Il 9 luglio 2024 presso la libreria Les Mots di Milano, si è svolto l’evento conclusivo del progetto Digital-Age dell’Università degli Studi di Milano – Bicocca, svolto in collaborazione con la Fondazione Golgi Cenci e il contributo della Fondazione Cariplo (ne avevamo scritto qui). Frutto della ricerca è stato il Policy Brief a cui ha contribuito anche Fondazione Bassetti che, insieme ad altri stakeholders che si occupano di invecchiamento della popolazione, ha partecipato alla tavola rotonda tenutasi il 25 marzo 2024, presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Il Policy Brief, scaricabile dal sito del gruppo di ricerca Ageing Society (o in fondo a questo aticolo), oltre a contenere una sintesi del progetto e dei primi risultati di ricerca, a cui seguiranno pubblicazioni scientifiche sempre rese disponibili sul sito, contiene proposte di pratiche politiche per enti, policy makers o aziende, che vogliano affrontare il tema delle disuguaglianze e le problematiche rispetto all’utilizzo dei dispositivi digitali in una società immersa nella transizione demografica. Come il progetto Age-It: Ageing Well in an Ageing Society a cui partecipano gli stessi ricercatori e ricercatrici, che si propone di trasformare l’Italia in un polo scientifico internazionale per la ricerca sull’invecchiamento, e come si evince dal titolo del nostro stesso white paper A Society for All Ages, l’intento è sempre quello di portare il dibattito pubblico verso la costruzione di una società inclusiva per tutte le età.
La relatrice ospite dell’incontro era Emma Garavaglia, ricercatrice al Politecnico di Milano. Da sempre interessata al tema dell’invecchiamento della popolazione, ha sottolineato, dal punto di vista sociologico, la potenzialità trasformativa nei modi in cui viviamo delle due principali innovazioni del nostro tempo: demografica e digitale. «È la sociologia a insegnarci che le cose non esistono in sé, ma solo in virtù della relazione tra i singoli e dei significati che i singoli o la comunità vi attribuiscono. Un assunto che, applicato al tema demografico e digitale, potrebbe arricchire il dibattito pubblico, ancora ancorato a categorizzazioni superate», ha detto la ricercatrice. Perché se da una parte l’età anagrafica è ancora concepita come un succedersi di gruppi omogenei senza alcuna specifica rispetto alla ricchezza di significati e ai bisogni di ciascuna esistenza all’interno degli stessi, dall’altra si tende ad attribuire particolari competenze nell’uso delle tecnologie a generazioni specifiche (per esempio i così detti nativi digitali) senza che questo sia realmente comprovato da dati. «La ricerca ci dimostra che le tecnologie hanno un potenziale trasformativo a partire dagli utilizzi che le persone ne fanno dentro contesti sociali specifici, e indipendentemente dall’età anagrafica. È quindi importante non contribuire alla costruzione di identità univoche, rispetto a qualsiasi età anagrafica, anche perché il rischio è creare una profezia che si autoavvera», ha concluso Garavaglia. Tema toccato in finale di discussione, quello della datificazione, recentemente affrontato anche in sede della Fondazione, particolarmente sensibile quando si tratta di tecnologie che intrecciano gli ambiti della cura e dell’assistenza alla persona.
La consapevolezza che esistono gruppi di persone più vulnerabili di altre, la pervasività di tecnologie implementate da aziende private con un certo modello di business, la necessità di costruire una cultura del valore collettivo del dato, sono le criticità da affrontare per un futuro che lega a doppio filo innovazioni e generazioni.