L’uscita del libro “Il fine della Politica. Dalla «teologia del regno» al «governo della contingenza»” (Bollati Boringhieri Editore, 2019) di Salvatore Natoli è stata l’occasione per il complesso dialogo tra l’autore e il nostro presidente Piero Bassetti, in sede della Fondazione l’11 novembre 2019.
Ha introdotto Francesco Samorè, Segretario generale della Fondazione, e ha moderato Paolo Zanenga, Founder partner TWG Consuting.
Come d’abitudine oltre a offrire una nostra sintesi dell’incontro (questa volta a cura di Francesco Samorè), rendiamo disponibili ai nostri lettori i video, i Podcast e le fotografie dell’intero evento.
Indice della pagina:
- Video
parte 1:
Introduzione di Francesco Samorè, Direttore Generale Fondazione Giannino Bassetti;
Apertura di Paolo Zanenga, Founder partner TWG Consuting.
Intervento di Salvatore Natoli, filosofo, autore di “Il fine della Politica Dalla «teologia del regno» al «governo della contingenza»” (Bollati Boringhieri Editore, 2019)
parte 2:
Intervento di Salvatore Natoli, filosofo, autore di “Il fine della Politica Dalla «teologia del regno» al «governo della contingenza»” (Bollati Boringhieri Editore, 2019)
Dialogo con Piero Bassetti, Presidente Fondazione Giannino Bassetti
Modera Paolo Zanenga, Founder partner TWG Consuting.
parte 3:
Dialogo tra Piero Bassetti e Salvatore Natoli;
Dibattito
parte 4:
Dibattito - Sintesi dell’incontro a cura di Francesco Samorè
- Podcast – ascolta l’audio qui, oppure via iTunes, Google Play o Anchor FM
- Alcune fotografie dell’incontro
Sintesi dell’incontro
Il fine della politica, di Salvatore Natoli, è un viaggio nella storia, una raccolta di interrogativi aperti per chi, come Fondazione Bassetti, ragiona sulla realizzazione dell’improbabile – cioè l’innovazione – nelle sue implicazioni sociali, culturali e quindi politiche.
Come ha notato Paolo Zanenga introducendo il dialogo tra Natoli e Piero Bassetti, questo libro si cimenta infatti su un periodo storico molto lungo, ponendolo come premessa al cambio d’epoca nel quale viviamo. Qui di seguito ne diamo conto, isolando i nodi a nostro avviso più legati al tema del governo dell’innovazione (mentre rimandiamo al video integrale la restituzione dettagliata dello scambio tra i protagonisti e il pubblico in sala).
Salvatore Natoli individua anzitutto una costante della politica nella storia dell’evoluzione umana. La politica ha sempre avuto a che fare con la salvezza e con le sue due caratteristiche: difendere e soccorrere. Con l’età moderna, spiega l’autore, l’uomo diventa protagonista della sua salvezza, della promessa di una futura umanità che sarà liberata. Garante non è più Dio ma la politica e, insieme ad essa, la tecnica. Tanto che nel moderno – da Machiavelli – la politica diventa tecnica di governo, amministrazione della potenza. La modernità si è accorta che, dando benessere, le occasioni del conflitto diminuiscono. Obiettivo, ora, non è più solo difendersi dal male, ma produrre un bene pubblico che diffonda soddisfazione.
Perciò la grande macchina organizzata del potere progressivamente si decentralizza e diventa complessa. Dovendo soddisfare le dinamiche che immette nella società, il potere deve amministrare tutti gli ambiti della vita umana, i suoi corpi organizzati. In un certo senso, ogni sapere diventa potere. Per esempio, la medicina diviene essa stessa potere amministrato. Quindi il potere centrale si articola e i parlamenti esistono come finzione di legittimità, necessaria perché, se i soggetti non si sentono protagonisti di qualcosa di comune, la legittimazione del potere viene meno.
La Rivoluzione francese è la fase del moderno in cui la politica si fa carico della liberazione totale dell’umanità. Il potere emerso dal basso si autogoverna o vorrebbe farlo, ma non ce la fa, e ciò produce un’eterogenesi dei fini. Occorre “una forza più forte” che tenga insieme la società. Con Napoleone, che è emblematico di questo passaggio, la politica diventa destino (come egli stesso spiega al notabilato tedesco). È il titanismo politico, dove i titani sono le grandi masse, espresse da una figura che, non a caso, viene accostata a quella di Prometeo.
