Gabriele Giacomini intervista Angelo Panebianco. Vicenza, 31 marzo 2017.
É ancora presto, secondo Angelo Panebianco, per valutare il ruolo dei media digitali in democrazia. Da un lato sembra che i nuovi media abbiano alcuni aspetti positivi perché permettono più facilmente rispetto al passato di intervenire nel dibattito pubblico e di fare sentire la propria voce. Dall’altro lato l’immediatezza di internet rischia di alimentare una rivolta contro le élite e, ancora peggio, contro la competenza. Questo può destabilizzare l’intera società e le democrazia stessa, soprattutto in un paese come l’Italia, dove si registra una profonda crisi dei partiti, dove c’è una certa diffidenza nei confronti della scienza e dove la cultura politica mediterranea sembra suggerire a volte una possibile futura deriva plebiscitaria e populista. La sfida, secondo Panebianco, sarà conciliare l’immediatezza connaturata nell’utilizzo dei media digitali con una democrazia rappresentativa che sia capace di mettere a frutto la competenza e l’esperienza.
Questa è la terza di quattro interviste di Gabriele Giacomini sul rapporto tra democrazia e digitalizzazione della comunicazione.
1. Viviamo in una democrazia ibrida. Intervista a Ilvo Diamanti.
2. Oggi una piazza in cui incontrarsi tutti non esiste più. Intervista a Paolo Mancini.
3. La democrazia ha bisogno di élite. Intervista a Angelo Panebianco.
4. Internet è un nuovo strumento di partecipazione alla politica. Intervista a Gianpiero Mazzoleni.
Trascrizione
Gabriele Giacomini:
La crisi dei partiti è un mito o una realtà?
Angelo Panebianco:
La crisi dei partiti è profonda in certi paesi, meno profonda in altri. Complessivamente è una realtà perché le società sono molto cambiate. Naturalmente, vista dal nostro osservatorio, dal punto di vista italiano, la crisi è molto più grave perché in Italia c’è stata una rottura traumatica all’inizio degli anni ’90. Sono scomparsi alcuni partiti e naturalmente quei partiti non torneranno più. Quindi in Italia la crisi è molto più grave, c’è una frammentazione partitica molto forte e c’è l’impossibilità di ricostituire i partiti di un tempo, anche perché quei partiti erano figli di un lungo processo storico in cui le società si andavano trasformando da società agricole in società industriali e post industriali. Adesso non è possibile pensare di avere partiti forti e radicati come allora. Basti pensare al fatto che ormai molto difficilmente un ragazzo esce di casa per andare in una sezione di partito, cosa che un tempo avrebbe fatto se avesse avuto un qualche interesse pubblico.
GG.
E ora quali sono i luoghi della politica? I nuovi media sono uno di questi luoghi oppure no?
AP.
Lo sono sicuramente, anche se è molto difficile valutarne l’impatto. É ancora molto presto. L’unica cosa che certamente abbiamo capito è che molti più gruppi dispongono delle risorse sufficienti per comunicare e quindi hanno la possibilità di parlare, di intervenire nel dibattito pubblico, di far sentire la propria voce, cosa che non accadeva in precedenza. Tutto questo però porta con se anche altri effetti. Ci sono certamente aspetti positivi, ma anche aspetti negativi. Ad esempio può portare ad una rivolta contro le élite che talvolta può sfociare in una rivolta contro la competenza. Quando si verifica questo passaggio allora si mette in crisi l’intera società e la democrazia stessa.
GG.
Il M5S sostiene di ricorrere al “popolo di internet” per elaborare le politiche. Le sembra convincente?
AP.
No, non è convincente e lo si vede anche da quello che è accaduto da quando i 5 Stelle sono sulla piazza. E no, non credo che ci siano alternative possibili alla democrazia rappresentativa e alla mediazione che i rappresentanti devono necessariamente fare. Tra la decisione politica e l’elettore deve esserci un momento di mediazione in cui sperabilmente la competenza e l’esperienza svolgano un ruolo importante. Il rischio è di mettere in campo forme di democrazia diretta che in realtà sono forme di plebiscito. Non credo quindi che queste forme politiche possano sostituire in positivo la democrazia rappresentativa, pur con i tutti difetti che certamente la democrazia rappresentativa si porta con sé.
