Si è aperto lo scorso 5 marzo 2019 con l’intervento di Georges Amar “Around Mobility“, un percorso di ricerca e disseminazione sulla mobilità del futuro organizzato da Fondazione Giannino Bassetti e MEET, con il supporto di Repower e del Politecnico di Milano.
Ingegnere di formazione, docente di design e innovazione all’Ecole de Mines ParisTech e autore del libro Homo Mobilis, Georges Amar ha aperto Around Mobility al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, dando una lettura del presente e del futuro della mobilità in chiave antropologica. Secondo Amar, infatti, la mobilità è un concetto chiave del nostro tempo, che sfida l’idea di spazio e tempo su cui ci siamo fondati fino ad oggi e che chiede un ripensamento dell’organizzazione della società, a partire, ad esempio, dalle città.
Con Around Mobility, come hanno spiegato in apertura di serata Maria Grazia Mattei e Francesco Samorè, l’obiettivo non sarà soltanto quello di ascoltare gli interventi di coloro che si avvicenderanno sul palco: l’ambizione di questa collaborazione tra FGB e MEET è infatti quella di dotare i partecipanti al percorso Around Mobility degli strumenti necessari per imparare a osservare e descrivere la mobilità del nostro tempo, per imparare a porci le domande giuste e arrivare ad agire in modo consapevole e responsabile. Perché là dove ci sono nuove opportunità si generano anche nuovi rischi e, quindi, anche nuova responsabilità politica.
Per accompagnarci nella sua riflessione sulla mobilità, Georges Amar ha aperto la serata con una domanda: in che direzione vogliamo andare se pensiamo al futuro della mobilità? Ne vogliamo “di più”, e desideriamo cioè una mobilità più veloce, che ci permetta per esempio di andare più lontano, magari su altri pianeti? O ne vogliamo “di meno”, così come ad esempio desideriamo che il cibo sia lento (slow food)? O forse ci sono altre possibilità – oltre il “di più” e il “di meno” – ed è il momento di immaginarsi qualcosa di diverso?
Secondo il guru francese, per capire la mobilità ci serve un cambio di prospettiva, un nuovo modo di osservare e interpretare la realtà e il primo atto necessario per comprendere un fenomeno in transizione è quello di dargli un nome, perché non si può vedere, e non si può ragionare, se non si sa “dire”. Definire oggi la mobilità, ha spiegato Amar, non è banale. Una cosa certa è che la mobilità non è il trasporto o, perlomeno, non è soltanto quello. Perché la mobilità oggi è nel bel mezzo di un processo di cambiamento verso un nuovo paradigma, a cui potremmo dare il nome di “mobile life”.
Pensiamo ad esempio all’organizzazione sociale dello spazio. Tradizionalmente, siamo stati abituati a pensare che le attività che compiamo quotidianamente, come studiare, lavorare, acquistare, curarsi avvengano in luoghi dedicati, come le scuole, gli uffici, i negozi, gli ospedali. L’idea implicita con cui percepiamo e organizziamo la nostra vita sociale e lo spazio in cui viviamo è che i luoghi siano connessi a delle funzioni specifiche. Un pensiero, questo, che Amar definisce “funcional fixation”. Immersi in questo paradigma, tendiamo a pensare la mobilità come trasporto, cioè come trasferimento dal posto A al posto B, che sono invece i luoghi in cui svolgiamo le nostre attività. È chiaro quindi che, in questo modello, il tempo impiegato per spostarsi da un punto ad un altro diventa semplicemente tempo perso e la velocità, per esempio, diventa un criterio fondamentale per valutare la qualità del trasporto.
Ma oggi le cose non stanno più così, perché il passaggio da “fixed life” a “mobile life” porta a uno scollamento tra attività e luoghi. Oggi si può lavorare nei bar, sui treni, da casa. È, appunto, un nuovo paradigma. Non è più la velocità a farci guadagnare tempo, ma anche la possibilità di usare il tempo mentre siamo in transito. In un certo senso, ipotizza lo studioso, è la fine dell’attesa.
E mentre abitiamo la mobilità, mettendo in discussione la distinzione tra mobile e immobile, la nostra relazione col tempo – e con lo spazio – va modificandosi. Se un tempo il movimento era qualcosa che accadeva tra due luoghi, oggi è il luogo a stare tra due movimenti. La città non è più un sistema di luoghi, ma un sistema di movimenti, un concetto, che gli urbanisti, tradizionalmente legati ai luoghi, stanno iniziando a capire solo ora. Siamo davanti a quello che Amar chiama “mobile place”, un ossimoro, che proprio grazie all’accostamento di due concetti contrapposti evidenzia il cambio di paradigma e, quindi, richiede un nuovo nome.
«Se non dici “mobile place” – ha spiegato – non vedi che qualcosa di completamente nuovo sta arrivando».
Qualcosa di nuovo in cui le nostre attività quotidiane si ridefiniscono e si ricollocano, dal dormire al lavorare, secondo un cambio di prospettiva che ha a che vedere con le nuove opportunità dell’innovazione, ma soprattutto con una nuova visione culturale, che rivoluziona concetti consolidati, come i binomi individuale/collettivo e fisico/virtuale. Che cos’è il car sharing? È una opzione di trasporto collettiva e individuale allo stesso tempo, così come i giochi in realtà aumentata sono sia virtuali, sia fisici.
Per questo, abbiamo bisogno di nuovi nomi e nuovi significati. Non possiamo usare nomi antichi per fenomeni nuovi, perché se non hai il linguaggio giusto e adeguato per descrivere la realtà, la transizione da un paradigma a un altro rischia di essere molto più dura. Si può provare a renderla più dolce trovando un nuovo linguaggio, che ne consenta un governo più consapevole e, quindi, più responsabile.
Allo stesso tempo, la mobilità chiama in causa anche nuovi valori.
Da una mobilità fondata sul transito (più veloce, più lontano, per più persone), siamo passati a una mobilità come “arte di vivere” e dobbiamo regolamentarla attraverso questo nuovo concetto. Anche tenendo in considerazione il fatto che la mobilità – o l’immobilità – è anche un tema di giustizia sociale. Perché quando i paradigmi cambiano, cambiano gli interessi in gioco, ed è facile che nei momenti di transizione si aprano conflitti.
Per questo la mobilità è prima di tutto un tema culturale, antropologico e politico che, anche grazie alla cornice fornita da Georges Amar, Around Mobility contribuirà a comprendere.
Il video dell’incontro è già disponibile nel sito di MEET, qui sotto qualche immagine della serata:
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