Gabriele Giacomini indaga sul tema del rapporto tra democrazia e digitalizzazione della comunicazione, con una serie di interviste.
Splichal si focalizza sui chiaroscuri di Internet. Il giornalismo, ad esempio, è definito come un caso esemplificativo della contraddizione intrinseca alle tecnologie comunicative e informative, che qualificano le persone per nuovi lavori e le dequalificano allo stesso tempo. Fino al rischio della sostituzione del giornalismo con la robotizzazione delle notizie. La sfera pubblica, invece, registra un’abbondanza di informazioni che porta a processi di frammentazione, di consonanza cognitiva unilaterale, che tendono a ridurre le opportunità di testare l’obiettiva affidabilità della conoscenza di ognuno. Infine la politica: i movimenti sociali possono rimanere conformi alla logica mediatica dominante che vede al centro la propaganda, oppure possono valorizzare le affordance democratiche di Internet mettendo in campo azioni alternative e innovative. Per ora sembra prevalere il primo modello, come lasciano intuire il Movimento 5 Stelle in Italia e Podemos in Spagna.
“Ad Internet è attribuito un immenso potenziale, ma il suo potere emancipativo rimane dubbio”.
Intervista a Slavko Splichal, 12 dicembre 2017.
Slavko Splichal è Professore di Comunicazione e pubblica opinione presso l’Università di Lubiana ed è membro dell’Accademia slovena di scienze e arti. È direttore dell’Istituto europeo per la comunicazione e la cultura ed è editor della rivista Javnost-The Public.
D. Che cosa ne pensa del concetto di “hybrid media system” riguardo la sfera pubblica?
R. Il concetto di Chadwick, “hybrid media system”, si riferisce a individui, gruppi, organizzazioni e istituzioni che combinano, che fondono insieme vecchie e nuove logiche mediali. Senza alcun dubbio stiamo affrontando cambiamenti significativi causati dall’internetizzazione, riguardanti sia le infrastrutture comunicative sia i processi (comunicativi) mediati dalla tecnologia, il che non influenza solamente il sistema dei media ma porta anche a nuovi modi di comunicazione (ibridi).
Il neologismo “internetizzazione” indica l’evoluzione delle dinamiche dell’interconnettività digitale, consentite appunto dalla presenza di Internet in tutte le sfere della vita umana. Invece di “hybrid media system”, che non specifica in che cosa concerne l’ibridità, preferisco usare il termine (e concetto) di “IPPCN – Integrated Public-Private Communication Network(s)”, che discuto più dettagliatamente nei due articoli in via di pubblicazione “The (re)production of publicness and privateness in the liquid modern society”, Medijska istraživanja, 2017, n.2 e “The Janus face of internetized public/ness”, Javnost-The Public (in via di pubblicazione per il numero speciale in occasione del 25° anniversario, 2018). Un’importante caratteristica dell’internetizzazione è la liquefazione del confine tra cosa pubblica e privata. Con l’IPPCN la relazione tra ciò che è pubblico e ciò che è privato si è spostata, per la prima volta nella storia, dal concettuale al materiale: l’IPPCN collega direttamente pubblico e privato dentro una singola piattaforma tecnologica. Integrando la comunicazione privata con quella pubblica, Internet ha interconnesso modi di comunicazione (da uno-ad-uno a molti-a-molti) e tipi di contenuto (testo, immagine, audio, video e voce) tradizionalmente separati su scala globale.
Questo nuovo mondo comunicativo, definito da Manuel Castells “autocomunicazione di massa”, ha molte più conseguenze significative e di lungo termine per individui e società rispetto a qualsiasi altra precedente tecnologia comunicativa rivoluzionaria. Quelli che in precedenza erano confini ben demarcati tra discussione pubblica e privata, fra dimensione degli interessi personali e dimensione degli interessi collettivi in una comunicazione politica organizzata gerarchicamente, ora sono permeabili; anche i diritti umani alla privacy e alla pubblica espressione (cioè all’agire pubblicamente) si fondono insieme, come ad esempio nel “right of publicity”.
