Gabriele Giacomini intervista Gianpietro Mazzoleni. Milano, 21 giugno 2017.
“Non tutti possono impegnarsi direttamente in politica ma internet è un nuovo strumento di partecipazione.”
Mazzoleni invita a pensare i cittadini e il loro rapporto con la politica in maniera realistica. Non dobbiamo stupirci se la politica è anche pop: offre una dimensione di entertainment per parlare anche alla popolazione che vuole distrarsi e divertirsi. Inoltre è normale che siano solo pochi a fare politica attiva, e che molti la seguano da casa, in televisione o via internet, un po’ come guardano la partita della propria squadra di calcio: non tutti possono essere nello stadio ed è positivo che almeno da lontano questi cittadini possano partecipare, anche se vicariamente. Ma mentre la comunicazione di massa è per definizione “one way”, unidirezionale, attraverso il web c’è una maggior interattività.
Quando il politico parla in televisione il cittadino a casa magari urla, inveisce, ma il politico non lo sente, oppure lo sente attraverso filtri, con il web il cittadino ha una possibilità in più per fare arrivare la propria voce. Internet quindi ha “empowered” gli individui, ha dato maggior potere al cittadino. Il rischio è che web dia sfogo a quella che Umberto Eco chiamava “l’idiozia della rete”, nel senso che la rete ha permesso a tutti di tirare fuori anche il loro peggio.
Questa è la quarta di quattro interviste di Gabriele Giacomini sul rapporto tra democrazia e digitalizzazione della comunicazione.
1. Viviamo in una democrazia ibrida. Intervista a Ilvo Diamanti.
2. Oggi una piazza in cui incontrarsi tutti non esiste più. Intervista a Paolo Mancini.
3. La democrazia ha bisogno di élite. Intervista a Angelo Panebianco.
4. Internet è un nuovo strumento di partecipazione alla politica. Intervista a Gianpiero Mazzoleni.
Indice delle domande:
1. (min: 00:22) Che rapporto c’è fra politica ed emozioni?
2. (min: 01:57) La politica per comunicare ha bisogno di essere divertente? Che cos’è la politica pop?
3. (min: 04:31) Che differenza c’è fra essere popolari ed essere populisti?
4. (min: 06:34) Per i cittadini contano di più le inchieste su problemi pubblici o il gossip sui politici?
5. (min: 08:04) Che rapporto hanno tra di loro, oggi, la televisione e il web?
6. (min: 10:32) Quale evoluzione c’è stata tra il web statico e il web dinamico e che impatto ha sul far politica?
7. (min: 12:55) Si parla ultimamente di fake news. Sono sempre esistite oppure sono una novità?
8. (min: 14:55) Facendo un bilancio le nuove tecnologie migliorano o peggiorano il dibattito pubblico?
9. (min: 17:55) I media allontanano dall’impegno politico i cittadini oppure li avvicinano?
10. (min: 20:08) Per quanto riguarda i nuovi media c’è qualcuno che parla di attivismo da poltrona.
11. (min: 21:02) È possibile migliorare la qualità delle informazioni sul web secondo Lei? Se si, come?
12. (min: 23:05) L’utilizzo della tecnologia per la realizzazione della democrazia diretta è possibile? È auspicabile?
Trascrizione:
Gabriele Giacomini:
Che rapporto c’è fra politica ed emozioni?
Gianpietro Mazzoleni:
Politica ed emozioni è un antico binomio perché la politica è competizione e la competizione richiede una battaglia delle idee ma anche una battaglia di uomini e donne, di persone, di posizioni tali da suscitare anche passioni. Molta politica viene fatta con passione, viene combattuta con passione. Per cui direi che l’emozione va sempre a braccetto con la politica e anche molte politiche sono fatte in funzione delle emozioni. Quando si dice che la politica o i politici parlano alla pancia della gente si utilizza il termine “pancia” proprio perché è la rappresentazione fisica delle emozioni. Questa importanza delle emozioni contraddice in parte le posizioni di coloro che sostengono la teoria della scelta razionale della politica, quindi è un discorso ancora in corso, dibattuto, però concluderei dicendo che non c’è politica senza un po’di pancia e non c’è politica senza emozioni.
