andrà il potere”. Chiedersi in definitiva a quale potere sta andando e va il sapere della vecchiaia, di chi guarda la morte, cercando di andare oltre l’epifenomeno, ma cercando il senso profondo anche di questa trasformazione».