Nel 2050, Passaggio al nuovo mondo (Il Mulino) è stato presentato in Fondazione dall’autore Paolo Perulli, in dialogo con Anna Grandori, Fabio Rugge e Piero Bassetti. Di seguito una sintesi della discussione (a cura di Francesco Samorè), il video completo degli interventi, il podcast e alcune fotografie.
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Sintesi (a cura di Francesco Samorè)
Nel 2050, Passaggio al nuovo mondo (Il Mulino) è stato presentato in Fondazione dall’autore Paolo Perulli, in dialogo con Anna Grandori, Fabio Rugge e Piero Bassetti. Di seguito una sintesi della discussione (a cura di Francesco Samorè) e il video completo degli interventi.
Dopo anni di ricerca e insegnamento dedicati all’analisi dei fenomeni sociali ed economici del nostro tempo (Il debito sovrano, The Urban Contract, Terra mobile) Paolo Perulli si misura con il Passaggio al nuovo mondo, e il discorso si fa assertivo. Lo scenario è un capitalismo in cui ha prevalso l’agonismo di rapina, insieme alla pretesa di connettere tutti gli individui perdendo di vista la società. Classe media globale dei paesi emergenti, élite dei paesi avanzati e classe media di questi ultimi sono attraversate da un’altra triade: minoranza organizzata, classe creativa, neoplebe. Quest’ultima è protagonista del libro: non connessa né mobile, bianca, senza diploma in zone operaie e rurali, comunque al margine dei centri che detengono il potere economico e comunicativo. E’ una parte maggioritaria del popolo in procinto di compiere una secessione. Un grande aggregato di ceti perdenti. Le élite, sempre meno in grado di guidarla, provano a blandirla. Gli automatismi del mercato e delle tecnologie informatiche sembrano condizionarne i comportamenti.
Cosa accomuna élite, neoplebe e classe creativa? La minaccia di annientamento simboleggiata dallo spillover, il salto di specie che reca la pandemia e costringe tutti a ripensamenti radicali. La pretesa visionaria che gli uomini si liberino dai legami naturali per creare una seconda natura a cui sottomettersi è giunta al termine. Infatti è qui che, per l’autore, “casca” la classe creativa, capace di inventare stili di vita ecologisti ma non di imporne l’adozione all’intera società. La sua principale debolezza è insomma non saper diventare “classe generale”. Dunque le occorre allearsi alla neoplebe o meglio a una sua parte, per definire un campo di regole comuni basate su pochi punti essenziali: i diritti di controllo sull’informazione (detenuta oggi dalle imprese dominanti del web), i diritti sociali universali che coinvolgano l’intero lavoro globale, l’ecologia del pianeta a rischio di estinzione. La dominanza del risentimento, nelle schiere della neoplebe, è un problema storicamente affrontato, nel suo tempo, da Gramsci (l’alleanza tra proletariato urbano e masse contadine esigeva educazione, dunque l’intellettuale doveva dedicarvisi) mentre l’odierna classe creativa, erede della società civile hegeliana, crede in sé stessa e nelle proprie ragioni. Dunque il libro di Perulli è “un appello al lavoro intellettuale perché si mobiliti nel poco tempo che resta per progettare un mondo nuovo” e tutta la seconda parte è dedicata al “mondo di domani“.
Ma ecco com’è andata la discussione. Il libro – esordisce Perulli – è esplicitamente dedicato a Piero Bassetti, il quale per decenni ha rappresentato una sfida intellettuale e un’eresia politica: ha indicato il tema del glocalismo come nostro orizzonte futuro. Quando comincia “il mondo di ieri” sul quale si sofferma la prima parte del libro? Nel 1989. Le potenze economiche e tecniche “senza Stato” profetizzate da Carl Schmitt hanno preso il sopravvento. L’epoca che Brezinski annunciava, quella in cui le imprese multinazionali e le banche internazionali determinano molto, anch’esse “libere” dallo Stato, si è affermata. I pensatori progressisti e quelli conservatori sono sembrati convinti che le divergenze andassero appianandosi, che il mondo andasse pacificandosi. L’autore esprime un’opinione diversa e critica. Oltre il 90 percento delle imprese più capitalizzate continua a investire in modo insostenibile, e la finanza continua ad alimentarle. I cambiamenti climatici sono già tali da rendere irrealistici gli obiettivi fissati dall’ONU per il 2030. Le diseguaglianze si allargano. I buoi sono già fuggiti dal recinto. Da qui l’attenzione per il soggetto più diseguale, l’aggregato che Perulli, come già ricordato, chiama neoplebe. E quella per la classe creativa, detentrice di “un sapere senza potere” che teoricamente sarebbe destinata a sostituire l’élite mondiale al suo completo, ormai ossificata e arroccata.