GG.
La politica per comunicare ha bisogno di essere divertente? Che cos’è la politica pop?
GM.
Non direi che abbia bisogno di essere divertente, nel senso che non è necessario. Però anche in questo caso, se andiamo alla storia della politica, se andiamo indietro nei secoli, già ai tempi dei romani e dei greci la politica e lo spettacolo sono sempre andati a braccetto. Ovviamente divertire non significa far ridere, ma vuol dire parlare anche ad una parte della percezione delle persone che ha a che vedere con gli aspetti ludici, di rilassamento, che possono riguardare anche tematiche in genere serissime come quelle politiche. Per cui non è necessario che la politica sia divertente, però può essere molto utile che lo sia soprattutto se si vuole parlare anche alla popolazione che vuole divertirsi, distrarsi. Quindi la politica pop, come è stata chiamata, è una dimensione della comunicazione politica ma anche della politica. Tant’è vero che molti presidenti americani, non solo negli ultimi anni ma anche nei decenni passati, hanno curato questa dimensione di entertainment, come ad esempio Obama che si prendeva un po’in giro in alcuni video o anche Trump che è miliardario ma che è anche un uomo di spettacolo con tanto di stella sul Walk of Fame di Hollywood. La dimensione divertente della politica è sempre stata presente ed oggi, nel mondo e nella società dello spettacolo, diciamo che è inevitabile.
GG.
Che differenza c’è fra essere popolari ed essere populisti?
GM.
Questa è una domanda che mi hanno posto in molti, avendo io studiato sia la politica pop sia il populismo. La popolarità ha a che vedere con la fama, con la familiarità delle persone nei confronti di un personaggio, quindi con l’essere famosi. In inglese viene utilizzato il termine “celebrity politics”, proprio ad indicare la celebrità dei leader politici. Prima ho accennato ad Obama, ma anche altri politici sono conosciuti da moltissime persone, si pensi a Kennedy, per non parlare di Reagan o dello stesso Clinton. La popolarità è una dimensione per molti versi inevitabile. Il populismo, pur avendo la stessa radice etimologica, ha invece a che vedere con leader che sfruttano la popolarità ottenuta per veicolare messaggi che sono di parte, anche rivoluzionari se vogliamo, dato che spesso i populisti vogliono cambiare la società, vogliono cambiare la politica. C’è quindi un’azione diretta e volontaria nel caso del populismo, mentre la popolarità può essere semplicemente goduta, il presidente popolare fa normalmente il presidente, senza voler fare alcuna rivoluzione.
GG.
Per i cittadini contano di più le inchieste su problemi pubblici o il gossip sui politici?
GM.
Ci sono stati tanti casi in cui il gossip ha influito nel destino politico di un leader, però direi che in genere l’opinione pubblica segue con divertimento il gossip senza che sviluppi per forza degli atteggiamenti che poi si traducono in decisione politica, come invece accade nel caso delle inchieste. Ad esempio una inchiesta come Mani Pulite ha creato un vero e proprio terremoto. Le inchieste giudiziarie, che siano infondate o meno, creano ondate di opinione pubblica che è difficile governare. Il gossip invece è più un divertimento, rientra più nell’ambito della politica pop. Pensiamo al caso del presidente Hollande, che fu scoperto con la moto al buio, tutto vestito di nero, ad andare dalla sua amante: questo era gossip che però non ha cambiato radicalmente la sua immagine, anzi forse lo ha reso anche più simpatico, ha fatto pensare a molti “è uno come tanti di noi”. Il gossip in genere non cambia molto il quadro politico, mentre le inchieste lo fanno senza dubbio.
GG.
Che rapporto hanno tra di loro, oggi, la televisione e il web?
GM.