Il balzo nel Novecento conduce a un titanismo diverso. Ciò che caratterizza il XX secolo, che inizia con la rivoluzione sovietica e finisce con la caduta del muro di Berlino, sono le ideologie che pretendono di chiudere la storia, fallendo. Ogni società secerne ideologia: essa è il modo in cui una società riconosce se stessa. Il processo di complessificazione iniziato nell’età moderna, proseguito al tempo dell’ideologia iperpolitica, conduce nel corso dei decenni all’immagine che, oggi, la società ha di se stessa: quella della tecnica.
Il nostro vissuto si modella sulla tecnica, dunque la politica deve regolare il rapporto con essa e con i suoi sottosistemi: finanza, grande impresa tecnologica, comunicazione di massa. Grandi blocchi di potere che la politica può al massimo tenere in sintonia, ma non governare. Infatti, se interviene un deficit della politica, i sottosistemi esprimono loro proprie leadership, indipendenti dalla rappresentanza.
In questa cornice, la democrazia controlla se stessa attraverso una cibernetica sociale, un bilanciamento, un sistema di equilibrio. Finché dura – continua Natoli – essa non da il meglio, ma mette al sicuro dal peggio. Un obiettivo contingente può essere, allora, ampliare i campi di bilanciamento. Così che la democrazia possa intendersi come militanza civile permanente, legata a competenza e sospetto. Da questo punto di vista, la rivoluzione informatica, digitale, ha una doppia faccia: se c’è sapere diffuso, ci mette nelle condizioni di una vigilanza allargata; ma se il sapere non c’è, vi sono le condizioni di una sudditanza allargata.
Piero Bassetti, riflettendo sulle parole di Natoli, sottolinea la potenza dello sforzo operato dal filosofo: lo sforzo di ricomporre in una logica l’enorme fenomenologia della storia. E solleva un interrogativo: ha ancora senso domandare alla nostra intelligenza di comprendere tutto? In fondo “l’intellettuale strutturale”, cioè animato dal governo del concreto, è sfidato dalla svolta d’epoca. Viviamo in un mondo che ci sfida a comprenderlo, oppure viviamo in un mondo che ci sfida a sopravvivere senza capirlo? In fondo anche Napoleone aveva fatto lo sforzo di superare l’illusione della Dea Ragione. È una posizione provocatoria, ma dobbiamo confrontarci con l’affermazione che la nostra intelligenza è inadeguata alla complessità del reale.
Per esempio, quello sulla “stupidità” o “l’intelligenza” dell’algoritmo è un quesito che la politica di oggi non può omettere. È il problema della Fondazione Bassetti, che in venticinque anni ha contribuito a rendere evidente qualcosa che prima non lo era: ovvero l’esigenza di dare una morale – o un senso – al rischio dell’innovazione. Può darsi che lo si possa assimilare al rischio di traversare il deserto, ma è un rovello sostanzialmente politico: l’innovazione crea, quanto meno, un tema di responsabilità etica; e subito dopo fronteggia la responsabilità del governo, cioè del potere.
Nella relazione di Natoli – prosegue Bassetti – c’era la perdita del controllo sapienziale della storia. Se abbiamo sempre fede nella ragione non dobbiamo rassegnarci; se abbiamo fede nell’esperienza, forse dobbiamo rassegnarci all’idea che l’intelligenza umana abbia dei limiti di potenza. Il disordine sembra governare la storia, e forse è inane il tentativo di scoprirci un ordine. Difficile farlo se le decisioni del presidente degli Stati Uniti hanno la tempistica del tweet.
Concludendo una discussione ricca, che coinvolge il moderatore Zanenga e il pubblico (vedi terzo e quarto video dell’intero dibattito), Natoli sostiene che sono i meccanismi asimmetrici a regolare la storia oggi, e che non possiamo dominarli. Però la contingenza e l’improbabile sono il terreno del controfattuale. O patisci in assoluto la contingenza, perché la ignori, e allora il presente ti trascina. Oppure devi prendere la distanza, ipotizzando, a partire dalle condizioni date, un mondo possibile che può accadere. Senza una simulazione di mondo vieni assorbito dall’improbabile. Non abbiamo bisogno di un sapere che “chiude” ma di un sapere che immagina la variazione: per governarla.
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