Come suggerisce Stephen Coleman, i confini tra pubblico e privato fino ad ora distinti sono diventati sempre più instabili, il sistema di comunicazione politico è diventato poroso e il progetto democratico, una volta limitato in una sfera pubblica chiaramente delineata, non può più essere categorizzato come pubblico o non pubblico, politico o non politico.
D. In che senso il giornalismo è in crisi? Dove possono essere rintracciate le cause di questa crisi?
R. Il giornalismo è un caso esemplificativo della contraddizione intrinseca allo sviluppo delle tecnologie comunicative e informative: la computerizzazione fornisce nuove capacità e qualifica le persone per nuovi lavori e le dequalifica allo stesso tempo. Questi processi potrebbero minacciare molti impieghi giornalistici e addirittura il giornalismo come professione. L’internetizzazione ha dato forza a nuove dinamiche nell’ambito del giornalismo, le quali hanno influenzato identità, pratiche, norme professionali, modi di coinvolgimento, hanno messo in crisi la legittimità di varie categorie di giornalismo nonché il loro ruolo nella sfera pubblica. Una quantità sempre maggiore e diversificata di contenuti generati dagli utenti comuni o generati dal computer – usati dai media e che bypassano i media – mette a dura prova queste funzioni (normative) della comunicazione pubblica, poiché i mass media e i giornalisti che dovevano svolgere queste funzioni (e che abitualmente le svolgevano) potrebbero non solo trovarsi ad affrontare una perdita di autonomia nell’IPPCN ma anche la scomparsa della professione giornalistica come la conosciamo.
I giornalisti sono tra quei professionisti qualificati il cui impiego viene significativamente eroso dall’avanzamento della tecnologia d’informazione. In soli 8 anni, dal 2006 al 2014, il numero totale di impiegati in redazione presso testate giornalistiche statunitensi è diminuito da 55.000 a 32.900, riducendo così la forza lavoro del 40%. Mentre il mercato del lavoro sta migliorando per coloro che si sono laureati più di recente nei college americani, i laureati in comunicazione e giornalismo sono l’unico gruppo il cui livello di disoccupazione sta ancora aumentando. L’ampiezza di questi cambiamenti si riflette nella credenza dominante fra i giornalisti secondo cui non possono più portare a termine il loro lavoro senza i social media (nonostante questi vadano ad indebolire il valore tradizionale del giornalismo), e nella previsione dell’industria dell’informazione secondo cui, entro il 2020, il 75% dei contenuti saranno creati dai robot.
La robotizzazione del giornalismo implica una serie di processi tecnologici legati all’introduzione di strumenti di intelligenza artificiale come il machine learning, l’estrazione di dati, il riconoscimento di pattern statistici, il che si prevede potrà influenzare la produzione giornalistica in due modi: l’introduzione di un “giornalismo robotico” da un lato diversificherà la produzione giornalistica e aumenterà la crescita della sua audience, dall’altro porterà i giornalisti all’obsolescenza. Invece di rivolgersi ad ampie audience con un numero ridotto di storie ad alta intensità di lavoro scritte da uomini, il giornalismo robotico può targhetizzare molte piccole utenze con un enorme numero di storie automatizzate che riguardano argomenti locali o di nicchia, sfruttando i dati disponibili sui consumatori. L’obiettivo è lo stesso dei cosiddetti algoritmi di raccomandazione dei servizi online che generano e categorizzano milioni di profili di utenti a partire dalle storie personali online associate con metadati offline, e poi li vendono ai marketer che targhetizzano gli utenti con inserzioni pubblicitarie customizzate. Le inserzioni pubblicitarie saranno d’ora in poi accompagnate da notizie customizzate, il che potrà offuscare la differenza tra pubblicità e notizia, rendendo quindi la pubblicità più efficace.
