È stimolante e fa tornare, o restare, giovani. È il filantropismo, parola di Andrea Caraceni, tesoriere di Réseau Entreprendre Lombardia (REL), associazione di origine francese che accompagna start-up per creare nuovi posti di lavoro. Attraverso la propria esperienza, Caraceni, che di professione fa l’amministratore delegato di CFO SIM, ci aiuta a immergerci in un’idea di filantropismo basata sul principio di reciprocità e incentrata su uno sguardo di lungo periodo.
“Dare soldi a chi non ne ha” spiega, “non è una strategia win-win. Certo non è un gesto deplorevole, ma è tutt’altra cosa rispetto al dare una prospettiva di vita e di lavoro. Per questo ho preferito di gran lunga entrare a far parte di una realtà associativa che, mettendo a disposizione competenze ed esperienze, aiuta le realtà imprenditoriali che possono sviluppare posti di lavoro. È molto meglio che mettere in mano 10mila euro a una persona che non ne ha”. Secondo Caraceni non è solo una questione di “leva”, ma anche di coinvolgimento personale. “Le ore della mia professionalità dedicate ad una start-up che deve risolvere un problema non si possono paragonare a una certa quota di euro dati in beneficenza: sono due buone azioni, ma c’è una leva diversa, che fa la differenza nel rapporto tra investimento e risultati”.
Appurato che “investire” professionalità e competenze ha una resa maggiore rispetto al passaggio di denaro, se si misurano i risultati sulla salute della società, ci si chiede perché un filantropo “faccia il filantropo”, invece che concentrarsi sulla propria attività, milanese o internazionale che sia. Alla base c’è sicuramente una tendenza alla restituzione, quel senso di reciprocità che oggi chiamiamo “give-back” per dare un senso di modernità a un valore antico, che non ha prezzo. Esistono però anche delle motivazioni pragmatiche e plausibili per diventare filantropo, motivazioni che sono sotto gli occhi di tutti e di cui i milanesi, che siano d’adozione o meno, dovrebbero intuire la concretezza.
Caraceni al primo posto indica “gli stimoli intellettuali che si ricevono dal neo imprenditore”.
Lo start-upper, spiega, è “spesso e volentieri un innovatore, una persona che, come me, lavora in una realtà strutturata, già formata, dove si rischia di avere un punto di vista sul mondo che ci dà sempre ragione.
Confrontarsi può essere una spinta per adottare un approccio differente dal solito”.
In generale, quindi, il filantropismo apre la mente. Ma non solo: “se incontri una start up che opera nel tuo stesso mondo, c’è il ‘rischio’ di ricevere anche spunti interessanti per far evolvere le tua attività. E se la start up un domani dovesse fornire nuove soluzioni applicabili al tuo lavoro, potresti anche avere dei vantaggi a livello professionale”.
Operando in una società di intermediazione mobiliare, Caraceni è abituato a far finanziare imprese, ma di fronte ad una start-up, non può che piacevolmente ammettere che “si tratta di una cosa nuova”, uno stimolo intellettuale che ha un effetto anti-invecchiamento da non sottovalutare.
Trovandosi e scegliendo di mettersi al fianco di uno start-upper, partecipando emozionalmente oltre che professionalmente alla sua avventura imprenditoriale, ci confessa: “capisco come mai i miei figli o nipoti si comportino in un certo modo, così diverso dal mio ai tempi. Mi fa ringiovanire. È come ripartire da capo un’altra volta: ti senti un neo laureato con la voglia di spaccare il mondo, con una freschezza di idee da ventenne”.
Vivacità, quindi, e al contempo saggezza. Perché il filantropo non perde di vista le generazioni a venire: “dal punto di vista sociale creare imprenditori per creare lavoro è una maniera per assicurare ai giovani un futuro. Dando una mano alla società, perché migliori, si aiutano i propri figli ad avere un posto di lavoro e una qualità di vita che oggi non immaginiamo. E questo molto più direttamente di quanto non si possa pensare”. Magari anche grazie a quel “device”, a quell’idea, a quella trovata di una start upper a cui abbiamo dato 10 ore della nostra esperienza lavorativa, in tempi non sospetti.
Il filantropismo – che secondo il tesoriere di Réseau Entreprendre Lombardia è e deve restare un gesto “apolitico” – è un modo “alternativo alla politica per occuparsi del presente e del futuro”, per fare la propria parte in un mondo in cui noi stessi abitiamo e che, anche per noi stessi, è bene che sia sempre più vivibile.
Anticipando i dubbi più diffusi e pensando soprattutto a chi è trattenuto dal dedicarsi a questo tipo di attività filantropica per il timore di non avere abbastanza tempo o competenze nel settore dell’innovazione, Caraceni aggiunge qualche spunto di riflessione: “chi opera in uno qualsiasi dei settori che troviamo in una normale azienda può essere utile, anche chi fornisce consulenze o servizi”. Senza contare che esistono start-up attive ormai in ogni campo, dall’agro alimentare al fintech, dal mondo sociale a quello biomedico e Réseau Entreprendre Lombardia, se promettenti, le affianca senza fare distinzioni. Ciascuna con i mentor di cui ha bisogno, ciascuna con il proprio percorso, fino al decollo.
Per quanto riguarda il tempo, merce preziosa che a Milano (e non solo a Milano) si cerca di risparmiare anche salendo i gradini di una scala mobile che già sale da sola, ci svela: “Io per primo non posso dire di avere molto tempo. Ma bisogna tenere conto che quel ‘poco tempo’ che posso spendere aiutando una start up che ha bisogno delle mie competenze equivale a ‘moltissimo tempo’ risparmiato per quella start-up”.
Anche sul termine “spendere”, secondo Caraceni, ci sarebbe da discutere, perché nell’accompagnare le start-up c’è un guadagno: “sono sempre stimolato e arricchito dalle idee e dalle soluzioni di chi aiuto, oltre che dall’entusiasmo di chi ce la vuole fare a tutti i costi”. E poi, senza perdersi in ragionamenti più utili in altri contesti come “spesa-ricavo-guadagno”, condivide con noi un’immagine che ancora lo fa sorridere per la soddisfazione. “È un esempio” ci avvisa: “ho incontrato una start-up che aveva bisogno di finanziare un magazzino e voleva chiedere ad una banca, invece siamo riusciti a farlo finanziare dai fornitori. Assieme è stato semplice convincerli, grazie ad un’opportuna struttura giuridica di tutela, in modo che non fosse un impegno prolungato. Nel mio mondo questa è una cosa banale, ma per loro era un ostacolo importante, che da soli forse non avrebbero avuto il coraggio o il modo di affrontare. E la nostra soluzione, è stata accettata”.
“Mio” mondo. Per “loro”. “Nostra” soluzione”. Tre aggettivi che messi in fila bastano a riassumere il senso profonfo dello spirito filantropico di cui ci parla il tesoriere di REL, con l’orologio al polso e lo sguardo rivolto all’orizzonte.
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(foto: trasformazione di to wherever you dream di Roberta da Flickr)
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