Il 5 aprile 2018 si è tenuto il secondo incontro del ciclo ‘La medicina di precisione: opportunità terapeutiche e responsabilità pubblica’, primo atto della collaborazione tra Università di Pavia e Fondazione Giannino Bassetti.
Maggiore protagonismo, nuovi strumenti di dialogo con i medici e i saperi esperti, possibilità di sperimentare su sé stessi una terapia che nasce personalizzata: questi i punti che Margherita Fronte ha introdotto all’attenzione degli ospiti di Fondazione Bassetti per discutere il ruolo dei pazienti nella medicina di precisione.
In questa pagina rendiamo disponibili:
- Le riprese integrali dell’evento, a cura di Fondazione Bassetti, suddivise in 5 parti, corredate di sintesi e slide.
Parte 1. Intervento di Giampaolo Azzoni, Università di Pavia. Sintesi e podcast. (21’39”)
Parte 2. Intervento di Stefano Govoni, Università di Pavia. Sintesi e podcast. (19’49”)
Parte 3. Intervento di Rosaria Iardino, Fondazione The Bridge. Sintesi e podcast. (16’53”)
Parte 4. Intervento di Angela Simone, Fondazione Giannino Bassetti. Sintesi e podcast. (28’41”)
Parte 5. Intervento di Piero Rivizzigno, tumorepancreas.com . Sintesi e podcast. (27’39”) - Il podcast in versione integrale dell’evento.
- Le fotografie dell’evento.
(Qui le slide dell’intervento)
Per Giampaolo Azzoni, professore ordinario di biodiritto e teoria generale del diritto in Università di Pavia, tutto ruota intorno ai saperi del paziente e all’epistemologia del suo coinvolgimento. La parola engagement è infatti una delle chiavi di questo inizio XXI secolo dopo che, per decenni, ha regnato l’asimmetria tra medico e soggetto di cura. Un ruolo nel cambio lo ha giocato il diritto: negli ultimi venticinque anni, in Italia e in tutto l’occidente, normative e interventi della giurisprudenza hanno trasferito potere al paziente: la responsabilità civile, il consenso informato, le disposizioni anticipate di trattamento si sono associate a indizi simbolici: nell’ultima versione del codice di deontologia medica, per esempio, la parola paziente è diventata persona assistita. Questa tendenza esplode con la medicina di precisione: predittiva, preventiva, personalizzata, partecipante; tutte parole che implicano un ruolo significativo del paziente. La classificazione stessa delle patologie cambia, dipendendo sempre più dalle differenze di carattere genetico. L’immagine della coda lunga coniata da Chris Anderson per definire le dinamiche del web è trasferibile a quelle della medicina di precisione: patologie prima indifferenziate (ad esempio la nebulosa delle demenze) ora sono segmentate e circoscritte in numerosi tipi. Nature ha affermato che siamo pronti per clinical trials tarati su singoli individui. Medicina di precisione, in effetti, dice che siamo usciti dalla medicina della imprecisione (Azzoni cita gli studi sui differenti effetti dei farmaci tradizionali misurati sulla popolazione di pazienti). Negli ultimi tre anni circa un terzo dei farmaci approvati dalla FDA statunitense sono personalizzati. Nella pipeline dei farmaci oncologici attualmente oggetto di ricerca, lo sono il 73 percento. Il coinvolgimento del paziente postulato dalla precision medicine è fondato sulla pratica diagnostica e terapeutica condivisa, che dovrebbe definire in modo nuovo la partizione tra desease, illness, sickness (che segna la differenza tra elementi biologici, vissuto soggettivo e ruolo sociale del malato, compreso lo stigma). Azzoni insiste sul tema dell’ingiustizia epistemica (Miranda Fricker), ovvero l’emarginazione di soggetti non ritenuti credibili portatori di sapere (non parlare perché non lo sai, non parlare perché non hai gli strumenti) da superarsi per raggiungere quella che Judith Simon chiama responsabilità epistemica distribuita. Il paziente esperto è il soggetto che guadagna il primo piano: protagonista in alcuni casi della autosperimentazione (i biohackers segnano un ritorno al fenomeno del XIX secolo?), più spesso delle reti collaborative tra pari. E giova ritornare a Platone, nella sua divisione tra medico degli schiavi e medico degli uomini liberi, quest’ultimo capace di ascoltare chi sta curando (Platone, Leggi, 720).
