Dialogo con Marco Centorrino e Josephine Condemi
E se l’arrivo del metaverso ci aiutasse a tornare tutti (o quasi) più umani? È con questa domanda “controcorrente” che si esce dall’incontro con chi del metaverso studia la parte umana e l’impatto che questo fenomeno sta avendo e potrebbe avere sulla società: Marco Centorrino, Docente di Sociologia della Comunicazione dell’Università degli Studi di Messina, impegnato da diversi anni nella ricerca sul fenomeno metaverso, e Josephine Condemi, giornalista e dottoranda in “Scienze Umanistiche” all’università di Messina con un progetto sull’agency dei corpi umani nel metaverso.
Per capire da dove spunta questa idea e provare a prenderla seriamente in considerazione, senza liquidarla come semplice provocazione, è necessario osservare cosa sta accadendo davvero con e nel metaverso. Dopo l’hype del 2022, attivato dal lancio di Meta Horizon World, se ne sono infatti quasi perse le tracce nel più comune dibattito pubblico: meglio riprenderne le fila.
Il metaverso ci viene verso
Come per le star musicali o cinematografiche, sui palchi mediatici anche il metaverso è stato soppiantato dall’AI generativa – in particolare da ChatGPT che nel novembre 2022 ha messo questa tecnologia alla portata di tutti e non ha mancato di farcelo notare. Anche senza i riflettori puntati addosso, però, il metaverso ha continuato a crescere e, come precisa Centorrino, “ci sta venendo incontro, non siamo noi che ci stiamo entrando” soprattutto perché nel mondo dei mondi virtuali quelle che più sembra si stiano dando da fare sono le aziende.
L’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano nel 2023 ha contato 130 mondi virtuali pubblici e 119 piattaforme per la realizzazione di ambienti privati (le Metaverse-as-a-service Platform). Dal 2018 a oggi sono 736 i progetti sviluppati al loro interno, di cui 71 in Italia. Ci sta venendo davvero incontro, quindi, e su diversi fronti. Nella vendita al dettaglio e nel turismo, ma soprattutto nell’istruzione, se si guarda al B2C (Business to Consumers), mentre nel B2B (Business to Business) quello più avanti è il manufacturing. In entrambi i casi, si sta ampliando il numero di settori che hanno iniziato a utilizzare queste tecnologie, ma la loro avanzata non va intesa come una delle tante a cui abbiamo assistito o a cui assisteremo.
Il metaverso nasce facendo già in modo che gli utenti non possano decidere
“Non è una internet 3.0 che lascia che siano gli utenti a scegliere (o almeno così era nata). Il metaverso nasce facendo già in modo che gli utenti non possano decidere, sono costretti a giocare un ruolo molto inferiore rispetto a quello che avevano in altre innovazioni, in un certo senso sono ingabbiati in scelte fatte da chi lo ha costruito – spiega Centorrino – il metaverso sta nascendo e crescendo solo in ambito aziendale”. I numeri italiani sull’utilizzo di queste tecnologie lo confermano: anche se oltre il 50% degli utenti Internet conosce almeno un mondo virtuale, solo poco più del 25% vi ha fatto accesso nell’ultimo anno, e quasi sempre limitandosi a esplorarne uno solo dei tanti a disposizione. È però più una questione di costi – visto che per ora i dispositivi necessari non sono alla portata di tutti – e di adattamento alla novità – non siamo abituati a questo tipo di esperienze, né fisicamente né psicologicamente. La mancanza di libertà decisionale all’interno di questa tecnologia è una condizione poco percepita e non è l’elemento che ne blocca lo sviluppo. Forse perché ci siamo già abituati a non averne
“Quello che sta emergendo nella costruzione del metaverso non è che un’evoluzione di ciò che è già avvenuto con la piattaformizzazione di internet. Nato su protocolli aperti su cui ciascuno ha potuto costruire delle isole, internet era un terreno libero per utenti e imprese” spiega Condemi “ma oggi la maggior parte delle interazioni e delle ricerche online avviene all’interno di piattaforme commerciali chiuse: le aziende che possiedono queste piattaforme hanno accumulato i capitali necessari a investire nello step successivo del Metaverso (l’immersione multisensoriale dei corpi umani in un ambiente in cui fisico e digitale convergeranno. Si tratta di un processo in corso, che coinvolge le principali tecnologie esistenti: la Realtà Virtuale, la Realtà Aumentata, l’Intelligenza Artificiale, l’Internet delle Cose). Dai trend attuali il rischio di oligopolio di questa nuova dimensione è molto forte. E insieme a inedite possibilità di azione a distanza e interazione sensoriale, crescono anche le preoccupazioni su nuove forme di bio-identificazione dei corpi e quindi delle persone”.
