Piero Bassetti è stato protagonista del primo incontro del ciclo “Brava Gente” di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Un’intervista sulla storia, dedicata al “Capitalismo”, svoltasi a Milano il 20 febbraio 2020 e condotta da Rosa Polacco di Radio 3.
Rendiamo disponibile il testo che Piero Bassetti ha scritto in preparazione dell’evento, il podcast e le fotografie dell’incontro.
Confesso che non avrei mai immaginato di dover parlare del mio incontro con la storia!
Poi però ne ho capito il senso: non che l’incontro con me sarebbe stato storico; a interessare, invece, è un’esperienza da condividere su ciò che la storia è: la vita, tutto quello che cambia intorno a noi, tutto quello in cui siamo immersi.
Mentre in passato eravamo adusi a considerare la storia una dimensione libresca, perché – per essere chiamati storia – gli avvenimenti postulavano una latenza, oggi l’innovazione ci scoppia sotto il sedere, ci avvolge, ci circonda, ci penetra e ci trasforma.
Comincerei dalla Luna.
Io ci sono stato.
47 minuti di allunaggio, comodamente seduto in via San Vittore, ospite della realtà aumentata installata nel Museo nazionale della scienza e della tecnologia. Ho fatto un’esperienza costruita dall’apparato tecnico-digitale, che attua la traslazione tra la realtà dell’Apollo e la tua testa. Vai sulla Luna, seduto al museo.
L’assunto del glocalismo è la rivoluzione di spazio e tempo. Cambia l’ontologia del topos, nel senso che un luogo perennemente penetrato dal globale non è più locale; fenomeno determinato dall’irruzione della tecnologia, che ci ha collocato nel panta rei: ciò che sta è qualitativamente diverso da ciò che si muove. L’incontro coi fatti che ci circondano è rivoluzionato dal cambio d’epoca.
La fisica quantistica mette in discussione persino i presupposti della materia. Offrendo, a mio parere, una metafora chiarissima per capire come cambia una forza determinante della storia: il potere.
Quando nel 1959, insieme a Giacomo Corna Pellegrini, scrivemmo Le redini del potere partendo da uno dei fenomeni fisici più dirompenti – la bomba atomica – la fisica quantistica era una delle cose che non avremmo potuto immaginare. Eppure sappiamo, anche per intuizione, che nel potere ci sono elementi che trascendono o eccedono il razionalismo. Pensate all’innovazione che né si può produrre né governare ma solo promuovere o impedire.
Vale anche per la statualità: io dico che la statualità nazionale è come la fisica novecentesca, mentre il panta rei, la glocalizzazione, lo spazio/tempo zero creano una statualità ontologicamente diversa da quella che sta, il participio passato del verbo essere: “stato”.
Ne deriva che anche la norma – base del diritto – ha fatto il suo tempo, perché è costruita su due cose: la normalità razionale (la norma) e il tempo differito (la normalità).
E poi: se l’innovazione è realizzazione dell’improbabile, allora un mondo costruito sull’improbabile è un mondo costruito sulla fisica quantistica.
Non vorrei si pensasse che ci stiamo allontanando dall’esperienza biografica del signor Bassetti. Di esperienza, ognuno ha la sua. La mia è politica. Comincia a Milano. Ma cosa c’è oggi di più emblematico se non Milano, per leggere il cambio d’epoca? Stiamo attenti a pensare che questa città oggi sia avanguardia. Milano, anzi, è anti-italiana in questo momento. Sulla città si scarica il massimo del capitalismo finanziario.
Milano propone il funzionalismo invece del civismo territoriale, che è la tradizione italiana, e lo propone intorno alla degenerazione neofinanziaria.
Perché oggi cosa fa l’immobiliarista? Va da un fondo e gli dice “Ti faccio investire un miliardo e tu mi dai lo 0,5% di 1 miliardo”; poi chiamano un imprenditore, fanno un grattacielo, ma sostanzialmente la logica è “ti costruisco l’occasione di spendere i soldi che hai portato via al contadino del Wyoming, il quale si troverà fallito come quelli di Bari fra vent’anni“. All’interno di questo giro, Milano si sta costruendo, diciamo, la nuova Milano.
Il problema delle funzioni si ricollega a un mio antico – ma credo ancora utile – discorso sul primato delle istituzioni funzionali rispetto a quelle territoriali: il primato del Frecciarossa sul piano regolatore, il primato della rete sulla piramide gerarchica, il primato del registro delle imprese sull’anagrafe.
Tutto ciò richiama un’idea di archia, anzi di neo-archia non più costruita sul controllo del territorio. Ma costruita invece su un nuovo ordine. Quello che ingloba la mobilità. Concetto sul quale dobbiamo riflettere. In fondo, far politica è lavorare per la costruzione di un ordine dinamico.
La mia singolarità è forse di aver vissuto la storia come un discorso, cioè come una problematica del sapere, non del “potuto” e quindi del potere. Ho sempre pensato che servire la storia è servire il sapere del potere. Qui uno direbbe “sei stato un intellettuale”. No, la cosa che mi ha caratterizzato è l’aver sempre pensato che il sapere fosse potere.
Politica si può fare in tanti modi: si può farla comandando, insegnando, cercando le congiunture in cui le modifiche dell’ordine del sapere intercettano le modifiche dell’ordine del potere. Il sapere non è vita; il potere è vita ma non necessariamente ordine; la vita ordinata esige un raccordo tra sapere e potere non lasciato al caso.
