Gabriele Giacomini indaga sul tema del rapporto tra democrazia e digitalizzazione della comunicazione, con una serie di interviste.
Le tecnologie della comunicazione sono state fondamentali per la democrazia. Non a caso è a partire dal ‘500, quando viene inventata la stampa a caratteri mobili, che comincia il lungo processo di contenimento dei poteri assolti per mezzo di un’opinione pubblica costruita attraverso i pamphlet, le opere e i materiali stampati. Secondo Urbinati non si deve mai pensare che siccome gli strumenti di comunicazione sono usati male allora sono negativi. Sono positivi perché danno la possibilità di arricchire la conoscenza e l’interazione con gli altri. Questo vale anche per Internet, nonostante i problemi che sono stati sollevati da molti studiosi scettici, fra cui Umberto Eco e Cass Sunstein. Il web può promuovere anche la nascita di movimenti d’opinione globale (pensiamo alle iniziative promosse dai personaggi dello spettacolo, come Bono o Angelina Jolie) e di movimenti politici, come nel caso dei Cinque Stelle in Italia (che attualmente sembra a metà via tra un partito-azienda e una situazione ipermoderna e avanzata). Ciononostante, a causa delle nuove sfide globali e locali, in futuro è possibile che la democrazia rappresentativa che conosciamo sperimenti meccanismi diretti, anche online.
“Internet è simile all’invenzione della stampa, dà vita a nuove forme politiche”.
Intervista a Nadia Urbinati, 23 settembre 2017.
Nadia Urbinati insegna teoria politica presso la Columbia University di New York. È specialista di pensiero politico moderno e contemporaneo e di tradizioni democratiche e anti-democratiche. È stata co-editor della rivista “Constellations: An international Journal of Critical and Democratic Theory” ed è editorialista del quotidiano “La Repubblica”.
D. Che ruolo ha il discorso pubblico e il confronto ragionato in democrazia?
R. Soffermiamoci sulla deliberazione. Mentre il processo decisionale nei regimi pre-democratici era basato sull’accettazione del sovrano di essere consigliato da suoi fedeli collaboratori, il sistema democratico presume che tutti, in modo diretto o indiretto, partecipino al processo di formazione delle opinioni deliberative, anche coloro che non sono cittadini, dato che il loro parlare, discutere, i loro problemi, la loro vita nella società ha degli effetti nella formazione dell’opinione degli altri cittadini, in un rapporto che è osmotico. Ciò trova fondamento su premesse di tipo normativo, cioè valoriale, che sono l’uguaglianza legale davanti alla legge, o (per i non cittadini) l’essere portatori di diritti umani. Tra i diritti da tener presente per l’azione deliberativa vi sono quello di libertà di parola e quello di libertà di associazione, certo non assoluti ma essenziali per le democrazie.
Aggiungiamo, infine, la nostra disponibilità come attori politici di interagire tra di noi, e quindi anche con chi non la pensa come noi, di esse disposti ad un confronto aperto senza sotterfugi, e per ciò stesso rischioso anche per noi, che dobbiamo mettere in contro di poter cambiare idea. Quella delle democrazie è una dimensione discorsiva molto complessa, articolata, che riguarda il mondo delle parole, delle idee, delle influenze di tipo psicologico. Questo mondo così ampio è stato denotato da Habermas già all’inizio degli anni ’60 con il termine di sfera pubblica dell’opinione e della formazione della volontà politica.
D. Quali conseguenze ha la diffusione di Internet per il dibattito pubblico e la partecipazione politica?
R. Le democrazie moderne sono nate insieme alla carta stampata, che ha permesso la diffusione di materiale informativo e di propaganda elettorale. Dal ‘500 in poi comincia il lungo processo di contenimento dei poteri assoluti per mezzo di un’opinione che viene creata attraverso i pamphlet, attraverso gli scritti ed è ancora quella del pubblico colto. Pensiamo a John Milton o Algernon Sydney, ai Manifesti dei Puritani e del Levellers, insomma al ricco movimento repubblicano e proto-democratico che ha contribuito alla rivoluzione del Seicento. Indubbiamente, la tecnologia della comunicazione è fondamentale per la democrazia, così come lo è quella del trasporto. John Stuart Mill a metà ‘800 diceva che grazie alla stampa e alle ferrovie si sarebbe superato il problema dello spazio; si sarebbe ricreata un’agorà; la quale, se nel caso della antica Atene era fisica e diretta, nella società moderna sarebbe stata una contemporaneità mediata e simbolica. Le tecnologie della comunicazione hanno dato indubbiamente un grandissimo sostegno alla circolazione di visioni, di idee, e in questo senso alla democrazia e ai sistemi politici aperti e liberali. Non si deve mai pensare che siccome Internet è usato spesso male allora sia negativo. Le nuove tecnologie della comunicazione sono positive perché danno la possibilità di arricchire la nostra interazione con gli altri, di conoscere molte più cose.
