Fondazione Giannino Bassetti ha avuto il piacere di ospitare lo scorso 7 maggio un dialogo con Gabriele Giacomini, autore del libro titolato “Potere Digitale. Come internet sta cambiando la sfera pubblica e la democrazia” (prefazione di Michele Sorice, Meltemi 2018). Formatosi all’Università San Raffaele di Milano, Giacomini è stato assessore all’innovazione nel Comune di Udine e la sua collaborazione con la Fondazione ha portato, tra le altre cose, alla produzione di un ciclo di interviste ad esperti molto autorevoli sul rapporto tra potere, nuovi media e della democrazia.
Al dialogo sono intervenuti, oltre all’autore del libro: Luigi Curini, Professore di Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Milano; Michele Loi, Ricercatore post-dottorale, Digital Society Initiative, Università di Zurigo e Piero Bassetti, Presidente della Fondazione Giannino Bassetti.
Ha introdotto Francesco Samorè, Segretario generale di Fondazione Giannino Bassetti.
In questo post rendiamo disponibile una sintesi dell’incontro a supporto dei video integrali e delle immagini dell’evento. In fondo pagina anche quattro interviste di Giacomini sul rapporto tra democrazia e digitalizzazione.
Indice della pagina:
- Video
parte 1:
Francesco Samorè, Direttore Generale Fondazione Giannino Bassetti;
Luigi Curini, Professore di Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Milano
parte 2:
Michele Loi, Ricercatore post-dottorale, Digital Society Initiative, Università di Zurigo
parte 3:
Gabriele Giacomini, autore del libro titolato “Potere Digitale. Come internet sta cambiando la sfera pubblica e la democrazia” (prefazione di Michele Sorice, Meltemi 2018);
Piero Bassetti, Presidente Fondazione Giannino Bassetti
parte 4:
Dibattito - Sintesi dell’incontro (a cura di Anna Pellizzone)
- Alcune fotografie dell’incontro
- Quattro interviste di Gabriele Giacomini
Come ha sottolineato in apertura Francesco Samorè, moderatore dell’incontro, il libro di Giacomini è un insieme di molti libri e contiene gli interventi di esperti, riflette sulla politica in quanto esercizio di potere e discute la fenomenologia del digitale nell’ambito delle scelte politiche.
Cogliendo come spunto il dialogo tra Harari e Zuckerberg disponibile su Youtube, Samorè invita a una riflessione sui mezzi e sui fini e sulle comunità mediatiche e tradizionali. L’obiettivo dei social media – riprendendo Harari – è fare sì che le persone costruiscano connessioni per stare davanti allo schermo o per far crescere una comunità nel mondo fisico? Cioè, l’indubbia capacità di connettere che il digitale ha portato nella società è di per sé un fine? O siamo alla ricerca di un’evoluzione ulteriore del modo di stare insieme e convivere? Le comunità del prossimo secolo consentiranno un nuovo modo di vivere o stiamo discutendo di un nuovo fenomeno che già conoscevamo?
E ancora: se il potere digitale è oggi la nuova essenza del potere, cioè la forma che la società si dà per gestire il proprio destino, siamo di fronte a una forma nuova di organizzazione del potere, che richiede quindi creatività istituzionale e intellettuale?
Luigi Curini, Professore di Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Milano, esperto di analisi dei social media e di sistemi elettorali e politici, parte da un avvertimento citando Dickens: “molto spesso cerchiamo di forzare le circostanze a delle idee invece di estrarre delle idee dalle circostanze”, mettendoci in guardia dalla confusione tra correlazioni temporali e correlazioni causali, in particolare facendo riferimento al rapporto tra fake news e Brexit o tra fake news ed elezione di Trump. Attenzione quindi a non ricondurre tutto ciò che accade all’avvento dei social media: l’esercizio della responsabilità e l’origine di alcuni dei fenomeni a cui assistiamo oggi, tra cui anche la creazione di “bolle”, sta anche altrove.
In questo senso, secondo Curini, il libro di Giacomini ha il grande merito di mettere a disposizione neologismi che descrivono i fenomeni in atto in modo inedito e calzante. Come, per esempio, “neo-intermediazione”, espressione secondo il professore preferibile alla più inflazionata “disintermediazione”, perché nel digitale “l’intermediazione c’è, anche se non si vede, ed è fatta di algoritmi e di piattaforme, pubbliche e private, e pone spesso un problema di agenda setting”.
