The reason we don’t live in a dungeon is
because people have joined together to change
things
Noam Chomsky
I moderni insegnano che le tragedie non sono semplici cattive notizie. Non sono soltanto brutti eventi, fatti dolorosi. La tragedia lacera, squarcia. Allora è tale: quando si è di fronte a due valori che si ritengono entrambi importanti, addirittura irrinunciabili, e bisogna scegliere fra uno dei due. Quando Rodrigo, nella tragedia francese del Cid di Corneille, deve scegliere tra dovere e amore, fra vendicare il proprio genitore, offeso dal padre dell’amata Chimena, perdendola per sempre, oppure salvare il sentimento ma perdere l’onore.
Davanti a Covid 19 siamo in un “dilemma corneliano”: chiamati a fare una scelta che sembra impossibile tra due valori parimenti importanti. E i due valori in gioco sono la salute e il lavoro delle persone (più astrattamente, l’economia). Negli ultimi giorni questo dilemma è innanzi a tutti i governi europei, come ha evidenziato Bettiga per Fondazione Bassetti. Tuteliamo con il massimo della forza la salute pubblica e, tramite essa, ogni singola vita? Allora ci aspettiamo l’implosione dell’economia, una recessione dalle conseguenze imponderabili, una perdita di posti di lavoro di entità per ora incalcolabile. Spingiamo al massimo i motori dell’economia, facciamo come se nulla fosse (il “businness as usual” rivendicato dal premier inglese Johnson)? Allora si asseconda una (terribile) selezione “malthusiana” in cui gli “eliminati” sono persone come noi, triturati in una medicina di guerra di un sistema sanitario – nel peggiore (ma affatto irrealistico) degli scenari – allo sbando.
Il pathos di questo tragico dilemma, fra le istituzioni politiche, è soffocato dalla discrezione che accompagna da sempre la ragione di stato e l’obiettivo di non procurare eccessivo allarme. E pure dalla grande incertezza: non sappiamo effettivamente fare previsioni precise, elaborare calcoli costi-benefici affidabili. Non è nemmeno da escludere che il dilemma evocato poc’anzi sia, in realtà, un falso dilemma, e che si sgonfi come un palloncino: ad esempio, è possibile che la strada di tutelare prioritariamente l’economia (recente azzardo di Johnson) si riveli molto presto insostenibile umanamente, controproducente per lo stesso benessere economico, mostrando che il lockdown, in attesa di cure e di vaccini efficaci, è di fatto una via obbligata, e che prima lo si mette in pratica e meglio è per tutto. Ma per ora, davanti ad una malattia inedita, si tratta soprattutto di scommettere nella gerarchia di valori in cui crediamo. Sperando che la tutela prioritaria del valore massimo, la salute per il governo italiano (e anche, nel suo piccolo, per chi scrive), possa non avere conseguenze eccessivamente gravi per il secondo (grande) valore, quello dell’economia e del lavoro. Perché si muore, orrendamente, di polmonite virale, ma anche di recessione e di disoccupazione.
Davanti a situazioni come queste siamo nottole di Minerva, in grado di spiegare la realtà solo quando è al termine del suo sviluppo. Dilunghiamoci, quindi, ancora per un po’ su quanto abbiamo capito da ciò che è accaduto finora. Innanzitutto, è stato sorprendente osservare la reazione della Cina, stato autoritario. Dopo i tentativi di minimizzare e di nascondere, il regime ha adottato il “pugno di ferro” contro la diffusione di Covid 19, e quindi nei confronti della popolazione cinese. A costruzioni di ospedali in pochi giorni si sono associate pene severissime (in alcuni casi la pena di morte) per coloro che non rispettavano le direttive. Attualmente il numero di contagi giornaliero si conta nelle dita di una mano. Efficacia ed efficienza sembra siano state raggiunte, ma ad un grave prezzo politico.