La televisione è stata ed è tuttora il mezzo per eccellenza della politica moderna o post moderna, come si usa anche dire. Il web sta diventando progressivamente il nuovo ambiente, il nuovo ecosistema della comunicazione politica. C’è chi ha parlato, come Chadwick, della comunicazione politica ibrida, in cui abbiamo sia una forte influenza dei vecchi mezzi di comunicazione sia la presenza dei nuovi media come sono appunto il web, i social network e via dicendo. Ciò che sta cambiando oggi è sotto gli occhi di tutti: il fatto che usiamo tutti lo smartphone non solo per telefonare, ma anche per essere aggiornati, per sentire le ultime notizie, per scambiarci opinioni. Questo ha creato un ambiente comunicativo senza precedenti, previsto solo dal grande McLuhan quando parlava del villaggio globale. Un termine che allora era difficile da comprendere ma oggi è facile far circolare le nostre opinioni in tutto il mondo, sentirsi a distanza di fusi orari, mandare dei materiali. Queste possibilità, a lungo andare, accumulano e stratificano atteggiamenti che possono diventare anche forze politiche mobilitabili, infatti è successo che certi movimenti abbiano mobilitato l’opinione pubblica a livello mondiale su tematiche specifiche, ad esempio ambientali. Quindi i nuovi media, ed anche il web, stanno diventando una variabile molto importante che è ancora sotto osservazione e studio.
GG.
Quale evoluzione c’è stata tra il web statico e il web dinamico e che impatto ha sul far politica?
GM.
Il web statico è il primo web. Nei primi anni di internet mi ricordo che eravamo tutti entusiasti, finalmente potevamo leggere un giornale a distanza, potevamo avere le notizie. Il web statico è un web passivo, lo si usava leggendo i materiali messi a disposizione. Il web diventa dinamico quando permette la mobilitazione, quando il leader politico utilizza il web per mobilitare delle forze in termini di supporters, quando la gente usa il web per far sentire la propria voce, in modo anche pesante e sgradevole. Quindi diciamo che il web statico c’è sempre perché quando leggiamo il Washington post o Corriere della Sera e Repubblica on line in fondo è un web statico anche se troviamo dei video, possiamo anche cliccare ed utilizzare, e facendo cosi noi lo rendiamo dinamico. A livello di azione politica, oggi come oggi, il web è uno strumento che dà potere alla gente, gli americani usano il termine empower. Quindi chi ha un’intelligenza politica usa il web in modo dinamico per diffondere le proprie idee, per poter raccogliere anche dei fondi. Il crowndfunding ad esempio è uno strumento che fino a pochi anni fa nessuno poteva immaginare. Sono diventati anche strumenti di successo politico per coloro che vogliono fare politica che entrano in politica oppure che sono già in politica e vogliono rafforzare le proprie posizioni.
GG.
Si parla ultimamente di fake news. Sono sempre esistite oppure sono una novità?
GM.
Su questo ho un’idea forse un po’obsoleta. Avendo vissuto personalmente gli anni della guerra fredda, mi ricordo benissimo che la propaganda in quegli anni, sia da una parte sia dall’altra, era molto forte, era molto pesante. Oggi le chiamiamo fake news, però a quei tempi era semplicemente propaganda, erano false notizie. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Quello che c’è di nuovo è che, mentre una volta venivamo a sapere delle notizie false dalla televisione o dai giornali, e chi vedeva la televisione o chi leggeva i giornali non era la popolazione nella sua interezza, oggi tutti siamo esposti a queste notizie false, a queste ricostruzioni fasulle di eventi, di personaggi, di idee o di posizioni. Questa cosa è la differenza rispetto al passato: oggi le fake news diventano globali in un attimo, mentre una volta rimanevano spesso nell’ambito degli esperti. Si poteva vivere benissimo come privati cittadini anche senza credere alle panzane che venivano da una parte e dall’altra durante la guerra fredda. Oggi invece dobbiamo stare più attenti perché se la notizia è falsa, e si crede in questa notizia, questa può influire nelle scelte non solo politiche ma anche ad esempio finanziarie. I rischi delle fake news sono aumentati ma sono sempre esistiti.
GG.
