Mercoledì 24 novembre 2019 ho presentato all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano la mia penultima fatica editoriale: “Figli di Asclepio. Le radici greche della medicina occidentale” [1]. Il contesto era stimolante: due illustri relatori quali il Professor Giuseppe Girgenti, esperto di storia della filosofia antica, e il Professor Giorgio Cosmacini, esperto di storia della medicina, oltre a un pubblico con esperienze e competenze diverse: filosofi e medici, studenti e docenti, liceali e universitari, persone di fede e persone di scienza. Discutendo le premesse storiche, filosofiche e antropologiche che definiscono la natura empirica e razionale della medicina occidentale, sono presto emersi alcuni dei suoi paradossi contemporanei: in particolare, più la medicina è efficace, più aumentano i malati. E più la medicina è efficace, più le persone vanno alla ricerca di soluzioni alternative.
Come mai accade questo? Sebbene le due questioni siano strettamente connesse, ho ragionato sul primo dei due paradossi nel mio ultimo libro, Eppur si muore. Vivere di più o vivere meglio? [2]. Viceversa, vorrei qui ragionare sul secondo paradosso, in modo particolare in termini di sostenibilità della medicina, cultura della medicina, strategie di politica pubblica e innovazione.
Perché la medicina sia sempre più efficace è presto detto. In termini epidemiologici e demografici, basti pensare agli estremi della nascita e della morte. In centocinquant’anni di Italia unita, la mortalità infantile si è ridotta dal 25% (un bambino ogni quattro nati vivi moriva prima dei 5 anni) a meno dell’1%, grazie a innovazioni epocali quali la potabilizzazione delle acque, l’introduzione del Servizio Sanitario Nazionale, i sulfamidici, la penicillina, la catena del freddo, e i programmi sistematici di vaccinazione preventiva [3-5], grazie alla cui efficacia, oggi, si torna a discutere di libertà vaccinale [6]. All’estremo opposto, la durata media della vita è aumentata all’incirca di quindici anni nell’arco brevissimo di cinquanta [7]. In 7 anni, l’uomo ha accumulato la stessa quantità di conoscenze e tecnologie accumulate dal momento della sua comparsa sulla terra [8]. Oggi, grazie alla genetica e alla medicina di precisione [9, 10], diventa anche il primo animale capace di leggere, programmare e manutenere il proprio manuale di istruzioni.
Che cosa si intende, invece, per “soluzioni alternative”?
Il National Center for Complementary and Integrative Health (NCCIH) definisce la medicina alternativa, complementare o integrativa come l’insieme di quelle “pratiche non convenzionali che vengono utilizzate in sostituzione o insieme alla medicina convenzionale”, citando in esempio la massaggio-terapia, lo yoga, l’agopuntura e la meditazione [11]. Si tratta di pratiche diagnostico-terapeutiche diffusesi in Occidente fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, al di fuori del circuito universitario e ospedaliero dove la medicina era ufficialmente praticata e insegnata [12]. A detta dello stesso NCCIH, ricorrere a queste pratiche in alternativa alla medicina tradizionale non è raccomandabile. Un discorso diverso, invece, vale quando queste pratiche vengono adottate in modo complementare, o integrativo, rispetto alla medicina convenzionale, si tratti di migliorare la tollerabilità di alcune procedure invasive [13] o di soddisfare alcuni bisogni che la medicina convenzionale non è evidentemente più in grado di soddisfare. Facciamo qualche esempio.