(Qui le slide dell’intervento)
Stefano Govoni, ordinario di farmacologia all’università di Pavia, già presidente del comitato etico all’Istituto clinico San Matteo, ha parlato del consenso in ambito di precision medicine. Il paziente non è più parte di un gruppo che ha una risposta biologica media, bensì una risposta individuale ad una terapia disegnata per lui o per pochi simili. Al tempo di Dottor Google, l’informazione diventa equivoca, amplificando il ruolo della cultura e del filtro operato di ciascuno. Tanto più cresce la credibilità del mezzo, tanto più cresce il potenziale contrasto tra paziente e medico. Soprattutto nell’ambito dei dati genetici, si apre il tema dell’accesso e della sicurezza, oltre che della condivisione di dati numerosissimi: i database contengono milioni e milioni di informazioni. Nel 1999 una lecture di Francis S. Collins proiettava un caso ipotetico sul 2010: dovendo chiedere il consenso del paziente per un intervento, si ripercorse la storia familiare, che consigliava di svolgere test genetici, conducendo il paziente a analizzare rischi e benefici. Sì, faccio dei test; no, non voglio sapere qualcosa per cui – potendosi manifestare effetti futuri – non vi sono oggi strategie preventive. Nel caso in questione, il cancro del colon e quello dei polmoni erano tra rischi; egli decise di abbandonare il quotidiano pacchetto di sigarette, programmò esami periodici. Nel 2010, grazie agli sviluppi della farmacogenomica, venne scelto un farmaco adatto a lui. Le scelte sono difficili, perché il percorso di formazione delle persone, l’accompagnamento del paziente, se è autentico, è complesso. Spesso il consenso informato è sembrato solo uno strumento difensivo. Nel 2003, un documento presentato al parlamento inglese da Tony Blair, Our Inheritance, Our Future. Realising the potential of genetics in NHS, dedicava un capitolo alla formazione di una solida fiducia nella popolazione di pazienti. Tutto ciò ha prodotto esiti, perché oggi altre pubblicazioni disegnano il quadro di riferimento per la formazione e il counseling del paziente. Organizzazioni legate alle università svolgono il reclutamento dei pazienti e pongono insieme ad essi il tema dell’accesso e condivisione dei dati: quale valore pubblico, quale difesa dell’individualità di ciascuno (garantire per esempio la non riconoscibilità della persona)? Govoni ha toccato infine il rapporto tra mezzi e fini: siamo in una sfera collettiva in cui la tecnica assume come fini i risultati delle sue procedure condizionando l’etica? Se è così, come deve muoversi la società, consapevolmente, per tenere una direzione responsabile?
(Qui le slide dell’intervento)
Rosaria Iardino, Presidente di Fondazione The Bridge, ha parlato del nuovo ruolo dei pazienti nell’ambito della precision medicine proponendo una riflessione sugli obiettivi della ricerca e dello sviluppo di nuove terapie personalizzate. Secondo Iardino, l’empowerment non deve riguardare solo il paziente, ma la società nel suo complesso. La domanda alla base della discussione riguarda le finalità ultime del’innovazione in ambito medico: dove vogliamo arrivare e cosa vogliamo costruire? La ricerca e la scienza vadano avanti, ma quanti dei futuri pazienti e cittadini potranno avere l’opportunità di usufruire di una medicina di precisione sempre più sofisticata? L’ipotesi di una società che procede su due livelli – ad esempio per quanto riguarda l’accesso ai farmaci e l’accesso alle informazioni – è uno dei rischi da scongiurare, per cui abbiamo bisogno di partire da una riflessione di natura etica. La Presidente di Fondazione The Bridge ha sottolineato come il coinvolgimento del paziente debba essere preso sul serio, e non come un compito da assolvere per legge, come spesso ancora avviene. Proprio per questo è importante intervenire sul piano culturale, coinvolgendo la classe medica e l’intera società. La personalizzazione di terapie e strategie di prevenzione non deve in alcun modo portare a un sovraccarico o a un isolamento del paziente. Nella vita reale, ha ricordato Iardino, la presa in carico del paziente come individuo non deve scivolare nell’individualità, bensì in un empowerment collettivo.