La distinzione tra sapere, sentire e comprendere di Antonio Gramsci nei Quaderni: il sapere intellettuale del pedante (non quello organico); il sentire del popolo (che esperisce, ma può essere cieco, populista); il comprendere è la sintesi, cioè l’intellettuale organico: se sai e senti, comprendi, appunto, la storia.
Oggi nella politica si ascolta una grande domanda di estrarre qualche testimonianza di riscatto, la testimonianza di un ordine possibile, accettabile. Quello che caratterizza la storia è il continuum delle esperienze. La storia non ammette distinzioni, è totale. E il suo bilancio energetico è come l’entropia e la neghentropia, cioè la ricerca di un ordine di fronte al dissiparsi dell’energia. L’uomo cerca ordine in sé stesso: re-ligio, legare tra loro le cose.
La mia vita mi ha consentito, in settori diversi, di esperire il fondamentale disordine di una storia, la nostra, non vista solo in modo locale ma glocale, e di rispondere con la ricerca di un discorso alla domanda di senso, alla domanda di valori. Sono stato:
– studente bocconiano: il capitalismo, Schumpeter, l’esperienza americana e inglese;
– staffettista: l’idea di alzare il limite, di vincere passando il testimone al compagno, in uno schema di comportamento insieme fissato ma non limitato;
– artigliere: non devi centrare l’obiettivo al primo colpo, ma al terzo;
– uomo d’impresa: l’impresa è come un’organizzazione politica che però ha rinunciato al “senso” per sostituirvi la misura: il profitto. Il capitalismo finanziario ha inventato la possibilità di misurare il valore soggettivo scisso da quello storico.
L’homo econonomicus è a-storico. In una fase storica di crisi, senz’altro del mondo occidentale, in cui sono messi in discussione l’appeal della ricchezza (come sola portatrice di status e di senso) e la capacità manageriale e tecnocratica di gestire processi collettivi, in cui l’innovazione spalanca orizzonti di opportunità e di spaesamento, constatiamo ancora una volta che, da sola, la dea ragione non produce etica.
Senza etica, va in crisi la politica.
Questa crisi è figlia della materialità della tecnica o, piuttosto, della fatica a individuare il “luogo” nel quale i valori della comunità vengono cercati e condivisi?
L’economia tecnologica sta emarginando anche l’economia capitalista e ha portato la vera politica fuori dalle tradizionali istituzioni.
L’intelligenza creativa, la cui funzione di sviluppo civile era tanto cara a Cattaneo, origina ormai fuori dalle istituzioni, che pure, spesso, sono le stesse da lui prese in considerazione. Per mille ragioni, compresa la crisi, si direbbe che le nostre istituzioni vadano disperatamente cercando quello che succedeva prima.
Cosa è cambiato? È cambiato un soggetto della politica, ovvero i popoli. L’idea di popolo che, per un certo periodo, è stata agganciata a quella di nazione sta regredendo a quella di folla.
Come si può tentare di riprendere un controllo razionale e responsabile del rapporto tra potere e storia? Io sono convinto che l’unica maniera sia prendere coscienza di quello che realmente sta succedendo e avere il coraggio di reinventare l’intero quadro delle nostre istituzioni.
Si tratta di un aspetto certo molto impegnativo che però una classe dirigente, che voglia dirsi tale, non può eludere.
Perché tutto sta mutando; per esempio, nella guerra, nella comunicazione, in generale nell’innovazione tecnologica che tutto sta cambiando, dalle intelligenze, alla salute, ai comportamenti familiari, ai comportamenti intergenerazionali.
I problemi d’epoca sono affrontabili da una dimensione locale o da una dimensione glocale? Dopo aver maturato una riflessione ventennale su questi argomenti, tanto attraverso Globus et Locus quanto in Fondazione Giannino Bassetti, dico che non si può scegliere uno o l’altro corno del dilemma ma bisogna assolutamente riuscire a gestirli organicamente, altrimenti il discorso diventa astratto.
Intendiamo occuparci solo dell’innovazione produttiva o, pur consapevoli dei limiti, anche delle innovazioni sociali che fatalmente ne derivano?
Un’ultima considerazione: in artiglieria si dice “il cannone spara anche con l’affusto”. Si potrebbe forse dire che le istituzioni sono l’affusto del cannone del potere. Sono esse che lo riportano al territorio, cioè ai luoghi. Oggi la natura dei luoghi non è gerarchizzata dal piccolo al grande. Il glocalismo ha fuso l’ontologia del globale con quella di tutti i locali (connettografia di Khanna). Alla soggettività stanca dei popoli nazionali sta sostituendosi quella delle civilizzazioni, dalla unione degli stati (USA) la sintesi tra stato e ideologia della Cina comunista. All’ONU, l’UNAOC (Alleanza delle civilizzazioni). Nel caso nostro, io spero, dall’italianità l’italicità.
E al capitalismo finanziario? La mobilità, velocizzata nel nuovo rapporto tra spazio quasi infinito e tempo quasi azzerato, pervade il territorio con modalità che non sono più quelle della vecchia geografia. La mano o il bastoncino passato da Schumpeter al corridore della fazione successiva.
Per me politica è arte della determinazione dei fini della polis. Ci sono allora momenti in cui la politica è fatta dagli intellettuali, altri in cui è fatta dai preti, o dai padroni. Nella società di oggi chi sono i veri protagonisti della politica? Coloro che gestiscono l’innovazione.
La prima cosa da fare per chi voglia sentirsi classe dirigente è capire. Se volete, il Papa direbbe discernere. Non si può farlo da soli, bisogna fare parte.
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