Tramite Internet, se lo vogliamo, riusciamo ad avere accesso a strumenti di conoscenza che altrimenti richiederebbero molto più tempo e anche l’inclusione in processi lavorativi. Un tempo, un professore universitario aveva molta più possibilità di accedere alle biblioteche di una persona comune, mentre molti e in teoria tutti possono accedere alle biblioteche on line. Inoltre, dei network possiamo fare anche un uso politico. Internet ci consente di sopperire alle distanze e al limite fisico dell’incontro. In teoria tramite Internet potremmo davvero scavalcare frontiere, sentirci sempre di più cittadini del mondo. Possiamo entrare in comunicazione con i movimenti civili e politici in Brasile, in Argentina, in India; possiamo partecipare in qualche modo a ciò che accade in società di cui non siamo parte. La partecipazione viene dilatata, senza bisogno che ci si muova da casa. Questo è un elemento importante che consente ad ognuno di considerare l’intero globo come la propria dimensione di interazione, di intervento deliberativo.
Diceva Kant che ci sarà un momento in cui il mondo sarà così integrato che tutto quello che succede, anche nell’angolo più remoto, potrà essere avvertito e discusso dovunque, contribuendo a influenzare e modificare le scelte – ed è quello che sta succedendo con l’audience globale. È chiaro che questa dimensione comunicativa e questi mezzi possono presentare aspetti problematici che devono essere affrontati; per esempio, possono portare a situazioni antipatiche, e cambiare lo stato della democrazia.
D. A quali problematiche fa riferimento?
R. Alcuni studiosi, soprattutto scettici, hanno insistito su questo aspetto negativo; pensiamo ad esempio a Cass Sunstein, uno dei primi studiosi a occuparsi di “Infotopia” e di “Rumors” (che sono titoli di due suoi libri) via web. Sunstein è un costituzionalista con una visione repubblicana della politica, quindi diffidente nei confronti delle masse caciarose e dell’attivismo non competente (che è poi quello democratico). Il web, secondo questo tipo di pensatori, serve non ad espandere la nostra conoscenza ma a chiudere la nostra mente dentro nicchie identitarie. Infatti, quando entriamo nei social networks cerchiamo innanzitutto coloro che sono vicini alle nostre opinioni ed escludiamo tutti quelli che sono lontani. Per rafforzare la nostra identità di gruppo siamo anche disposti ad accettare senza tanto discutere quelle che sono mezze verità o menzogne. Questo è un problema reale. Tuttavia, secondo me accanto a questo problema c’è anche il fatto che noi siamo esseri adattabili e antropologicamente capaci di modificare noi stessi e la realtà.
Credo che le future generazioni si abitueranno a usare questo strumento come ci siamo abituati ad usare la stampa e i caratteri a inchiostro. In molti impareranno a distinguere meglio, saranno più disincantati, meno convinti che tutto sarà così dogmaticamente vero o falso. L’uso aiuterà, secondo me, a riequilibrare il nostro rapporto con il concetto di verità via Internet.
D. Quali sono le caratteristiche dei movimenti politici nati recentemente utilizzando il web?
R. Una ragione per la quale gli scienziati della politica, soprattutto quelli abituati a studiare i partiti tradizionali, sono diffidenti nei confronti di questi nuovi movimenti, è che non sono strutturati, non hanno una base fisica, delle sedi, degli organi definiti, anche se questo in parte è vero anche di un partito ‘strutturato’ come il PD, che ha sempre meno sedi fisiche ed è sempre più legato a situazioni personali. Il problema è generale, mi sembra. Per quanto riguarda i movimenti che utilizzano Internet, dobbiamo essere consapevoli che l’Italia è un paese d’avanguardia in relazione al Movimento 5 Stelle. Al di là delle questioni locali e quotidiane, questo è un esperimento in evoluzione a partire dalla comunicazione in rete. Io non sono cinque stelle e non mi interessa esserlo, però ho cercato sempre di studiare questo fenomeno, in maniera critica e comunque con attenzione.
La piattaforma beppegrillo.it è nata con una grandissima ambizione, quella di essere anti-partigiana, di essere più “tecnica” che partigiana, raccogliendo dati sulla natura, sull’ambiente, sulle tecnologie. Questo è un aspetto importante, che emerge un po’ in tutti i movimenti legati al web: pensare che sia possibile giungere ad una definizione del bene generale aldilà delle preconcezioni partigiane; pensare che il web aiuti a chiarire, a conoscere, ad avere un rapporto “tecnico” col mondo, di “problem solving”. Da una simile visione, Grillo sferrò con forza l’attacco ai partiti, nel nome dei cittadini ordinari che pagano le tasse; nel tentativo di scalzare l’esistente classe dirigente. Dobbiamo essere dubbiosi e anche critici sul metodo usato dal movimento di Beppe Grillo. Prima di tutto perché non è mai stato un movimento pubblico (è un’azienda posseduta da un gruppo di persone fisiche con un contratto depositato alla Camera di commercio di Milano). Tutti i partiti hanno bisogno di tesserati e ai partiti si può accedere anche come simpatizzanti e partecipare alle attività; invece entrare nel sito di Beppe Grillo non è così agevole. Inoltre lo statuto che doveva regolare le attività è stato sempre arbitrariamente usato dai decisori riconosciuti, cioè dai capi carismatici. Visto da fuori, il movimento è a metà via tra un partito-azienda, patrimoniale, e una situazione ipermoderna e avanzata di partecipazione.