(Qui le slide dell’intervento)
Angela Simone, Fondazione Giannino Bassetti, vicecoordinatrice del progetto SMART-map, propone una riflessione articolata attorno ai limiti della precision medicine. Il primo limite riguarda il concetto stesso di paziente. La medicina personalizzata lavora sui dati clinici (health data), ma soprattutto lavora sull’incrocio di dati della genomica, delle proteomica e delle cosiddette discipline “omics”, con un altro tipo di dati, come quelli legati alle abitudini alimentari, al lifestyle o all’ambiente. Incrociare questi dati ci permette di avere un quadro preciso non tanto del singolo ma di una classe di persone che condividono delle cifre genetiche e, sulla base di queste, quando possibile, identifichiamo non solo delle terapie, ma delle strategie di prevenzione. Emblematico in tal senso è il caso della Precision Medicine Initiative lanciata dal Governo Obama nel 2015, che nel 2016 muta il proprio nome in “All of US”, proprio per sottolineare che la precision medicine parla a tutti i cittadini: chiunque, purché maggiorenne, può partecipare all’iniziativa condividendo i propri dati, genetici, sugli stili di vita e anche sull’ambiente. La partecipazione è certamente elemento fondamentale dell’iniziativa, fondata sulla condivisione, su base volontaria, dei propri dati più personali e non a caso in tutti i documenti prodotti da All of US non si parla più di pazienti, ma di “participants”. L’obiettivo è di reclutare almeno un milione di partecipanti – anche attraverso device tecnologici che incentivino le mobile helth technologies – con lo scopo di creare dei pattern e arrivare a sviluppare delle terapie o delle strategie di prevenzione, anche se non è detto che sia possibile intervenire (actionaibility). Chi sono i destinatari della precision medicine? Chi è paziente? Cos’è la malattia? Un altro limite su cui è importante riflettere riguarda l’accettabilità del patient engagement. La domanda è provocatoria, ma certamente aperta. Gli esempi di pazienti, gruppi di pazienti o persone che, come i famigliari dei pazienti, vivono la malattia molto da vicino e hanno messo in campo iniziative innovative preziose per la società sono moltissimi. Per citare alcune esperienze particolarmente significative di patient empowerment pensiamo alla piattaforma Patient Innovation nata in Portogallo, alle esperienze dell’ecosistema italiano descritte nel report MakeToCare, al celebre caso di Onno Faber. Lo sviluppo di tecnologie come il genome editing, e in particolare di CRISPR-Cas9, che consente di ingegnerizzare in modo molto preciso il DNA a basso costo è oggi utilizzato nei laboratori di biologia molecolare di tutto il mondo, ma anche nei laboratori amatoriali e dalla comunità DIYbio, molto spesso formate da biologi, biotecnologi e persone esperte quanto da cittadini e “biocurious”. Questa tecnologia è ormai diffusissima: su alcuni siti web è possibile comprare dei kit per CRISPR-Cas9 con poche centinaia di dollari, che vengono spediti a casa e che possono essere utilizzati su piante, animali e uomo. È famoso in tal senso il caso del biohacker Josiah Zeyner, che, oltre a vendere questi kit online, si è autosomministrato davanti a una nutrita platea un miscuglio (contenente anche CRISPR-Cas9) per aumentare il volume dei propri muscoli, intervenendo sulla miosina. Come regolamentare queste nuove tecnologie senza bloccare il contributo ogni giorno più importante che l’innovazione bottom-up porta con alla società e senza limitare la creatività dei pazienti?
(Qui le slide dell’intervento)
L’esperienza di Piero Rivizzigno, fondatore del sito tumorepancreas.com, è uno degli esempi virtuosi di empowerment dei cittadini citati da Angela Simone nel suo intervento. Rivizzigno, a partire da un’esperienza personale, ha messo la propria creatività e le proprie competenze (esperto di tecnologie digitali) al servizio dei pazienti colpiti da tumore al pancreas. In Italia questa malattia colpisce circa 14000 persone all’anno, di cui circa 8000 muoiono nei primi 12 mesi e si calcola che tra dieci anni questo tipo di cancro sarà la seconda causa di morte per tumore. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è tra il 5% e l’8% ed è con questi dati che, a fronte di una diagnosi di tumore al pancreas, i pazienti devono fare i conti, spesso basandosi su informazioni raccolte in rete, magari confrontandosi sulle numerosissime comunità di pazienti presenti suo social, spesso terreno di caccia di speculatori. Proprio a partire dall’evidenza della necessità per i pazienti di avere più facilmente accesso alle informazioni, dal 2016 Piero Rivizzigno organizza degli incontri per avviare uno scambio tra pazienti i medici, da cui sono emersi dati estremamente interessanti, come il fatto che i pazienti colpiti da tumore al pancreas, dopo la diagnosi, si rivolgono ai chirurghi invece che agli oncologi, o come la rilevanza di una figura poco conosciuta, quella dell’anatomo-patologo. Accanto a questo attività di informazione e di facilitazione del dialogo tra medico e paziente, il fondatore tumorepancreas.com ha sviluppato, in collaborazione con uno studente dell’Università di Padova, PanDi App, un’applicazione che accompagna il paziente che ha ricevuto una diagnosi di tumore al pancreas nel follow up della malattia, aiutandolo nella comunicazione col medico e nella gestione dei propri impegni quotidiani legati alla malattia. Le funzioni dell’app sono moltissime: dalla possibilità di registrare dati particolarmente significativi per questi pazienti, come quelli relativi ai farmaci assunti o all’alimentazione, alla condivisione di foto con il proprio medico, ad esempio per comunicare a distanza la comparsa di un edema. Secondo un report pubblicato dall’ASCO nel 2018, il cosiddetto il follow up con web application aumenta mediamente di 5 mesi la sopravvivenza dei pazienti.
Sviluppare un’applicazione come PanDi App richiede ovviamente una riflessione sulla gestione dei dati in termini di sicurezza, ma anche, ad esempio, in termini di proprietà, affidabilità, opportunità di business e tutela del paziente.
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