L’aumentato volume di notizie che risulta dall’automazione potrebbe rendere più difficile navigare in un mondo saturo di informazioni, e ciò potrebbe aumentare il bisogno delle vere capacità umane che un buon giornalista incarna – il giudizio su una notizia, la curiosità, l’essere critico – in maniera tale da continuare ad essere informati in maniera succinta, completa e accurata. Dall’altro lato, l’aumentata quantità di notizie che risulta dall’automazione richiederà anche una maggiore automazione per gestire la sempre crescente quantità di informazioni, il che renderà gli algoritmi sempre più potenti nel decidere ciò che è interessante da pubblicare (cioè mandare ai singoli consumatori di notizie) e nel decidere quali notizie vadano consegnate a chi. Quindi, alla fine della giornata, saranno i robot a raccomandarci contenuti creati dai robot? Questi problemi ricordano l’antichissimo dibattito tra Lippmann e Dewey riguardo la neutralità/parzialità degli esperti d’informazione. In opposizione alla fiducia di Lippmann nell’imparzialità di “insider” esperti che formerebbero “intelligence bureau” indipendenti, imparziali e orientati ai fatti – come un’antica versione dei robot d’informazione – e che produrrebbero “conclusioni tali da non poter essere respinte o ignorate”, Dewey ha negato ogni possibilità di “insider” privi di valori, disinteressati. Piuttosto, egli ha visto due possibili tipologie di dipendenza e interesse: o essere un mezzo nelle mani del capitale, o essere affiliati alle masse aiutandole a partecipare al potere.
La robotizzazione del giornalismo ha aggravato questo dilemma poiché le decisioni prese dalle macchine negli “intelligence bureau” sembrano essere indipendenti dagli interessi umani e quindi non soggettive, parziali o con pregiudizi, mentre in realtà è sempre un “intelligence bureau” umano a predefinire gli algoritmi e a dare inizio al machine learning.
D. La diffusione di Internet e la crescita esponenziale delle informazioni disponibili aumenta o diminuisce la qualità del dibattito pubblico in democrazia?
R. Nonostante l’immenso potenziale attribuito ad Internet, il suo potere emancipativo di creare nuove piattaforme democratiche e promuovere una comunicazione riflessiva rimane questionabile. L’abbondanza di informazioni porta a processi di frammentazione e di consonanza cognitiva unilaterale che tendono a ridurre le opportunità di testare l’obiettiva affidabilità della nostra conoscenza e delle nostre opinioni. Nell’anarchico ambiente online, i cittadini devono funzionare come guardiani e redattori di loro stessi per acquisire e disseminare informazioni pertinenti. Tuttavia, per diverse ragioni, non sono in grado di portare a termine tale compito, il che può portare persino all’ansia da informazione. Gli utenti di Internet possono combinare dozzine di azioni informative e comunicative, dalla ricerca di risposte a specifiche domande a email, forum aperti, blog e microblog, siti di chat, gruppi di notizie, social network. Il vasto oceano di informazioni che si trova nel mondo esterno e che le persone si sentono obbligate a esplorare per tenersi aggiornate, il flusso in entrata di messaggi email e aggiornamenti dai siti (RSS feeds), la disinformazione (‘fake news’) che è difficile da distinguere dall’informazione, possono causare un sovraccarico di informazioni.
Viviamo in una “abbondanza informativa” che ha inoltre generato (una traccia di) “liquefazione comunicativa della politica”. L’abbondanza o il sovraccarico di informazioni riducono le opportunità di testare l’obiettiva affidabilità delle nostre conoscenze e opinioni – che sarebbe una condizione del ragionamento riflessivo – promuovendo processi di frammentazione e consonanza cognitiva unidirezionali, ovvero a fenomeni come le echo chambers o le filter bubbles, spesso causati da algoritmi segreti come le news-feed personalizzate di Facebook o la ricerca personalizzata di Google. La massima di Kant sul giudizio chiede ad ognuno di immaginare il punto di vista di chiunque altro, staccandosi dalle condizioni personali e soggettive del giudizio che ostacolano le menti di così tante persone, elaborando quindi il proprio giudizio a partire da un punto di vista universale.
