(Le riflessioni in questo post si riferiscono alle cinque domande poste da Piero Bassetti QUI – Per leggere tutti i post di questo tread: QUI).
Essere glocal significa riuscire a realizzare congiuntamente il massimo coinvolgimento del singolo abitante del pianeta e il massimo di convivenza civile globale, nelle relative forme sociali e istituzionali.
A questo scopo credo che sia necessario ispirarsi a un nuovo principio di sussidiarietà globale, principio che ha radici millenarie, laiche e religiose, ma che dovrebbe essere concepito come aperto, dinamico e flessibile, per governare le identità e le conflittualità che si manifestano a tutti i livelli in quanto insite nella natura umana. Tenendo conto del fatto che il gioco delle vocazioni, delle capacità, delle competenze e anche dei rapporti di potere e dei privilegi costituiti crea disuguaglianze che spetta alle istituzioni rendere compatibili e funzionali alla libertà di tutti, intesa come bene indivisibile.
Dialogo continuo per conciliare le diverse identità, che hanno di per sé una straordinaria resilienza storica, ma che vanno tutelate e valorizzate nella misura in cui non siano arroccate, ma aperte agli apporti esterni, senza il timore di esserne snaturate ma anzi nella fiducia di esserne arricchite. Occorre fare in modo che le identità, i sensi di appartenenza e i loro conflitti siano più vicini ai commerci e agli sport (pensiamo a una squadra di calcio, dove conta il tocco del piede e non il colore della pelle) che alle guerre. Meglio ancora, che ogni persona divenga portatrice consapevole di diverse identità, convergenti ma anche contraddittorie nella complessità di ogni essere umano, e variabili nel tempo.
Il massimo risultato sarebbe la soluzione di conflitti come quello arabo-israeliano, grazie alla acquisita consapevolezza che le rispettive identità non verrebbero mai meno se la loro convivenza si realizzasse in uno stato non confessionale, anche in presenza di matrimoni misti.
Credo che le rivoluzioni tecnologiche, l’affermarsi di sistemi reticolari in tutti i campi dell’agire umano, dallo scambio di informazioni alla distribuzione di energia, non possano far venir meno il principio di sussidiarietà.
Anche le reti sono e dovranno essere governate per assicurare una ragionevole equilibrio tra doxa (opinione) e episteme (conoscenza, competenza). Come sperimentiamo oggi, nessun sistema informatico o progresso nell’intelligenza artificiale potrà sostituirsi ai parlamenti, cioè ai luoghi dove si parla al di là dei rapporti tecnico-strumentali.
Quanto al potere degli umani nell’universo mondo, è sempre utile una rilettura del libro di Giobbe (o della storia di Giona, più divertente). La frustrazione si supera con una consapevolezza adulta dei limiti, che lasciano tuttavia spazi indefiniti alla creatività e all’innovazione. L’universo non è un Truman Show.
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