Facendo un bilancio le nuove tecnologie migliorano o peggiorano il dibattito pubblico?
GM.
Penso che facciano entrambe le cose, in senso sia positivo sia negativo. Da un lato il web, come dicevamo prima, ha “empowered” gli individui, cioè ha dato potere al cittadino, gli ha ritornato lo scettro. Questa è una visione un po’ ottimistica, però effettivamente grazie al web chiunque può esprimere la propria voce, e se lo fa bene questa voce può giungere a chi deve sentirla. Prima non era possibile perché non c’erano gli strumenti adeguati: la comunicazione di massa è per definizione “one way”, unidirezionale, mentre adesso c’è l’interattività. Prima quando il politico parlava in televisione e il cittadino ascoltava, magari a casa il cittadino urlava, inveiva, ma il politico non lo sentiva, oppure lo sentiva attraverso filtri molto selettivi, ora invece il cittadino può far arrivare la propria voce. Dall’altro lato il dibattito pubblico è peggiorato perché il web nel contempo ha dato sfogo a quella che Umberto Eco chiamava “l’idiozia della rete”, nel senso che la rete ha permesso a tutti gli cittadini di tirare fuori il peggio di sé, ciò che ognuno di noi ha dentro e che prima aveva meno possibilità di esprimere. C’è anche un’incentivazione in questo perché non si incorre in alcuna sanzione, e perciò si dibatte molto se trattare una dichiarazione fatta sul web, anche privata (un insulto, ad esempio), come se fosse pubblicata sulla carta stampata. Ma anche su questo non sono tutti d’accordo. In sintesi il web da una parte ha migliorato il dibattito pubblico perché offre strumenti che prima non erano disponibili. Dall’altra parte forse paghiamo il conto di una tecnologia che è nata libera. Internet è libera per definizione, e quando cominciano ad ingabbiarla ne va anche la qualità della democrazia perché ingabbiando internet il rischio è che si mettano delle museruole alle voci di coloro che vorrebbero farsi sentire. Magari sono voci sgradevoli, ma c’è chi ritiene che sia meglio sentire una voce sgradita e magari respingerla che non sentirla del tutto.
GG.
I media allontanano dall’impegno politico i cittadini oppure li avvicinano?
GM.
I media in generale non allontanano perché, come si diceva una volta, i vecchi mass media, i media di massa, i giornali, le radio, le televisioni offrono una serie di informazioni ai cittadini per cui i cittadini sono resi consapevoli di quel che capita intorno a loro. Se si parla di politica sanno perché il governo ha preso una decisione o un’altra e possono comportarsi di conseguenza, anche tramite le elezioni. Diciamo quindi che i media informativi non allontanano necessariamente dalla politica. Anche su questo però ci sono delle idee contrastanti. Sartori ad esempio diceva che la televisione ha un po’instupidito la gente. Bisogna capire in questo caso cosa si intende per televisione. Non penso che i telegiornali abbiano instupidito la gente: hanno informato, bene o male però hanno informato. Forse la televisione spettacolo probabilmente lo ha fatto. Quindi l’informazione in generale non ha allontanato le persone dalla politica, lo spettacolo e l’enterteiment probabilmente si. É anche inevitabile, però, che la gente voglia divertirsi, che possa avere una preferenza per il divertimento perché la politica non è centrale per la propria vita e che quindi lasci che gli esperti si occupino di politica.
GG.
Per quanto riguarda i nuovi media c’è qualcuno che parla di attivismo da poltrona.
GM.
Anche i vecchi media portavano a un poltronismo politico, diciamo così. D’altra parte non tutti possono partecipare attivamente alla politica. Il fatto di seguire la politica da casa è un po’ come vedere la partita della propria squadra di calcio oppure della nazionale. Possiamo dire che siamo sportivi da poltrona, ma anche questa è una dimensione umana. Non tutti possono essere nello stadio e quindi meno male che almeno da lontano uno possa partecipare, vicariamente ma può partecipare. È una forma di partecipazione anche questa.
GG.
