Gabriele Giacomini indaga sul tema del rapporto tra democrazia e digitalizzazione della comunicazione, con una serie di interviste. Nel luglio 2017 abbiamo pubblicato le prime quattro (con il corredo del video), con questo post la serie riprende e si arricchisce di nuove voci.
Intervista a John O’Sullivan, 8 maggio 2017.
Internet ha portato alcuni progressi, ad esempio nel supportare il giornalismo investigativo. Inoltre dà voce a gruppi che precedentemente erano marginalizzati. Tuttavia la preoccupazione è che i cittadini pensino di leggere su Internet notizie libere da condizionamenti, mentre in realtà si può trattare di informazioni offerte da attori fortemente motivati in senso politico, a volte addirittura svitati e complottisti. Certamente la propaganda non è nata con Internet, tuttavia la diffusione di molte fake news suggerisce che utilizzando i nuovi strumenti tecnologici sia possibile diffondere propaganda e disinformazione in maniera ancora più efficiente ed organizzata, ad esempio utilizzando i big data che sono in possesso delle multinazionali. Anche per questi rischi la stampa tradizionale è ancora preziosa per la democrazia. Un sistema di notizie composto da istituzioni di informazione conosciute o fidate, gestito da giornalisti che si impegnano rispettando standard professionali ed etici, fornisce ai cittadini la possibilità di farsi strada nel mondo dell’informazione dando un senso al flusso delle notizie.
John O’Sullivan
John O’Sullivan insegna giornalismo e comunicazione presso la Dublin City University, dove è titolare dei corsi di giornalismo digitale. È stato giornalista per The Irish Times e per l’Irish Independent, dove è stato il primo ad occuparsi del settore digitale. È membro del consiglio redazionale della rivista internazionale Digital Journalism ed ha avuto un ruolo direttivo nell’Associazione europea per la ricerca e l’educazione della comunicazione.
D. Che cosa si intende per digital disruption?
R. Digital disruption è l’idea, oggi alla moda, secondo cui le tecnologie digitali si stanno diffondendo rapidamente, in una grande varietà di settori, e stanno trasformando il modo in cui questi settori funzionano, non solo nell’ambito delle notizie o del giornalismo ma anche in quello sanitario, bancario o educativo. Attribuita ad uno studioso di business di Harvard, Clayton M. Christensen, l’idea di “disruptive innovation” è legata alla teoria di Joseph Schumpeter sulle fasi del capitalismo e sulla distruzione creativa. Ha anche origine nell’idea dei cosiddetti evangelisti digitali come Nicholas Negroponte o Esther Dyson e nella concezione di una trasformazione totale dal materiale al digitale. Fa quindi parte del “sublime digitale”, un mito emerso a partire dagli anni ’80 che, seguendo il “sublime tecnologico” del dopoguerra, assegna alla tecnologia un ruolo di guida della società capace di produrre un cambiamento inevitabile, diffuso, inarrestabile. Certamente questa costruzione è fortemente promossa dagli interessi del mondo Ict e da altre istituzioni, incluse le università, che in questo modo sperano di presentarsi come innovatrici.
D. Come hanno affrontato i giornali tradizionali le sfide poste dalla rivoluzione digitale?
R. Questa è una questione controversa, poiché i giornali le hanno affrontate piuttosto male, in prima istanza andando nel panico e regalando contenuti per nulla. Ciò è stato parzialmente superato ora, attraverso sperimentazioni con paywall e altri flussi di entrate, ma la strada è ancora lunga e difficile per riprendersi dalla visione radicata secondo cui le notizie su Internet debbano essere gratuite. In particolare, dovrebbe essere affrontato il problema dell’immenso potere del mercato pubblicitario di Google e Facebook, aziende che beneficiano in maniera perversa del lavoro giornalistico di altri. Una differenza fra giornali cartacei e quelli online è che la stampa ha tradizionalmente attirato quantità di pubblicità considerevoli, mentre le notizie online finora non lo hanno fatto in maniera paragonabile, almeno per quanto riguarda i giornali.
D. Sono i giornali cartacei ad influenzare l’informazione su Internet o accade il contrario?
R. Sarebbe semplicistico scegliere solo una o solo l’altra opzione. Si influenzano a vicenda, ovviamente. Ad esempio, le programmazioni dei social media sono spesso impostate da agenzie di stampa tradizionali, inclusi giornali, e viceversa gli eventi mediatici sul web costituiscono a loro volta notizie per i giornali. A questo proposito l’esempio ovvio è l’attività su Twitter del Presidente Trump, ma il suo è solo un esempio di molti attori politici o di imprenditori che fanno notizia attraverso i social media.
D. Come cambia la comunicazione dei politici e dei partiti su Internet?
R. Questa non è la mia area di specializzazione ma Internet, e i social media in particolare, offrono ai politici un modo per superare i (presunti) controlli ed equilibri del quarto potere e per comunicare direttamente con il pubblico. Tuttavia, l’idea che ciò in qualche modo dia vita ad una nuova sfera pubblica non ha senso, poiché i social media non sono forum tra pari, ma sono piuttosto dominati da interessi politici e imprenditoriali già stabiliti. Quindi il ruolo di cane da guardia di una stampa autonoma e funzionante rimane ancora necessario.