Digitale e fisico confluiscono
Mentre i regolatori timidamente si affannano ad aggiornare le leggi rincorrendo l’innovazione tecnologica e soffrendo la spavalderia di chi la fa e la finanzia, nel metaverso avanza la digitalizzazione dei nostri corpi. Qui digitale e fisico convergono: i sensori rilevano i dati personali e interagiscono continuamente con l’ambiente permettendo di creare e aggiungere livelli digitali. Per esempio, si può “sovrapporre” alla propria stanza un tavolo con un computer su cui digitare e scrivere realmente, ma senza che fisicamente esista. Evocando questa efficace immagine, Condemi spiega che “si può anche scegliere il grado di digitalizzazione in cui muoversi e con l’uso degli ologrammi si aumenta ulteriormente la potenza dell’esperienza. Non è come nei videogiochi, dove i sensi sono limitatamente coinvolti: il metaverso comporta un salto in avanti epocale, un’immersione multisensoriale completa”. Poi due esempi che non riguardano i “soliti sensi” (vista e udito), ma tatto e l’olfatto. Il primo viene ricreato con dei dispositivi di riconoscimento del movimento che già fanno gola al mondo automotive e delle banche, per i bancomat. Il secondo con l’uso di sistemi basati sull’intelligenza artificiale, per “combinare nelle giuste dosi alcuni odori primari e riprodurre quello che di volta in volta che serve”.
Uniti, restiamo umani
Chi sedeva pacifico ad assistere all’avanzata del metaverso, come fosse “un videogioco un po’ cresciuto”, con questi ultimi esempi forse cambierà idea. Se non basta, sappia anche che tra i dati raccolti nei mondi che lo compongono, ci sono anche quelli per capire e riprodurre il nostro modo di muoverci: il nostro gesticolare come la nostra andatura. E i dispositivi diventano sempre più validi e meno invasivi, per scivolare meglio nel mondo del metaverso, senza faticare.
Stiamo costruendo un mondo in cui il digitale è sempre meno distinguibile
“Stiamo costruendo un mondo in cui il digitale è sempre meno distinguibile. Il reale è già ora una composizione di digitale e fisico, e la tecnologia ha sorpassato le barriere, regalando i nostri parametri personali alle aziende che li usano per fare i loro calcoli” spiega Centorrino. E parla di una datification fuori controllo, anche perché “la legge è in totale ritardo e adesso, più che altro, c’è una autoregolamentazione delle aziende”.
Immersi, in ogni e con ogni senso, in questo contesto, quale può essere il nostro spazio di azione? Come singoli e come società civile sembriamo essere totalmente fuori dai giochi, invece abbiamo un’arma segreta, e solo nostra. Il confronto intergenerazionale.
Più che un asso nella manica, spesso questo concetto è percepito come una zavorra. Non so altrove, ma nel caso del metaverso non lo è. Lo spiega bene Centorrino, descrivendo un gap tra generazioni che inizia a ridursi, rispetto agli scorsi decenni, ma anche una generazione giovane “fenotipicamente diversa”, con una familiarità con la tecnologia inedita, anche grazie ai videogame. Ma poi spiega che, proprio grazie a questa differenza, lo scambio tra diverse generazioni diventa vincente, “permettendo di non ridurre tutto a un dato, ma di riscoprire il valore del corpo e delle emozioni. E dello stare assieme”. Appunto: stare assieme e condividere.
I termini di questo scambio intergenerazionali sono chiari. Se le interazioni sensoriali si stanno riducendo a dati, i giovani faticano a percepirlo, perché mancano di un’esperienza diretta di vita analogica. Sono “nati immersi”. In questo, le generazioni più mature possono aiutarli, mostrando con la stessa propria esistenza e storia che le persone non sono solo dati e che esiste una continuità tra il digitale e il fisico che deve essere mantenuta. In cambio, le nuove generazioni possono infondere alle precedenti un po’ della loro dimestichezza con i dispositivi e in generale con le dinamiche dei mondi virtuali che frequentano, aiutandole a familiarizzare con le tecnologie che li supportano. “Il dialogo intergenerazionale ci aiuta a posizionare le esperienze digitali con equilibrio e non a sostituirle a quelle fisiche. Sarà questo, se avverrà, a fare la differenza”.
(Nell’immagine: Incontro sul Solarpunk presso il Museo del Metaverso in Craft)