Uno studio indaga sulla consapevolezza dei senior del proprio ruolo nella transizione demografica, tra silver ecology e valorizzazione del rapporto tra generazioni.
Secondo l’ultima rivelazione Istat, al 1° gennaio 2023, la popolazione ultrasessantacinquenne in Italia era di 14 milioni 177mila individui, ovvero il 24,1 per cento della popolazione totale, il 7,7 sono ultraottantenni, mentre il numero stimato di ultracentenari ha sfiorato le 22 mila unità, oltre due mila in più rispetto al 2022. Nell’arco di trent’anni, il numero dei centenari nei territori metropolitani si è infatti quintuplicato, passando da 3,4 a 15,2 ogni 10 mila anziani. Questi sono i numeri che danno la misura della transizione demografica che stiamo vivendo, e che si prestano a una lettura sia quantitativa che qualitativa: una società nuova così costituita non può tener conto dei cambiamenti anche nella percezione di sé, negli stili di vita, nei consumi, nelle aspettative personali, nella nuova rappresentazione sociale e anche nei nuovi rapporti tra generazioni.
Lo studio condotto e promosso da Osservatorio Senior in collaborazione con AstraRicerche nel corso del 2023 ha analizzato proprio questa combinazione. Sono state realizzate circa mille interviste su un campione rappresentativo di persone tra i 60 e i 75 anni dell’universo di riferimento con la tecnica mixed mode. Obiettivo del progetto di ricerca, indagare sulla consapevolezza, tra i 60-75enni, del loro ruolo in questa transizione, del loro impatto sulla società, sulla politica e sull’economia, soprattutto sostenibile (silver ecology). I risultati rivelano una forte presa di coscienza delle persone di questa fascia di età nell’interpretare il loro ruolo nella società, e anche nella loro potenzialità, e capacità, di affrontare le nuove sfide poste dal rapporto tra generazioni.
L’82 per cento ritiene che le differenze tra generazioni siano una ricchezza da valorizzare in tutti gli ambiti: lavorativi, associativi e familiari, ma anche che la qualità delle relazioni intergenerazionali abbia un ruolo importante sia per sé stessi (67 per cento) che per la società (77 per cento). Due senior su tre sono convinti che la responsabilità di favorire un buon rapporto tra generazioni debba ricadere in egual misura tra la propria generazione e quelle più giovani. Solo uno su quattro pensa che questo ruolo di conciliazione spetti prevalentemente alla propria generazione, molti meno quelli che invece pensano che sia compito dei giovani. L’ottimismo sulla possibilità di raggiungere un buon rapporto tra generazioni prevale sul pessimismo, ma con una differenza di pochi punti percentuale. Al centro del conflitto è sempre la giustizia intergenerazionale, lo sfruttamento dell’ambiente, il lavoro, la spesa pubblica per le pensioni, che fa capo a una generazione, i baby boomers, spesso accusata di egoismo. Secondo quando emerso dall’indagine, il 44,4 per cento si ritrova “poco” o “per niente” in tale giudizio negativo, ma più di uno su quattro (il 28 per cento) lo condivide “molto” o “abbastanza”. Vi è quindi un pensiero diffuso (soprattutto tra chi ha livello di istruzione più alto), anche se non maggioritario, che porta i senior a interrogarsi sulla propria responsabilità e ruolo in questo disequilibrio generazionale.
La ricerca ha evidenziato differenze rilevanti in base all’appartenenza alle diverse classi socioeconomiche. La fascia più alta è di fatto già orientata all’invecchiamento attivo, a scelte di consumo e investimento attente allo sviluppo sostenibile, a valorizzare i rapporti tra generazioni.
Tra le attività che mettono in atto, le più praticate sono: “insegno il mio saper fare e trasmetto le mie competenze ai più giovani”, “aiuto e sollecito i più giovani a far emergere le loro idee, abitudini, stili di vita”, “cerco di attribuire responsabilità e potere decisionale ai più giovani quando svolgo attività con loro”. Poco praticato invece l’aiuto finanziario dato a giovani non facenti parte della famiglia. Tuttavia, anche tra i senior le diseguaglianze intragenerazionali (in termini di minori risorse culturali ed economiche) tendono a indebolire sia la valorizzazione della propria fase della vita, sia la capacità di sentirsi attivi verso il contesto generando anche valore sociale. Come ha commentato Alessandro Rosina: «Nel complesso, i dati della ricerca evidenziano come migliorare la qualità della vita in età anziana e la consapevolezza delle proprie potenzialità, in una società che invecchia, non abbia solo effetti positivi sul contenimento dei costi sanitari, ma tenda a favorire comportamenti, consumi e investimenti che generano valore collettivo: verso le nuove generazioni e per lo sviluppo sostenibile. La qualità del futuro delle economie mature avanzate dipende molto da quanto i senior agiranno in questa direzione. Non si tratta meramente di silver economy, ma di un cambiamento più profondo nella dimensione culturale e rispetto al ruolo sociale». Con questo ulteriore progetto di ricerca, Osservatorio Senior si propone di fornire un contributo attivo alla discussione sulla partecipazione dei senior allo sviluppo sociale del Paese. L’auspicio è che le analisi e gli studi sulla transizione demografica, possano fornire spunti di riflessione sia ai decisori pubblici, sia a chi ha la responsabilità di orientare le politiche, sia ai media affinché possano divulgare maggiore consapevolezza e conoscenza per limitare ageismo e semplificazioni controproducenti.
Il report completo è scaricabile a questo link.