Nel decennio fra il 2002 e il 2012, un campione di 88,962 adulti americani ricorreva abitualmente a supplementi nutrizionali diversi da vitamine e minerali (17.7%), esercizi di respirazione profonda (10.9), yoga, tai chi e qi gong (10.1), osteopatia e chiropratica (8.4), meditazione (8.0), massaggio-terapia (6.9), diete speciali (vegetariana, vegana, macrobiotica, Atkins, Pritkin, Omish: 3.0), omeopatia (2.2), rilassamento progressivo (2.1), immaginazione guidata (1.7), agopuntura (1.5), tecniche di guarigione energetica (0.5), naturopatia (0.4), ipnosi (0.1), biofeedback (0.1), Ayurveda (0.1) [14]. Al Giugno 2016, più del 30% degli Americani adulti conferma di adottare abitualmente approcci terapeutici non convenzionali [15] (secondo un’altra fonte, circa il 38% [16]).
In Italia, il trend è simile. Il Rapporto Gimbe 2018 sulla Sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale ha sottolineato come nel 2017 gli italiani abbiano speso oltre 3 miliardi di euro, di tasca propria, per acquistare prodotti parafarmaceutici (€ 1.970 milioni), nutrizionali (407), omeopatici (255), ed erboristici (167) [17]. In alcune regioni, ciò avviene di recente anche a carico delle finanze pubbliche [18].
Se la medicina basata sulle evidenze è così efficace, perché cercare altro, se di alternative si tratta? O perché cercare di più, se di complementi si tratta? Una spiegazione interessante è offerta dalla teoria del terzo attore. La teoria del terzo attore sostiene che sistemi burocratici troppo complessi generino più effetti negativi rispetto ai benefici per cui originariamente erano stati posti in essere, sottraendo risorse essenziali alla produzione effettiva dei servizi [19]. Dal punto di vista strettamente finanziario, le sue ricadute sulla sostenibilità dei servizi sanitari pubblici sono state approfonditamente studiate altrove [20]. Ma le sue ricadute nella medicina di tutti i giorni, nella medicina di chi, medico o paziente, nulla sa di finanza, sono ancora più evidenti.
Per almeno duemila anni, la storia della medicina è la storia di una relazione fra due attori: il medico, che conosce la materia e offre i trattamenti più adeguati in base ai bisogni del (suo) paziente, e il paziente, che – proprio in quanto sofferente (patiens) – si affida al (suo) terapeuta, da cui trae le risorse per combattere la malattia. Il leggendario Ippocrate scriveva nelle Epidemie che “la medicina è una lotta a tre fra la malattia, il medico e il malato, dove il medico serve l’arte, e il malato conduce”.
Nel corso degli ultimi centocinquant’anni, grazie a importanti scoperte scientifiche, nuove tecnologie e nuove sensibilità sociali, la medicina ha guadagnato fondamentali conquiste sia in termini di efficacia (sempre più soluzioni in grado di generare reali benefici alla salute dei pazienti), sia in termini di efficienza (un rapporto appropriato fra le risorse investite e i benefici ottenuti), sia in termini di equità (trattamenti e benefici accessibili a fette sempre più ampie della popolazione), a tal punto da spingere i paesi più sviluppati a introdurre sistemi burocratici atti a regolamentare, supportare e ottimizzare il rapporto terapeutico fra il medico e il paziente.
È stato proprio l’enorme progresso della medicina, tuttavia, a spingere le società più opulente a dimenticare le ragioni per cui essa è stata messa al servizio del bene pubblico. I cittadini hanno iniziato a confondere l’universalismo dei servizi (ciascuno deve avere accesso a servizi sanitari efficaci a prescindere dalle proprie capacità di acquisto [21]) con il diritto di accesso a ogni cura, a confondere la salute con il benessere e il benessere con la perfezione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’indomani del secondo conflitto mondiale, ha definito la salute come “lo stato di pieno benessere fisico, mentale e sociale”. Così facendo, ci ha reso tutti quanti malati [22, 23]. Se ne faccia una ragione il saggio medico Galeno, che all’incirca duemila anni fa, ci metteva in guardia da questo errore [24].