Inoltre, la norma secondo cui le opinioni (e le ragioni delle stesse) debbano essere disponibili e comprensibili pubblicamente è costitutiva di una democrazia deliberativa. Senza un’attitudine a mettersi nel “punto di vista di chiunque altro” una persona potrebbe allontanarsi dalle informazioni rilevanti e potrebbe non essere in grado di elaborare giudizi informati. Poiché la prassi decisionale e il controllo democratico richiedono conoscenza e comprensione di base dei processi e degli esiti politicamente rilevanti (cioè quelli con importanti conseguenze a lungo termine per un numero significativo di persone), bisognerebbe sviluppare un “contraltare” pubblico agli algoritmi privati per il flusso di notizie, con lo scopo di evitare le conseguenze negative dell’uso commerciale degli algoritmi.
D. Globalmente, quali sono i nuovi movimenti politici che sono nati usando Internet? Quali sono le principali caratteristiche di questi movimenti rispetto a quelli tradizionali?
R. Nell’era di Internet è semplicemente impossibile evitare di usare la rete in politica, dato che virtualmente tutti gli aspetti della vita umana, dal lavoro all’istruzione, dagli affari alla politica, sono influenzati dalla sua onnipresenza. La crescita senza precedenti di modalità comunicative pubbliche, private e ibride sul web e sui social media, da Facebook a Twitter e oltre, indica che Internet può influenzare significativamente i processi politici. È una questione diversa, tuttavia, quella che riguarda il potenziale emancipativo di Internet, il fatto che sia abbastanza forte da ottimizzare nuove piattaforme democratiche capaci di promuovere conversazioni riflessive, il che rappresenta la domanda cruciale per i (nuovi) movimenti politici.
Io non credo che esista una sostanziale differenza tra movimenti “tradizionali” e quelli di recente introduzione (essenzialmente) online. Piuttosto, vedo la differenza principale nel modo in cui i movimenti sociali rispondono alle affordance democratiche di Internet – cioè se rimangono conformi alla logica mediatica dominante e alle modalità comunicative strumentali (propaganda), oppure se essi cercano di mettere in campo azioni comunicative alternative e innovative. Sembra prevalere la prima. Il Movimento 5 Stelle con Beppe Grillo in Italia e Podemos con Pablo Iglesias in Spagna sono esempi di un trasferimento ben riuscito di azioni discorsive e di prodotti politici tipici dell’ambito mainstream-televisivo all’universo online. Gli Indignados sarebbero un esempio di movimento emerso esclusivamente dalle mobilizzazioni online.
In termini di politica parlamentare, i movimenti organizzati in modo più tradizionale (istituzionali o partitici, mediatizzati piuttosto che internetizzati) che attuano campagne permanenti sembrano avere più chance per un “upgrade” politico rispetto ai movimenti sociali basati sull’IPPCN, che sono organizzati in modo meno gerarchico e che hanno un potenziale partecipativo più forte.
Ciò suggerisce chiaramente che le nuove tecnologie comunicative, benché possiedano affordance o proprietà specifiche percepite come utilizzabili per l’azione, si adattano a diversi livelli e in modi diversi (o non si adattano affatto) alle attività esistenti degli utenti che si avvicinano alle nuove tecnologie. Gli IPPCN non sono soltanto un mero strumento disponibile ai diversi utenti per un più efficace coordinamento delle azioni comunicative e strumentali, cioè per aumentare o diminuire la loro visibilità, ma ridefiniscono anche la loro comprensione delle azioni e delle comunicazioni sociali nelle (ri)configurazioni internetizzate, come si riscontra in particolare nelle critiche dei movimenti sociali alternativi riguardo le logiche dei media tradizionali e il sistema politico basato su élite.
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