D. Come cambia il modo in cui i cittadini si informano di politica su Internet rispetto ai media tradizionali?
R. Il giornalismo tradizionale opera – per sua natura in modo imperfetto – come un guardiano ed un organizzatore del palinsesto delle notizie, incluse quelle politiche. Nasce con le sue imperfezioni ma, passando attraverso il mercato, è soggetto ad un controllo esterno. Inoltre un sistema di notizie composto da istituzioni di informazione fidate o conosciute, gestito da giornalisti che si impegnano rispettando standard professionali ed etici, fornisce ai cittadini la possibilità di farsi strada nel mondo dell’informazione in base a qualche parametro stabile, dando al flusso delle informazioni un senso. Con la frammentazione dei media la preoccupazione è che i cittadini, spesso spinti da una illusione di tipo libertario, pensino di ricevere in qualche modo notizie da Internet libere da storture o da condizionamenti da parte di qualche istituzione, mentre in realtà quella che loro percepiscono essere “la verità” è offerta da attori fortemente motivati in senso politico, svitati e complottisti.
D. La crisi del giornalismo tradizionale è una sfida alla democrazia?
R. Dal mio punto di vista, e anche da quello di molti altri, un buon giornalismo è essenziale per la democrazia. Non esiste una sola versione della verità per alcun evento o problema, ed è importante che i giornalisti professionisti siano in grado di riportare e interpretare gli eventi e i problemi in modo che i cittadini siano informati e facciano le loro scelte. Questa è la teoria di base sulla stampa, ma è attualmente minata dall’idea che il giornalismo stesso stia fallendo. La crisi del giornalismo non è interamente legata a Internet e alla tecnologia, mentre ci sono molte altre spiegazioni per essa. Io credo che ci sia una discussione più ampia da fare sulla crisi del giornalismo, ad esempio su come il giornalismo sta funzionando e su come possa rimanere adeguato o meno rispetto ad un certo contesto di mercato.
D. Che futuro avrà il mestiere del giornalista?
R. Io credo che molti giornalisti, specialmente coloro che cercano di fare un buon giornalismo non immediatamente monetizzabile o che non rientra in pianificazioni già stabilite, potranno avere difficoltà materiali, come però è accaduto quasi sempre nella storia. Questo, naturalmente, dipende anche dalla giurisdizione. Gli stati più illuminati sussidiano già il settore della stampa così come le emittenti, anche se la possibilità che ciò venga esteso in tutte le democrazie è remoto, dato che i finanziamenti pubblici alla stampa sono anatema per molti. Ai giovani giornalisti viene richiesto di avere un nuovo set di abilità digitali, ma è importante che le competenze ‘base’ del giornalismo non vengano dimenticate e soprattutto che non si dia loro sempre meno importanza nei programmi di formazione giornalistica.
D. Cosa sono le echo chambers e come funzionano?
R. Il termine echo chambers generalmente fa riferimento al rafforzamento di notizie e di opinioni nell’ambito di uno spazio limitato. Quindi non si riferisce necessariamente ad Internet. Le notizie tradizionali hanno spesso mostrato di essere capaci di creare echo chambers su un’ampia gamma di problemi, quando tutti finiscono per aderire almeno in parte ad una particolare agenda – la spesa pubblica e l’austerity sono un esempio di ciò. Ma l’effetto echo chambers è stato amplificato dai social media e dalla loro enorme manipolabilità, quindi vediamo tribù di credenti che emergono soprattutto da destra (faccio riferimento a gruppi ultraliberali, di destra alternativa e a favore di Brexit). Le echo chambers si sviluppano quando il cosiddetto dibattito pubblico – per il quale abbiamo bisogno di un buon giornalismo – fallisce.
D. Le fake news sono sempre esistite o sono recenti?
R. La propaganda non è nata con Internet, e non è nemmeno diventata improvvisamente fine e persuasiva. Tuttavia, abbiamo visto in diversi casi come Internet sia stato usato, con effetti allarmanti, per diffondere propaganda e disinformazione. La preoccupazione è che ciò possa essere fatto in maniera ancora più efficiente, in gruppo, in maniera organizzata, utilizzando i big data che naturalmente sono ampiamente in possesso delle multinazionali tecnologiche. È necessario un sistema mediatico forte accompagnato da alti livelli di alfabetizzazione mediatica fra la popolazione. Dal mio punto di vista, proprio come i politici hanno bisogno di impegnarsi nuovamente nei confronti della popolazione, andando oltre ad un dialogo solo con le élite, la stessa cosa dovrebbe essere fatta anche dalle istituzioni informative che ora sono troppo facilmente respinte come se fossero esclusivamente la voce della classe dirigente o che, come nel caso dei tabloid inglesi, fingono di essere popolari sostenendo agende di destra.
D. La diffusione di Internet aumenta o diminuisce la qualità del dibattito pubblico in democrazia?
R. È superfluo dire che Internet fa entrambe le cose, in diversi modi. Internet ha portato alcuni grandi progressi, ad esempio nel supportare il giornalismo investigativo, come Luxleaks. Inoltre dà voce a gruppi che precedentemente erano marginalizzati. Tuttavia, complessivamente, l’effetto è stato negativo poiché gli interessi dei potenti hanno finito per sfruttare le tecnologie per i loro fini, non meno nel caso delle elezioni americane e nel referendum sulla Brexit. Allo stesso tempo, il giornalismo convenzionale è indebolito, lasciando il dibattito pubblico alla mercé degli interessi politici ed economici di pochi potenti. Ci sono segnali emergenti che i consumatori di notizie stiano diventando scettici nei confronti delle fonti esclusivamente online, e questo potrebbe portare ad un rinnovato apprezzamento del ruolo del giornalismo più convenzionale.
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