GG.
Quindi i nuovi media saranno marginali? Che ruolo avranno nella democrazia del futuro?
AP.
Credo che sia ancora troppo presto per giudicare il ruolo che potranno avere in futuro. Certamente le tecnologie finiscono sempre con il cambiare lo spazio politico. Incidono sullo spazio politico e lo modificano. Accrescono i costi di certi comportamenti e riducono i costi di altri. La tecnologia modifica continuamente il perimetro pubblico e quindi in questo senso certamente avranno un ruolo. Per ora si vedono alcuni aspetti positivi e anche diversi aspetti negativi. Bisognerà soprattutto vedere come si riuscirà a rendere compatibile il discorso pubblico che si auspica sia il più possibile razionale con l’immediatezza dell’intervento su internet che porta con se anche rischi.
GG.
Si parla spesso di populismo. Ai tempi di oggi che cos’è il populismo?
AP.
È molto difficile dare una definizione di populismo. Noi sappiamo che cosa è stato il populismo nel passato. Abbiamo diverse varianti storiche. Quella russa, naturalmente. E poi quella latino americana che è molto importante perché ci sono aspetti della cultura politica di diversi paesi dell’America Latina che hanno qualche punto di contatto con le culture politiche dell’Europa mediterranea. Quindi ogni tanto, guardando certe vicende latino americane, si ha la sensazione di guardare anche aspetti che possono presentarsi nel nostro possibile futuro. Detto questo, l’unico modo per definire il populismo è in senso molto generico, ovvero come una rivolta contro le élite. Il populismo è fondamentalmente questo. E la rivolta contro le élite ha aspetti positivi quando le élite malgoverno, ma può avere anche molti aspetti negativi dal momento in cui le democrazie hanno bisogno di élite.
GG.
Delle élite fanno parte i cosiddetti tecnici. Che ruolo svolgono nella democrazia?
AP.
I tecnici hanno ruoli diversi a seconda di varie circostanze, in base agli assetti istituzionali e anche della cultura politica prevalente. Una cultura politica in cui la scienza viene valutata positivamente è una cultura politica in cui c’è molto spazio anche per l’azione dei tecnici, sebbene non in un ruolo di comando. Il governo dei tecnici, come diceva giustamente anche Benedetto Croce, è una invenzione senza respiro. Ma il lavoro dei tecnici può avere un ruolo fondamentale come aiuto per i politici, affinché prendano decisioni informate e corrette su problemi pubblici che sono obiettivamente sempre molto complessi. I tecnici quindi dovrebbero avere un ruolo. Poi finiscono per averlo effettivamente oppure no a seconda dell’assetto istituzionale, a seconda dell’atteggiamento di diffidenza oppure di fiducia che il pubblico ha nei confronti della scienza, e quindi dei tecnici.
GG.
Può esistere la democrazia fuori dallo stato nazionale?
AP.
È una domanda difficile. Io in realtà penso di no. Penso che avesse ragione Ralf Dahrendorf, un grande sociologo tedesco che poi ha concluso la sua carriera in Gran Bretagna, quando sosteneva che – e lo diceva a proposito del processo di integrazione europea – era molto difficile immaginare una democrazia sovranazionale dove occorre l’interprete per ascoltare un uomo politico e per decidere se votarlo o meno. Credo che sia corretto sostenere che è difficile che una democrazia riesca a funzionare bene se la comunità linguistica non è tale da consentire un rapporto “diretto” fra politico ed elettore. Un rapporto di fiducia passa attraverso la comprensione della lingua tra il rappresentante o colui che si candida ad essere rappresentate e i rappresentati.
Brevi profili biografici:
Angelo Panebianco è Professore di Scienza politica e Relazioni internazionali all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna e ha insegnato Teoria dello stato e Geopolitica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È editorialista del “Corriere della Sera”.
Gabriele Giacomini è Dottore di ricerca in filosofia della mente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e l’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Collabora con il Centro studi di Etica e politica del San Raffaele e con il Laboratorio di Ricerca sui Nuovi media dell’Università di Udine. La sua ultima pubblicazione è “Psicodemocrazia. Quanto l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico” (Mimesis 2016).
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