“I mondi di Primo Levi. Una strenua chiarezza” è una mostra che ci parla di Primo Levi attraverso l’insieme dei suoi mondi, tra cui la chimica, la letteratura, il vissuto ad Auschwitz, l’homo faber, il lavoro. Ci parla di un mondo di mondi. Di un metamondo, di un universo. Dell’uomo, come universo.
È stata realizzata dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi ed è già passata da Torino, Fossoli, Ferrara, Cuneo, Liegi. Poi, lo scorso novembre è approdata al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci e presto arriverà al Quirinale.
Capita talvolta, nel corso della storia, che alcune idee, aspirazioni o intuizioni a cui collettivamente giunge la società, siano meravigliosamente raccontate dalla vita di alcune persone. Così come capita, sempre talvolta, di studiare, approfondire e setacciare nuove discipline per costruire relazioni tra concetti di cui poi troviamo la trasposizione, l’espressione, la sintesi in un individuo. Nel suo vissuto, nelle sue opere, nella sua storia.
Primo Levi è certamente una di queste figure. Lo è, prima di tutto, per chi insegue la complessità della conoscenza, l’unità della cultura, il sapere sistemico. E quale migliore luogo per raccontarlo se non un museo dedicato a Leonardo, uno dei massimi esponenti dell’unione tra umanesimo e scienza? (Dove, ricordiamo, abbiamo seguito anche “Studiare il futuro già accaduto”) E non è tutto. Perché come ha spiegato Rodrigo Rodriquez – che rispetto alla tappa milanese dell’esposizione, cofinanziata Material Connexion Italia, di cui è presidente, ama definirsi il “facilitatore del contatto” – il Museo Nazionale della Scienza e delle Tecnologia è di per sé un simbolo della ricostruzione di Milano dopo la guerra. E anche la sala in cui lo incontriamo, come ci racconta lui stesso, è la sala Conte di Biancamano, dedicata al transatlantico italiano varato nel 1925 e prima nave passeggeri ad essere riallestita nel dopoguerra, con l’intervento anche di numerosi artisti e “nuovi” designer.
Diversi i punti di contatto che hanno portato Rodriquez a partecipare alla costruzione di questa mostra. Prima di tutto, ci racconta, «la stima ed amicizia che ho la ventura di avere con gli amici del Centro Internazionale di Studi Primo Levi e con il Museo della Scienza e della Tecnologia, nella persona del Presidente Fiorenzo Galli e del Direttore Giovanni Crupi». E poi, «perché, la prima volta che comunicai a Gianfranco Cavaglià che desideravo attivarmi per ottenere che il MST, come si dice con affettuoso acronimo, ospitasse quella mostra, ragionando su quale collegamento poteva esserci tra Primo Levi Scienziato Chimico e Material Connexion Italia, ci venne l’idea di offrire, in modo garbato, un’informazione su come, utilizzando la competenza di miei collaboratori esperti di materiali, alcuni degli elementi da lui descritti nella Serie Periodica, oggi, a distanza di anni, stanno esplicitando il loro potenziale quanto a uso e ad applicazioni. Donde il pannello, collocato in uno degli angoli della Mostra».
L’intento della mostra, come ci ha raccontato il Prof. Fabio Levi, curatore e direttore del Centro Internazionale di Studi Primo Levi, è quello di proporre una “rappresentazione d’insieme”, di esporre dei “punti di vista“, di offrire uno “sguardo poliedrico” sulla realtà di Primo Levi e di mettere in luce le “connessioni tra le diverse dimensioni” che la compongono. Dimensioni che si arricchiscono a vicenda e i cui confini sono sfumati. Per cui, ad esempio, se è vero che lo scrittore torinese è noto soprattutto per la sua testimonianza di Auschwitz, è anche vero che l’importanza del suo racconto trova radici nella sua grande personalità culturale. Così come è certamente vero che lo spessore e la gravità dell’esperienza dei campi di sterminio ha attraversato altre esperienze concrete della vita di Levi. Ed è così che si trova, ad esempio, il chimico nello scrittore (“cosa vuol dire sublimare lo sanno in pochi“); il ricercatore nel traduttore (“tradurre è seguire al microscopio il tessuto del libro: penetrarvi, restarvi invischiati, coinvolti“); l’artigiano nel linguista (si pensi al palindromo: |in arts |it is |rep|ose t|o lif|e; è fil|o t|eso per| si|ti |stra|ni); il poeta, l’homo faber e lo scienziato tutti insieme (una citazione accompagna la scultura in filo di rame “Il centauro”: “io sono un anfibio, un centauro – ho anche scritto dei racconti sui centauri – e mi pare che l’ambiguità della fantascienza rispecchi il mio destino attuale. Io sono diviso a metà. Una è quella della fabbrica, sono un tecnico, un chimico. Un’altra è invece totalmente distaccata dalla prima, ed è quella nella quale scrivo“). Ovunque, c’è l’uomo.