Il dialogo attorno al libro di Giacomini è stato animato anche da Michele Loi, Ricercatore post-dottorale, Digital Society Initiative, Università di Zurigo, che si è concentrato in particolare sul dibattito circa la continuità tra i media tradizionali e i media digitali, elaborando uno schema volto a sottolinearne similitudini e differenze e ponendo l’accento sul tema dell’accountability. Chi svolge oggi nei media digitali il ruolo che un tempo era esercitato dai giornali ad esempio in termini di accountability?
Alla domanda cruciale emersa dal dibattito (siamo di fronte a una continuità col passato o siamo di fronte a una netta discontinuità nel rapporto tra potere, cittadini e politica?), Gabriele Giacomini risponde con una metafora. Quello che stiamo approfondendo, secondo l’autore, è un po’ come una catena montuosa: su alcuni pendii lo sciatore genera valanghe, su altri no. Ovvero: siamo di fronte a una grande complessità. Per esempio, certamente le fake news non sono nate con il digitale, basti pensare alla caccia alle streghe, alla peste nera, o alla convinzione che si era diffusa in trincea che la Grande Guerra fosse stata causata dai commercianti dei cannoni.
Oppure, pensiamo anche alla neo-intermediazione: un elemento di continuità è quello psicologico, ma ci sono anche elementi discontinuità, come quello connesso alla profilazione degli utenti. Nei media tradizionali, chi parla non conosce bene il proprio interlocutore come le piattaforme che hanno accesso ai dati dei propri utenti (e come avveniva ai tempi dell’agorà).
Ecco quindi che emerge un’altra discontinuità, quella legata al binomio trasparenza/opacità: la piattaforma personalizza il contenuto in funzione dell’utente, ma l’utente vede solo una versione del mondo e non ha accesso alle altre, a differenza del lettore del giornale, che se comprava, per esempio, L’Unità aveva comunque la possibilità di comprare in edicola anche il Corriere della Sera o La Stampa.
Secondo Piero Bassetti, un dato evidente è che vi sia un’incertezza che turba l’opinione pubblica di tutto il mondo, che ha a che fare con l’impressione che il rapporto con l’informazione sia cambiato. Basti pensare alla qualità del messaggio o a titolo esemplificativo al “pudore dell’informazione”, a partire dall’ammissibilità del turpiloquio, che ha modificato il linguaggio del mondo. Il tema di fondo è capire quali scelte determinate dall’informazione siano consensuali e quali non lo siano. E, sottolinea il Presidente di Fondazione Bassetti, si dovrebbero “trovare antidoti non nella ricerca di una castità del medium, ma nella natura del rapporto tra informazione raggiunta in tempo reale o differito”. In altre parole: se andiamo in cabina elettorale sedotti da un’informazione veicolata da Facebook, il Parlamento che eleggiamo è diverso. Da una funzione “di governo” si passa facilmente a una funzione di “espressione”.
Molte altre le questioni emerse durante il dibattito, a cui il pubblico ha partecipato attivamente.
Come si informa una società mobile rispetto a come si informava una società stabile?
Possiamo costruire nuove comunità immaginate, come ad esempio quella degli italici?
E ancora: che ruolo gioca in questo scenario il fatto che le piattaforme siano di fatto in mano a dei monopoli e che vi sia in generale una tendenza alla super concentrazione e all’assenza di competizione? Che rapporto c’è col profitto? E se le piattaforme, che di fatto sono una rete, fossero pubbliche?
Certamente, ha concluso Giacomini, la questione è estremamente complessa, e non è detto che se la direzione presa dai social sia una, ad esempio in termini di accelerazione e assenza di decantazione dell’informazione, anche altri attori si allineino sulla stessa traiettoria. Basti pensare che negli ultimi anni accanto a un elogio della disintermediazione si è assistito a una crescita delle autorità indipendenti di natura tecnocratica. Dire in che direzione stiamo complessivamente andando è quindi molto difficile, e un’ipotesi da escludere, secondo un’eterogenesi dei fini, è che si assista a un bilanciamento tra istituzioni.
Alcune immagini dell’evento:
Quattro interviste di Gabriele Giacomini: Ilvo Diamanti, Paolo Mancini, Angelo Panebianco, Gianpietro Mazzoleni:
Le interviste che Gabriele Giacomini ha pubblicato nel sito della Fondazione Bassetti, sono state uno dei punti di partenza per il libro “Potere Digitale. Come internet sta cambiando la sfera pubblica e la democrazia”. Per leggerle tutte si visiti questa pagina.
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