Anna Grandori ritiene che la prima parte del volume contribuisca a fornire una nuova analisi delle strutture sociali e delle loro dinamiche, a fini “misti” di previsione e progettazione. La protagonista, per lei, è la classe creativa. Ma ritiene forse pessimista la visione che le attribuisce “sapere senza potere”. In fondo l’esplosione delle startup a vocazione tecnologica, a datare dal Duemila, ha riunificato lavoro e diritti di proprietà. Grandori, nel suo libro Dieci tesi per l’impresa, cita la formula del romanziere che ha scritto “il futuro è già presente ma non è uniformemente distribuito”. Il problema, semmai, è nella neoplebe che dovrebbe allearsi al primo gruppo: è un’ipotesi che vede più rarefatta. E poi, a suo avviso, bisognerebbe mantenere il riferimento al diritto, inteso come terzietà delle istituzioni (comprese le imprese): una risorsa e insieme una difesa verso chi, neoplebe, di particolari garanzie non ne ha. Con Edgar Morin, dice Grandori, “rinunciamo al migliore dei mondi possibili, ma non rinunciamo a un mondo migliore”.
Fabio Rugge colloca l’anima del libro di Perulli nella proposta per il futuro. Perché il tempo sta scorrendo, sta finendo. Su alcune lacerazioni non possiamo più mettere toppe. Qui si mostra il fallimento delle élite e del discorso politico che avrebbe dovuto indirizzare il corso di questi anni. All’autore, Rugge domanda se non ritenga che la globalizzazione abbia però mostrato effetti anche positivi, a cominciare dall’uscita dalla povertà di centinaia di milioni di persone in Asia. E se, in fondo, i fallimenti dello Stato in Occidente, o anche delle socialdemocrazie nord-europee, non siano da attribuire a transizioni storiche di portata tale da trascendere gli oggettivi limiti della generazione politica dei Blair o degli Schroeder.
Perulli riflette su quanto sollevato da Grandori e Rugge. Certamente l’impresa, anche nelle sue forme più recenti, contiene anche il germe di risposte possibili. Ma è sul tema del diritto che, seguendo Lina Khan, neo-guida dell’antitrust statunitense, bisogna soffermarsi sul “paradosso di Amazon”: il neoliberismo ha convinto persino la tradizione antitrust che proprio le pratiche pervasive dei GAFA, ammantate di apparenti benefici per i consumatori, non debbano essere oggetto di contrasto. Invece l’allocazione dei diritti di proprietà, secondo Perulli, dovrebbe diventare “di filiera”; così come bisognerebbe iniziare ad annoverare tra i commons i dati e la conoscenza. A proposito del “merito” e della sua “tirannia” (è il titolo del libro di Michael Sandel), Perulli ritiene che prevalgano l’ascrizione e la rendita anche nelle principali scuole internazionali di riproduzione delle élite.
Piero Bassetti sostiene che la tesi fondamentale del libro non sia constatare che il nostro mondo ha sbagliato, bensì rendersi conto che nel 2050 avremo un mondo nuovo, attrezzandoci per l’azione. Con otto miliardi di persone, sarà un mondo inospitale. Ripartiamo dallo spazio e dal luogo, come ci chiede di fare Perulli; il luogo è il pianeta! Dobbiamo garantire la funzionalità del sistema mondo. Se lo spazio è un sistema di rapporti, il luogo dell’incontro con l’altro, la prospettiva per trattare i problemi è glocalista. Alziamo il tiro e rendiamoci conto che i problemi del nostro mondo non sono “interni” ma appunto glocali. Abbiamo scatenato delle dinamiche – sull’informazione, sulla mobilità, sull’energia – che non possono essere controllati con le dinamiche di potere proprie del mondo tramontato. Per esempio, con Globus et Locus (che co-organizza questo incontro) studiando i processi messi in moto dal treno ad alta velocità nella pianura padana si è constatato che nessuno dei poteri territoriali è interamente in grado di indirizzarne le conseguenze economiche e sociali. Bassetti vuole dunque riportare l’apprezzamento del libro alla constatazione che le variabili fondamentali della nostra esistenza sono cambiate. Non l’Istat, ma i satelliti ci danno l’informazione; la demografia condiziona la mobilità. L’assunzione definitoria di quale sia “il nostro luogo” è sovraordinata rispetto alla discussione sui nuovi poteri (e allora, poi: quali élite? Musk o i premi Nobel? Quali classi creative: gli allievi di Harvard o quelli che, scopriremo, sono arrivati dal Mediterraneo? E poi quali élite creative offrono soluzioni alla transizione energetica?)
Il libro di Perulli, conclude Bassetti ha il coraggio di porre i problemi e di constare che alcuni di essi non sono stati affrontati nemmeno nelle premesse. Come glocalisti dobbiamo essere coerenti con quest’ordine di problemi; è una sfida cui nemmeno l’Europa può sottrarsi.
(Si leggano anche l’invito alla lettura del libro e la review a cura di Jonathan Hankins)