Ora sta alle democrazie di lungo corso europee adottare misure adeguate e proporzionali. Cercando di conciliare libertà con sicurezza, in una sorta di quadratura del cerchio. Non soltanto imponendo decisioni verticistiche, ma anche e soprattutto coinvolgendo l’opinione pubblica, persuadendo. Una democrazia funziona così. Ma, se i regimi autoritari hanno il (grave) difetto di sottovalutare o nascondere gli effetti dell’epidemia (si pensi alle notizie che stanno filtrando dall’Iran sulle fosse comuni), quelli democratici sembrano avere un altro problema: giustificare le dure azioni di contenimento. Ci è chiesti, spesso, e se lo è chiesto anche Bettiga, perché molte democrazie occidentali, soprattutto con il caso italiano sotto gli occhi, hanno fatto per settimane come se nulla fosse, invece di intervenire preventivamente. Si potrebbe rispondere “è la democrazia, bellezza”. Una democrazia, per giustificare azioni dure e straordinarie alla popolazione, da “stato di emergenza”, deve aspettare che l’emergenza arrivi effettivamente. Non è sufficiente che un’autorità sanitaria di saggi esperti, o che un capo del governo “illuminato”, veda razionalmente il pericolo da lontano, e prenda misure come se il pericolo fosse qui e ora. Perché, in questo caso, la popolazione non seguirebbe, non capirebbe: continuerebbe a fare la fila per gli skipass, o sbufferebbe infastidita per i meeting di lavoro cancellati, o si lamenterebbe per i bambini che si devono tenere in casa e lontani dai nonni, al tempo stesso. O, ancora peggio, griderebbe al “colpo di stato”.
Una democrazia, inoltre, è pluralista. Un valore incommensurabile in tempi normali, quando si ha il tempo di affrontare una questione, di dibatterla, di fare maturare una decisione inclusiva. Anche per controllare le decisioni dei pochi. Ma può essere un possibile problema nei rarissimi casi in cui si deve prendere una decisione veloce, davvero veloce (non a caso, in caso di pericolo imminente, la repubblica romana prevedeva la figura del dictator, suggerendo come la temporanea concentrazione di potere possa essere una “forzatura fisiologica”, e non patologica, in una democrazia davanti ad una gravissima emergenza). Abbiamo scoperto che pluralista, in una democrazia, è addirittura la scienza. Non esiste la Scienza, “monolitica”, come a volte viene suggerito proprio per “puntellare” la legittimità di dure decisioni politiche. Piuttosto esistono tanti scienziati che, fra loro, hanno posizioni anche diverse, soprattutto nelle fasi di incertezza. Emblematico a questo proposito è stato il confronto fra la virologa Gismondo, secondo cui Covid 19 era poco più di una influenza, e il più celebre Burioni, che invece da subito metteva in guardia sulla pericolosità del nuovo virus. Ma anche fra la lettura del comitato tecnico scientifico italiano e quella dei consulenti del premier inglese. In democrazia, insomma, il contributo degli esperti è libero e prezioso, ma nessun “illuminismo applicato” è possibile: più spesso, piuttosto, troviamo degli esperti che “difendono” diversi punti di vista e che vengono “eletti” come rispettivi riferimenti scientifici da posizioni politiche differenti fra loro.
Un’altra rilevante lezione che ci lascia la curva crescente di Covid 19 riguarda la società. Thatcher rivendicava che “non esiste la società, esistono solo gli individui”. Una sorta di profezia che, negli ultimi decenni, si è auto-avverata. Questa pandemia, invece, rende palese non soltanto che la società esiste, ma che si caratterizza come unione maggiore della somma delle sue parti individuali. La salute non è solo un bene individuale, ma anche un bene comune, collettivo, che quando è tutelato protegge anche i singoli, come se fosse un ombrello sotto il quale proteggersi. Forse non è un caso se, dopo tanti anni di regionalismo, si sente parlare nuovamente di sistema sanitario nazionale, e di pazienti lombardi che vengono trasferiti in Toscana, Puglia, Sicilia. O dello stato spagnolo che “requisisce” la sanità privata. O di amministratori leghisti che chiedono aiuto e di medici delle ONG, della Cina, del Venezuela, di Cuba che rispondono all’appello. Questi fatti dovrebbero fare riflettere sulle ideologie opportunistiche, di free riding politico, del “padroni a casa nostra” e dell'”aiutiamoli a casa loro”. Quello di cui c’è bisogno è di solidarietà, che non è “molle” o “buonista” (che stupida etichetta), ma coraggiosa e intelligente, in quanto evita il dilagare di un egoismo che rischia di danneggiare gravemente anche coloro che, sbagliando, sentono di poter contare solo su sé stessi.
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Post in dialogo con:
>>> ON POLICY CHOICES BY EUROPEAN COUNTRIES DURING THE 2020 COVID-19 OUTBREAK. Di Maurizio Bettiga.
>>> In Response to ‘On policy choices by european countries during the 2020 Covid-19 outbreak’. Di Jonathan Hankins
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