Davanti alla smisurata crescita dell’offerta medica e alla smisurata crescita della domanda, il sistema burocratico nato per regolamentare la cura è diventato tanto complesso da sottrarle il tempo e la qualità. I medici lamentano sempre di più di non riuscire a lavorare nelle condizioni opportune ad “esercitare l’arte”: si tratti del tempo che manca, degli spazi da offrire ai pazienti, della fiducia che viene meno, di pazienti sempre più im-pazienti, tanto da rappresentare un pericolo per la propria sicurezza e incolumità fisica [25]. I pazienti lamentano a loro volta di non ricevere sufficiente attenzione, di attendere troppo tempo per essere visitati, sia a lungo termine (liste d’attesa), sia a breve termine (pronto soccorso), di essere abbandonati a sé stessi e a cure troppo complesse, nonché di avere a che fare con più burocrati che operatori sanitari. Di chi è la colpa? Del medico? Del paziente? In linea di massima, come insegna un’efficace campagna di sensibilizzazione dell’Ordine dei Medici di Bari, di nessuno dei due, in quanto si tratta di “due facce dello stesso disagio” [26]?
Che fare?
Non credo che immettere sempre più risorse, ciecamente e a prescindere da quali siano le ragionevoli priorità del sistema assistenziale pubblico, sia la strada più sensata. Quando una bolla cresce a dismisura non la si alimenta fino a scoppiare, ma si identificano e affrontano le ragioni della sua crescita. Né si tappano i buchi. La strada dell’ottimizzazione delle risorse, o del cosiddetto efficientamento, offre ormai margini di miglioramento risicati [27]. A partire dai sensati tentativi di razionalizzazione condotti dagli economisti a partire dagli inizi degli anni Novanta, a livello sia finanziario (si pensi ai Diagnoses-Related Groups) [28] sia organizzativo (si pensi alla decentralizzazione del sistema e alla conversione degli ospedali in aziende) [29], si è oggi giunti a contare il numero di siringhe adottate dai professionisti, il numero dei giorni di degenza trascorso a letto da parte dei pazienti, e il numero dei trattamenti erogati da parte del professionista nell’unità di tempo [30]; che direi non essere, esattamente, ciò che volevamo all’inizio. Senza contare l’enorme stress caricato sulle spalle dei professionisti, costretti ad assistere sempre più pazienti, sempre più complessi, in meno tempo [31, 32, 33].
Grazie alla visione d’insieme e al talento operativo degli ingegneri gestionali, stiamo imparando a ottimizzare i processi erogativi specialmente nei contesti assistenziali ad alto volume tecnologico ed erogativo, come gli ospedali. Tale strada rappresenta senz’altro una soluzione più lungimirante rispetto alla conta dei minuti, dei passi e degli strumenti impiegati dai professionisti, nonché un elemento promettente dal punto di vista del management aziendale; dubito, tuttavia, che possa risolvere i problemi di sostenibilità e complessità del sistema, in quanto si tratta di faccende diverse. Se nel primo caso si tratta di efficienza organizzativa locale, nel secondo si tratta sempre più di stabilire obiettivi perseguibili; di ridimensionare; di ristrutturare. A tal proposito, a partire dagli anni Novanta sono stati introdotti i Livelli Essenziali di Assistenza: sebbene abbiano rappresentato un tentativo intelligente di richiamare e ordinare le priorità le sistema pubblico, ancora oggi non è chiaro, tre anni dopo il loro (primo!) aggiornamento, quanto abbiano effettivamente centrato il risultato [34, 35].
Il fatto è che non si tratta di più di ottimizzare, ma di riflettere. Se le persone cercano alternative o compensazioni non è perché la medicina non funziona, bensì perché funziona così bene che ci ha portati a confondere il senso del suo servizio alla salute individuale e pubblica, finendo per ingolfare il sistema atto a garantire un’assistenza snella, solida, puntuale e accessibile (che alla fine significa, ancora, efficace, equa ed efficiente). Il sistema sanitario universale, modello Beveridge [36], è nato per garantire che tutti ricevessero cure a prescindere dalle proprie condizioni economiche e sociali, come richiamano l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’articolo 32 della Costituzione e la Legge di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale [37]. Nel corso di pochi decenni, questo obiettivo di base è stato fortunatamente allargato a maggiori prestazioni e più ampie fasce della popolazione. Ma il sistema non è nato per garantire tutto a tutti, né sempre di più a sempre più persone.
