(Le riflessioni in questo post si riferiscono alle cinque domande poste da Piero Bassetti QUI – Per leggere tutti i post di questo tread: QUI).
Covid 19 ha riportato drammaticamente nel mondo occidentale la Storia. Smentita definitivamente l’idea che questa fosse finita, il crescendo di ‘asetticità’ che ha caratterizzato il nostro orizzonte negli ultimi cinquant’anni, con azioni su azioni prive di conseguenze, si è bruscamente interrotto ed improvvisamente ‘ciò che accade’ è tornato a dispiegare i propri effetti in modo tangibile, esorbitante, straziante, impattando su due delle dimensioni più neglette nella contemporaneità: la sofferenza e la morte. Non sono più allora le opinioni (sempre) contrapposte della politica ad essere al centro del dibattito e della vita, ma i nudi fatti. Torna centrale il ruolo degli esperti, che conoscono la porzione di mondo di cui si occupano e sanno come agirvi puntualmente. Così si scopre che durante l’emergenza, almeno nel breve periodo, i cittadini sono disposti a lasciare che l’agire degli esperti abbia effetti diretti sulle proprie vite, più di quanto non lascerebbero fare alla politica, che, infatti, ha agito per buona parte della crisi come garante (democratico) del potere esperto.
Le esigenze della democrazia e quelle della prassi non possono però essere pacificate per questa via una volta usciti dall’emergenza. Cionondimeno, quanto accaduto lascerà una traccia su come competenza politica e competenza tecnica possono interagire. Se alla tecnica si chiederanno conoscenze puntuali e non appartenenze, cosa chiedere alla politica? (I) Un decision making che sappia fare propria la tecnica e non esserne ‘solo’ garante o ancor peggio utilizzatore. La strada è che la competenza della tecnica e l’innovazione che ne deriva vengano ricondotte dalla politica in una visione concreta orientata al progresso. È questo il termine e l’orizzonte che può rendere (nuovamente) complementari doxa e competenza e (III) fare uscire dall’inevitabile frustrazione dell’impotenza una politica, intesa come arte di intrecciare le diverse istanze della polis, che non può governare direttamente l’innovazione (nel ‘realizzare l’improbabile’, all’innovazione si deve chiedere di autogovernarsi in modo responsabile, ma non si può chiederle di legarsi ad una paternità, ad un potere), ma può e deve essere massimamente attenta a tradurla in un orizzonte di progresso, che è l’innovazione declinata nella e per la polis.
Se il mondo ‘di prima’ era un mondo ‘asettico’ nel quale poteva prosperare l’innovazione separata dalla polis, nel mondo di domani, nel quale la politica dialogherà con consapevolezza con l’innovazione non pretendendo di governarla, ma traducendola in progresso, (II) non basterà laurearsi da remoto. Anzi, sarà necessario trovare strade concrete per declinare tutto ciò che è smart in qualcosa che crei e mantenga il legame tra le persone. Ponendo tale legame al centro della visione di progresso, allora reggeranno, dovranno reggere, si troverà il modo di far reggere i sistemi sanitari (perché la perdita ‘dei propri cari prima del tempo’ potrà essere nei fatti, ma non può e non deve (!) essere determinata per legge); si guarderà ad approcci di cooperazione caratterizzati da un virtuoso ‘egoismo di gruppo’ e la formazione diverrà centrale. Perché la comunità epistemica di chi si forma, o forse più diffusamente si educa reciprocamente, è e sarà la chiave per la declinazione di azioni concrete e responsabili.
Per quanto le connessioni possano essere reticolari (IV), dunque, l’orizzonte del progresso, come chiave per la declinazione dell’innovazione nella politica, consentirà di minimizzare le demagogie e sbalzare la ‘rinnovata domanda di spirito cooperativo’, in un mondo che sarà certamente ‘glocale’ e dunque caratterizzato dal permanere quantomeno di una tensione tra centri e periferie, alla quale si affiancherà ancor più quella tra aperture (responsabili), quelle che vediamo oggi, e chiusure, quelle che abbiamo spesso visto fino a ieri, a tutti i livelli.
Così, lo stato-nazione (V) appare sempre più (ma mai definitivamente) svuotato verso il basso dalle comunità dei luoghi e verso l’alto dalle sfide imposte dai ‘problemi glocali’. Il problema, come sempre, è trovare chi possa incarnare quell’exousia, l’essere oltre, che ha da farsi carico, rendendo immanente la trascendenza e trascendente l’immanenza, del progredire della Storia.
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