D. Oltre a quello di Grillo ci sono nel mondo altri movimenti politici significativi che sono nati usando Internet?
R. In Germania c’è il movimento dei Pirati, che però sta perdendo terreno anche perché è rimasto essenzialmente locale, basato sull’idea che occorra avere un rapporto diretto con la vita locale, più vicina a noi di quella nazionale. Anche negli Stati Uniti ci sono due casi esemplari: per esempio il Tea Party e Yes we can di Obama. Entrambi si sono stabilizzati e hanno aperto la strada alla costruzione di network locali e fisici proprio grazie a Internet. Pensiamo alle campagne elettorali di Obama, a partire da quella per le primarie. Obama partì come esterno all’establishment del partito democratico, che inizialmente non lo ha appoggiato perché forse troppo giovane o con poca carriera nelle istituzioni (era Senatore da una sola legislatura). Lui scavalcò la dirigenza del Partito democratico attraverso il rapporto diretto con i suoi sostenitori, ai quali chiese un dollaro a testa come segno di sostegno alla sua candidatura alle primarie. Ciò gli permise addirittura di raccogliere fondi anche fuori dal Paese, con quello che è il primo caso esemplare di un’interferenza globale nelle scelte nazionali.
D. Cosa ne pensa dell’idea di democrazia digitale diretta? È realizzabile oppure una qualche forma di partito è necessaria per la democrazia?
R. Non sappiamo come andrà il futuro, però è evidente che ci sono degli esperimenti in Islanda, in Canada (British Colombia), in Brasile, in Germania, in Finlandia di democrazie che insieme alla rappresentanza elettorale classica e al referendum stanno provando ad usare altri metodi di consultazione e perfino di decisione, grazie ad Internet. Ricorrere alla consultazione diretta su alcune specifiche questioni è già ora possibile – ad esempio, perché non fare decidere ai cittadini il nome della scuola pubblica della loro zona? Insomma, quando si tratta di cercare soluzioni a problemi (che i politici fanno fatica a risolvere in maniera soddisfacente con il sistema elettorale) non è utopistico pensare di servirsi della consultazione diretta via rete. Lo stato di British Colombia si è servito di un sistema di consultazione diretta e del ricorso ad assemblee di selezionati per lotteria con lo scopo di giungere alla formulazione di un buon sistema elettorale (la proposta non è stata poi accettata dal parlamento).
Oppure in Islanda, dove dopo la crisi finanziaria del 2008 hanno rovesciato la classe dirigente e pensato di autogestirsi per riscrivere una nuova costituzione, usando una sinergia di metodi: diretti e indiretti, via Internet, e con elezione e sorteggio. Come si vede, siamo ormai nella situazione dell’ibrido e dall’ibrido è possibile passare a forme sempre più basate sul web. Anche all’interno di ong e all’interno di grandi corporation multinazionali si stanno sperimentando meccanismi diretti: con più facilità, meno tensione e perdita di tempo è possibile risolvere alcuni problemi settoriali attraverso una consultazione diretta on line.
D. Si tratta di consultazioni limitate ad ambiti settoriali perché l’ideale di cittadino totale, che si occupa di tutte le questioni politiche, non può esistere?
R. Certo che c’è questo fatto, però credo che dovremmo sempre più renderci conto che la struttura della sovranità giuridica alla quale noi siamo legati (soprattutto negli Stati del continente europeo, basati sul diritto romano) è sfidata da forme di decisione che sono sempre meno centralizzate. È come se la politica sovrana o la decisione del cittadino venisse scorporata. L’Unione europea è un esempio di ciò, perché non è all’interno del filone sovrano a cui noi siamo abituati, ma in quello della sussidiarietà, che contempla diversi livelli di responsabilità, di inclusione nella decisione. Il cittadino in questo modo viene ridefinito. Se i romani erano capaci di adattare il loro codice e la loro istituzione ai mutamenti sociali e politici, non vedo perché non dovremmo poterlo fare anche noi. Non è impossibile che la concezione della sovranità classica che abbiamo, così monolitica o monoteista, possa alleggerirsi di funzioni che altri organi possono esercitare in modo diverso. In fondo ci sono molte questioni che non sono risolvibili a livello classico di sovranità: dal problema della migrazione a quello del mutamento climatico. Si tratta di problemi che richiedono una visione più elastica; sarebbe utile capire come possano essere aggiustati all’interno della nostra concezione di libertà politica.
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