Dunque, le soluzioni sono necessariamente radicali. Si può scegliere di non agire, mantenendo il sistema così com’è: universale per finta, senza adottare esplicite priorità di trattamento (che sono politicamente sconvenienti) e lasciando che queste avvengano di nascosto, implicitamente [38], laddove il sistema non riesce più ad arrivare; vale a dire a danno di chi non è in grado di fare fronte alla crescente complessità delle cure [39, 40]. All’opposto, si può scegliere di abbandonare interamente il sistema sanitario pubblico e seguire il modello americano, lasciando che siano le assicurazioni private, in base al mercato, a decidere della salute e della sopravvivenza dei cittadini, senza garanzia statale alcuna in termini di accesso ai trattamenti, né di sostenibilità economica delle cure. In mezzo, le opzioni sono due, parzialmente sovrapponibili e di fatto adottate dalla maggior parte dei sistemi europei [41]. Si può mantenere un sistema pubblico universale, modello Beveridge (per intenderci: il nostro e quello inglese, ma non solo), ridimensionando il paniere delle prestazioni erogate attingendo dalla fiscalità generale, educando ad un uso appropriato dei servizi; in questo modo, le risorse verrebbero concentrate per garantire più fluidamente il trattamento adeguato di una serie di bisogni più importanti. Oppure si può circoscrivere la sanità pubblica ad un fondo destinato a coprire una serie prioritaria di prestazioni o di cittadini particolarmente fragili, lasciando che i più fortunati, meritevoli o ambiziosi ricorrano al secondo o terzo pilastro [42, 43] (si tratta del modello Bismarck, adottato ad esempio in Francia, Germania, Olanda e Svizzera).
La prima via è il problema che stiamo cercando di risolvere, o la non-soluzione a cui stiamo cercando alternative. La quarta soluzione, il far west, non è decisamente auspicabile per la classe media, che non è né sufficientemente povera (o anziana) da godere dei residuali programmi di sanità pubblica (Medicare e Medicaid), né sufficientemente ricca da permettersi assicurazioni affidabili ma molto costose. La seconda e la terza soluzione sono quelle verosimilmente più percorribili e culturalmente prossime alla tradizione solidaristica europea, a patto che la terza non scivoli silenziosamente nel modello americano (sì alle assicurazioni private, a patto di una solida regolamentazione pubblica). In entrambi i casi, stabilire delle priorità in modo esplicito, con maggiore chiarezza di quanto non sia stato fatto con i LEA, resta l’unica soluzione realistica per alleggerire la barca a breve termine, senza abbandonarla né annegarvi insieme.
C’è una tendenza, nell’innovazione sanitaria, che si chiama reverse innovation. La reverse innovation è il processo per cui innovazioni pensate e create per i paesi emergenti vengono trasferite e applicate nei paesi più sviluppati, nel tentativo di contenere i costi legati all’incremento delle complessità, amministrative e culturali, a cui questi sono soggetti [44]. Più semplicemente, “innovare al contrario” significa semplificare. Attenzione: semplificare non significa rinunciare a ciò che è importante. Al contrario, significa salvaguardarlo. Non sempre andare avanti significa fare meglio. Lo abbiamo visto con la teoria del terzo attore: quando le scelte diventano troppo complicate da sostenere, è bene fare un passo indietro e rivedere le ragioni per cui sono state compiute. Il che non significa rinunciare alla potenza scientifica e tecnologica di cui disponiamo oggi; significa usarla bene.
