A fine maggio 2018 si è tenuto il quarto incontro del ciclo “La medicina di precisione: opportunità terapeutiche e responsabilità pubblica“. Ciclo che è stato teatro e veicolo di un primo accordo progettuale tra Fondazione Giannino Bassetti e Università di Pavia.
Il seminario, dal titolo “La medicina di precisione in cardiologia: il futuro è già presente“, ha permesso l’approfondimento della tematica della medicina di precisione nel campo della cardiologia con l’intervento di una grande personalità del campo: Silvia Priori, dell’Università di Pavia e degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri IRCCS, prima donna nella classifica dei ricercatori nazionali in campo biomedico.
Come nostra abitudine rendiamo disponibili la sintesi dell’incontro, le riprese integrali, le slide e le fotografie dell’evento.
Indice della pagina:
- Riprese integrali dell’incontro
- Le slide proiettate
- La sintesi testuale dell’incontro (a cura di Anna Pellizzone)
- il podcast dell’evento
- le fotografie dell’evento
Come ricorda Francesco Samorè, citando la stessa Silvia Priori, “la medicina di precisione è innanzitutto integrazione”. Per cominciare, è integrazione di molti anni di ricerca di base, spesso apparentemente distanti dalla clinica e dalle applicazioni, fino a quando non si raggiunge un livello di conoscenza tale per cui l’integrazione si realizza, portando a un’esplosione della tecnologia e dei risultati. E a un radicale cambiamento del nostro modo di fare medicina, che per un verso genera opportunità e miti, e per l’altro suscita timori e apre nuove sfide.
In un certo senso, possiamo dire che la medicina di precisione balza all’onore delle cronache quando nel 2015 Barack Obama decide di destinare 200 milioni di dollari alla Precision Medicine Initiative, programma di ricerca che significativamente muta il proprio nome l’anno successivo nel più evocativo “All of US”. Per citare Silvia Priori, la medicina di precisione consiste nel “sogno di riuscire a trattare ogni paziente per la sua unicità e non per la categoria a cui appartiene”. L’idea è quella di superare il paradigma attuale, passando da una medicina basata sulla diagnosi a una medicina basata sulla diagnosi nel contesto delle caratteristiche un determinato paziente.
Come abbiamo visto nei precedenti incontri, questo approccio richiede di riconsiderare molte delle regole, degli approcci, delle pratiche e dei ruoli di chi opera nel contesto medico, così come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi. Pensiamo ad esempio a uno dei dogmi della medicina basata sull’evidenza: quella del campione statisticamente determinato, oggi alla base della ricerca medica. Quello che accade oggi è che per far ricerca prendiamo pazienti che hanno tutti la stessa diagnosi, li trattiamo con un nuovo farmaco e ne definiamo l’efficacia. Ma se andiamo a suddividere questa popolazione in sottogruppi, dobbiamo necessariamente pensare a come reinterpretare le nostre osservazioni, che andranno fatte su numeri di pazienti che non sono più il campione statisticamente determinato, perché non lo raggiungeremo, a maggior ragione se si opera nel contesto di malattie rare. È solo un esempio, ma si tratta di un tema non banale, che è già al centro dell’attenzione di organismi come l’EMA e l’FDA.
Veniamo quindi alla protagonista del seminario di Silvia Priori: la cardiologia. L’oncologia è sicuramente una delle discipline leader nel settore della medicina personalizzata, seguita dalle malattie genetiche. Tra queste, ci sono anche le malattie genetiche del ritmo cardiaco, patologie caratterizzate da un difetto genetico che altera le proteine fondamentali per il funzionamento del cuore, arrivando a provocare l’arresto cardiaco in soggetti apparentemente sani. Grazie alle conoscenze accumulate in decenni di ricerca, la medicina di precisione sta profondamente modificando la cura di queste malattie, in cui non tutti i pazienti sono uguali, non tutti hanno lo stesso rischio e non tutti rispondono alle stesse terapie. Ma vediamo degli esempi concreti.
Nel caso della sindrome del QT lungo – una patologia determinata da un difetto genetico – l’alterazione della struttura dei canali ionici, le proteine che regolano l’elettricità alla base del funzionamento del cuore è all’origine di aritmie, che nei casi più gravi possono portare all’arresto cardiaco, anche in soggetti apparentemente sani. Gli scienziati hanno osservato che i fattori che scatenano le aritmie possono essere diversi: in alcuni casi gli eventi si verificano quando il paziente è a riposo, in altri in seguito a stress emotivi, in altri ancora durante l’attività fisica. Molte differenze dipendono del gene difettoso implicato e dopo diversi anni di ricerca, i ricercatori hanno appurato che il tipo di difetto genetico influenza la probabilità di sopravvivenza. Questo ha consentito una stratificazione del rischio sulla base del difetto genetico: dopo 7 anni di studi condotti su 1710 pazienti, gli scienziati sono riusciti a determinare il rischio a 5 anni di avere un’aritmia grave per tre diverse forme di difetto genetico (note come LQT1, LQT2, LQT3).
Queste conoscenze, acquisite attraverso decenni di ricerca di base, sono quelle che oggi permettono di differenziare le terapie e gli interventi a seconda del difetto genetico e del tipo di paziente. Ad esempio, si può decidere se intervenire con dei farmaci, come i betabloccanti, o se sia preferibile intervenire chirurgicamente (come avviene nei soggetti asmatici che spesso non possono assumere betabloccanti). Inoltre, sulla base della stratificazione del rischio, si potrebbe decidere l’opportunità di impiantare un defibrillatore nel paziente. In questo senso, è interessante il caso della cardiomiopatia ipertrofica, rispetto alla quale un grosso consorzio europeo ha determinato che non è socialmente accettabile che ci sia una mortalità superiore al 6% in soggetti giovani – come sono i pazienti con la sindrome del QT lungo – che se salvati dal defibrillatore potrebbero avere una vita normale. Sulla base di questa considerazione si è quindi stabilito che tutti coloro che hanno un rischio superiore al 6% devono ricevere l’impianto di questo device. E lo stesso potrebbe essere stabilito anche per altre malattie.
Un altro esempio portato dalla Prof.ssa Priori per spiegare come anche la cardiologia abbia imboccato la direzione della medicina personalizzata è quello della tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica, nota anche come CPVT. Le terapie esistenti per questa malattia, che ha una prevalenza di 1: 10.000, non sono sufficienti per prevenire la mortalità. A partire da questa considerazione, facendo una serie di valutazioni sui pazienti, quello che si sta cercando di sviluppare è quindi di intervenire “a monte” della malattia, correggendo il difetto genetico attraverso la cosiddetta terapia genica: con l’aiuto di un vettore virale, i geni “sani” possono essere trasportati all’interno delle cellule per vedere se sono in grado di correggere il difetto genetico. In questo ambito, i primi passi mossi grazie alla ricerca di base hanno dato risultati interessanti e un’azienda americana sta cercando di portare al primo trial clinico la terapia genica per la CPVT.
Sempre in ambito cardiologico, e più precisamente nel caso della cardiomiopatia ipertrofica, si stanno gettando le basi sperimentali per una terapia genica in utero. Il primo studio in vitro basato su embrioni umani donati alla ricerca ha infatti avuto successo. L’ordine di grandezza per questo tipo di terapie è di circa un milione di euro a paziente e questo chiarisce come, accanto naturalmente alle evidenze scientifiche e agli aspetti di natura etica, sia sempre più urgente una riflessione sulla sostenibilità economica della medicina di precisione. Proprio a questo tema è dedicato il quinto ed ultimo incontro del ciclo: “La sostenibilità economica della medicina di precisione“.