La mostra è organizzata secondo un percorso definito e (1) parte da una sequenza di immagini dell’artista giapponese Yosuke Taki, ispirate e integrate al racconto Carbonio, concepito dall’autore prima di Auschwitz, ma concluso soltanto dopo, negli anni ’70. (2) La seconda sezione si concentra su un triplice viaggio (“in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù“): quello di andata e di ritorno da Auschwitz, quello nell’abisso del campo di sterminio e nella sua atroce insensatezza. È forse il momento più duro della visita, ed è soprattutto qui che l’allestimento garantisce a chi osserva la possibilità di concentrarsi, costringendolo a una stretta vicinanza ai pannelli espositivi. (3) La terza parte “Cucire parole” è dedicata al Levi scrittore – di testimonianza, inventore, di fantascienza – che riflette continuamente sul proprio linguaggio, lo trasforma, lo studia, lo adatta alle opere. Approfondendone l’analisi attraverso l’attività di traduttore (Levi traduce Kafka), di linguista, di appassionato di etimologia. Per non dire di “dilettante”, come si definiva, nel senso più nobile di questo termine: ovvero di colui che si avvicina alla realtà con un punto di vista inedito, non condizionato dalle logiche della professione e del mestiere. (4) La quarta sezione “Cucire molecole” apre con la tavola periodica – per cui Levi dichiara di provare una vera e propria nostalgia “come davanti alle fotografie scolastiche” – ed è dedicata alla chimica. Una materia a cui Levi si dedica dimostrando anche in questo caso una grande apertura, seguendo di volta in volta gli spunti a cui il mestiere lo porta. (5) La quinta sezione è dedicata all’Homo faber, all’importanza che Levi dà alla mano (“spesso credo di pensare di più con le mani che con il cervello“) e ospita alcune sculture e alcuni studi sui materiali – ed è a questo punto facile l’associazione a Material Connexion – che sono, aldilà del loro valore artistico, manifestazione di una propensione di Levi alla realizzazione di oggetti. (6) La sesta e ultima sezione è dedicata al lavoro, dove trova spazio la convinzione di Levi secondo cui l’attività professionale è una parte essenziale dell’uomo, in quanto espressione di una relazione concreta degli individui con la realtà.
Il percorso si rivela così un’indagine della realtà. Anche l’allestimento, che ha per protagoniste delle scale, rispecchia l’idea di una realtà scomponibile. Gianfranco Cavaglià, l’architetto che ha progettato l’esposizione, lo ha definito “un meccano senza bulloni“; un gioco i cui pezzi, assemblati, acquistano delle proprietà emergenti che li portano ad essere qualcosa di più della loro semplice somma.
Per dirlo con la parole di Fabio Levi, l’ambizione è quella di sollecitare il visitatore nella ricerca delle relazioni tra i propri mondi. In qualche modo, attraverso lo studio dei “fili” che collegano i mondi di Levi, e sui quali ancora molto c’è da scoprire, l’obiettivo è quello di fornire a chiunque degli strumenti per aiutare a connettere, sistematizzare e, quindi, comprendere la complessità in cui viviamo. Un compito fondamentale e una responsabilità di tutti, che Primo Levi nel 1982, aveva già chiara: “è un desiderio, un diritto e forse un dovere quello di ogni uomo pensante, e quindi anche dello scrittore, quello di cercare di gettare un ponte, magari esile, magari traballante, al di sopra di questa spaccatura che va crescendo per non perdere il contatto con la comprensione dell’universo, del mondo e di noi stessi“.
(Le fotografie sono visibili anche nel nostro account in Flickr.)
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