La medicina non è riducibile alle scienze e alle tecnologie che la sottendono: la medicina è la somma delle scienze, delle tecnologie, e degli scopi per cui le impieghiamo. Sfruttare la potenza di oggi con la saggezza di ieri è una scelta coraggiosa e responsabile.
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NOTE
[1] Pennestrì F. Figli di Asclepio. Le radici greche della medicina occidentale. 2019. Bologna: Le due Torri. (Torna al testo)
[2] Pennestrì F. Eppur si muore. Vivere di più o vivere meglio? 2019. Milano: Mursia. (Torna al testo)
[3] Istat 2014. Anni 1887-2011 La mortalità dei bambini ieri e oggi in Italia. Disponibile online (Torna al testo)
[4] Quotidiano Sanità. 1861-2011: com’è cambiata la salute degli italiani. 16 Marzo 2011. Disponibile online (Torna al testo)
[5] Istat. Mortalità infantile in Italia 1861-2008. Disponibile online (Torna al testo)
[6] Pennestrì F. Quale libertà? La copertura vaccinale fra salute collettiva e scelte individuali. Politiche Sanitarie. Italian Journal of Health Policy. 2018. 19:132-139. (Torna al testo)
[7] Istat 2019. Rapporto Annuale 2019. La situazione del paese. Capitolo 3: Tendenze demografiche e percorsi di vita. Disponibile online (Torna al testo)
[8] Anderla G, Organizzazione Europea per lo Sviluppo Economico. Information in 1985; A forecasting study of information needs and resources. 1973. Washington: OECD Publications Center. (Torna al testo)
[9] Pellizzone A, Redazione Fondazione Giannino Bassetti. La medicina di precisione in cardiologia: il futuro è già presente. Incontro con Silvia Priori. 8 Agosto 2018. Disponibile online (Torna al testo)
[10] Pellizzone A, Redazione Fondazione Giannino Bassetti. La sostenibilità economica della medicina di precisione. 13 Agosto 2018. Disponibile online (Torna al testo)
[11] U.S. Department of Health 6 Human Services, National Institute of Health, National Center for Complementary and Integrative Health. Complementary, Alternative, or Integrative Health: What’s In a Name? Disponibile online (Torna al testo)
[12] Zollman C, Vickers A. What is compelmentary medicine? BMJ. 1999; 319:693. (Torna al testo)
[13] Crespin DJ, Griffin KH, Johnson JR et al. Acupuncture provides short-term pain relief for patients in a total joint replacement program. Pain Med. 2015; 16:1195-203. (Torna al testo)
[14] Clarke TC, Black LI, Stussman BJ et al. Trends in the use of complementary health approaches among adults: United States, 2002-2012. Natl Health Stat Report. 2015; 79:1-16. (Torna al testo)
[15] Vedi nota 11 (Torna al testo)
[16] U.S. Department of Health 6 Human Services, National Institute of Health, National Center for Complementary and Integrative Health. The Use of Complementary and Alternative Medicine in the United States. Disponibile online (Torna al testo)
[17] Fondazione Gimbe. 3° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. 2018. Disponibile online (Torna al testo)
[18] Quotidiano Sanità. “Omeopatia. Lega chiede di tagliare le spese nel settore. 9 Ottobre 2019. Disponibile online (Torna al testo)
[19] Gammon M. Health and Security: Report on the Public Provision for Health Care in Great Britain. 1976. London: St. Michael’s Organization. (Torna al testo)
[20] Pelissero G, Mingardi A. Eppur si muove. Come cambia la sanità in Europa fra pubblico e privato. 2010. Torino: Istituto Bruno Leoni. (Torna al testo)
[21] World Health Organization. Universal health coverage. Disponibile online (Torna al testo)