È possibile migliorare la qualità delle informazioni sul web secondo Lei? Se si, come?
GM.
Migliorare vuol dire partire da una concezione normativa dell’informazione, come se quello che c’è sul web debba essere necessariamente qualcosa da migliorare, pulire, sistemare. Andare sul web credo sia un po’ come andare in supermercato. In supermercato troviamo anche l’alcol, ma non è che tutti si ubriachino, quindi dipende molto dalle responsabilità personale. Quindi l’uso del web non è necessariamente negativo o non ha sempre risvolti negativi. Se una persona usa il web razionalmente o ragionevolmente porta un contributo importante al dibattito democratico, senza scadere in atteggiamenti sgradevoli come l’insulto o qualche atteggiamento criminale. Dipende molto dalla responsabilità personale. Se si crede che la gente abbia la capacità di essere responsabile allora si può sostenere che non c’è bisogno di migliorare. È anche vero però che, come spesso avviene nella vita quotidiana di tutti i giorni, ci sono persone o atteggiamenti riprovevoli che anche web riporta. È come essere sul treno in cui si discute ma in cui si sente anche insultare o parlare ad alta voce. Ciò che riguarda il web riguarda anche tutti gli altri aspetti della vita privata e sociale.
GG.
L’utilizzo della tecnologia per la realizzazione della democrazia diretta è possibile? È auspicabile?
GM.
Che sia auspicabile direi di si, perché sarebbe in teoria perlomeno un allargamento della democrazia. È un po’ un’utopia perché, pur avendo a disposizione la tecnologia che appunto tecnicamente rende possibile questa democrazia diretta, io sono ancora dell’idea che la democrazia rappresentativa sia quella che riesce ancora ad offrire un governo più o meno stabile ad un Paese, mentre la democrazia diretta richiede non che sia disponibile la tecnologia ma richiede anche un’informazione adeguata da parte della gente su tutti gli aspetti complessi della vita quotidiana, sociale, economica, culturale, politica che nessuno può avere, nemmeno quelli che li studiano tutti i giorni, figuriamoci a livello di una nazione con una popolazione di decine di milioni di cittadini. Non è possibile da un punto di vista umano gestire una serie di argomenti anche molto complessi su cui dire continuamente si o no. Quindi quando è stata inventata la democrazia rappresentativa forse hanno avuto l’occhio lungo. Avevano detto che non tutti possono dire la loro contemporaneamente, ma che bisogna eleggere qualcuno in parlamento che gestisca per un po’di anni la cosa pubblica. Non va bene? Alla prossima elezione si possono mandare a casa. Questo è il sistema che ha funzionato, bene o male, ma che ha funzionato perlomeno nell’ultimo secolo. Adesso si parla molto di democrazia diretta, di democrazia appunto attraverso il web, io sono molto scettico perché si crea confusione o addirittura il rischio è che qualcuno, come diceva Orwell ne “La fattoria degli animali”, sia più uguale dell’altro, che sappia di più e che quindi voti in un certo senso per l’altro. Rischiamo di essere in una situazione in cui hanno votato tutti, ma hanno votato perché qualcuno ha detto di votare, e quindi ritorniamo ad un sistema che rischia anche di essere autoritario, poco democratico sostanzialmente. La democrazia diretta è un’utopia, una bella utopia, ma siccome si deve governare la democrazia rappresentativa è ancora la soluzione migliore.
Brevi profili biografici:
Gianpietro Mazzoleni è Professore ordinario di Sociologia della comunicazione e Comunicazione politica presso l’Università degli Studi di Milano e Presidente della Associazione italiana di comunicazione politica. La sua ultima pubblicazione come editor è The International Encyclopedia of Political Communication (Wiley, 2015).
Gabriele Giacomini è Dottore di ricerca in filosofia della mente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e l’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Collabora con il Centro studi di Etica e politica del San Raffaele e con il Laboratorio di Ricerca sui Nuovi media dell’Università di Udine. La sua ultima pubblicazione è “Psicodemocrazia. Quanto l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico” (Mimesis 2016).
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