[22] Moyinihan R, Smith R. Too much medicine? BMJ. 2002; 324:859-60. (Torna al testo)
[23] Smith R. In search of “non-disease”. BMJ. 2002; 324:883-5. (Torna al testo)
[24] Cosmacini G, Menghi M. Galeno e il galenismo: Scienza e idee della salute. 2012. Milano: Franco Angeli. (Torna al testo)
[25] Andnkronos Sanità. Sanità, 110 mila medici e infermieri a scuola di autodifesa nel 2019. 3 Gennaio 2020. Disponibile online (Torna al testo)
[26] Quotidiano Sanità. “Medico e Paziente. Due facce dello stesso disagio”. Ecco la campagna OMCeO di Bari contro i tagli alla sanità. 9 Settembre 2016. Disponibile online (Torna al testo)
[27] Pennestrì F, Lippi G, Banfi G. Pay less and spend more. The real value in healthcare procurement. Annals of Translational Medicine. 2020. Accepted, forthcoming. (Torna al testo)
[28] Mazzuconi R, Triulzi M, Oleari F et al. L’esperienza italiana del sistema di pagamento mediante tariffe predeterminate per caso trattato. Testimonianze. In Cattorini P (a cura di). Etica e Giustizia in Sanità. Questioni filosofiche, principi operativi, assetti organizzativi. Milano: Franco Angeli. 1998. (Torna al testo)
[29] Pennestrì F. Il diritto alle cure fra solidarietà, equità e sostenibilità. Le sfide dell’assistenza sanitaria pubblica e il caso lombardo. In Cosio S. L’ottimo medico è anche filosofo? Il proficuo scambio tra medicina e filosofia attraverso i secoli e le culture. 2018. Bologna: Le due Torri. (Torna al testo)
[30] Kaplan RS, Anderson SR. Time-driven activity-based costing. Harv Bus Rev. 2004; 82:131-8. (Torna al testo)
[31] Bertoglio Clos M, Krieger Grossi P. Challenges for dignified care in homes for the aged. Rev. Bioét. 2016 24:2. (Torna al testo)
[32] Rushton C, Nilsson A, Edvardsson D. Reconciling concepts of time and person-centred care of the older person with cognitive impairment in the acute care setting. Nurs Philos. 2016; 17:282-9. (Torna al testo)
[33] Shields MA. Addressing nurse shortages: what can policy makers learn from the econometric evidence on nurse labour supply? The Economic Journal. 2004; 114:F464-F498. (Torna al testo)
[34] Pennestrì F. L’essenziale a tutti. I nuovi livelli di assistenza fra sostenibilità ed equità. Notizie di Politeia. 2017: 128. (Torna al testo)
[35] Pennestrì F. Procreazione medicalmente assistita in Italia: l’accesso alla prestazione fra aspetti morali, legali ed etico-politici. Politiche Sanitarie. Italian Journal of Health Policy. 2019. 20;111-117. (Torna al testo)
[36] Beveridge Sir W. Social Insurance and Allied Services. 1943. London: Her Majesty Stationary Office. (Torna al testo)
[37] Vedi nota 29 (Torna al testo)
[38] Daniels N. Just Health. Meeting health needs fairly. 2008. Cambridge: Cambridge University Press. (Torna al testo)
[39] Costa G, Bassi M, Gensini FG et al. L’equità nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle diseguaglianze sociali in sanità. 2014. Milano: Franco Angeli. (Torna al testo)
[40] Vedi nota 29 (Torna al testo)
[41] NurseToday.it. Modelli sanitari nei principali paesi europei. 17 ottobre 2018. Disponibile online (Torna al testo)
[42] RBM-Censis. VIII Rapporto sulla Sanità Pubblica, Privata ed Intermediata. 2018. Disponibile online (Torna al testo)
[43] Fondazione Gimbe. Report Osservatorio Gimbe 1/2019. La sanità integrativa. 2019. Disponibile online (Torna al testo)
[44] Snowdon AW, Bassi H, Scarffe AD et al. Reverse innovation: an opportunity for strengthening health systems. Global Health. 2015; 11:2. (Torna al testo)
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