Italian Angels for growth (d’ora in poi IAG) è il più vasto gruppo di business angels in Italia ed è costituito da un team di 128 investitori che sostengono l’innovazione come motore di sviluppo economico. IAG è stata fondata nel 2008 e opera principalmente in Italia, dove ha già investito in 32 aziende un capitale complessivo di 16 milioni di euro. Un risultato che ha indotto altri a finanziare quelle stesse aziende, per un capitale aggregato di 50 milioni di euro.
Nei primi otto anni di attività IAG ha esaminato 3.000 progetti, e ha diversificato il proprio portafoglio distribuendo gli investimenti in vari settori dell’innovazione: il 35% nella sfera del medicale, il 17% nel biotech/pharma, il 24% in internet/new media, il 22% in ICT/elettronica, il 2% in CleanTech. Ma l’eterogeneità del gruppo non riguarda solo i destinatari degli investimenti. I business angels che animano IAG provengono da differenti esperienze professionali. Il 6% di loro è professionista («abbiamo due notai», evidenzia l’ingegnere Antonio Leone, presidente di IAG), il 37% è manager, il 19% lavora nell’ambito finanziario, il 24% ha le proprie radici nel mondo imprenditoriale, il 14% del totale si occupa di consulenza. Quanto alla provenienza geografica dei soci, 64 arrivano dalla Lombardia, 22 dal Nord-Est, 9 dal Nord-ovest, 7 dal Centro-Nord, 12 dall’Emilia Romagna, 8 dal Lazio, 1 dalla Sicilia, 1 dalla Svizzera, 2 dall’Inghilterra, 2 dalla Francia.
Antonio Leone, presidente di IAG, spiega le ragioni per cui gli investitori si sono associati, decidendo di muoversi come un gruppo unico: «In questo modo abbiamo maggiori opportunità di diversificazione, abbiamo accesso ad un dealflow più ampio, abbiamo una migliore capacità di analisi grazie all’unione di differenti competenze e infine abbiamo una riduzione dei costi di due diligence». E prosegue: «Sono un ingegnere elettronico del Politecnico di Torino. Dopo una breve esperienza in Telecom sono entrato in Philips nell’area vendita degli apparecchi per radiologia e nel 1971 sono passato al gruppo Hoffmann-La Roche, che aveva acquisito un’azienda svizzera. Il mio compito era quello di sviluppare l’azienda acquisita e nell’arco di poco tempo da responsabile italiano sono diventato presidente del gruppo a livello mondiale. Avevamo 5 centri di ricerca (Italia, Francia, Inghilterra, Svizzera, America) e 4 centri di produzione (Italia, Francia, Inghilterra, America)». La sua storia continua: «Dopo avere assunto l’incarico di dirigente per molti anni, nel corso del 1989 ho organizzato un management buyout di questa società e alla fine del 1992 sono uscito dall’operazione. A febbraio del 1993 sono andato ad Amburgo nel gruppo Olympus a gestire la parte europea del medicale e lì ho terminato la mia carriera operativa. Dal 2008 mi occupo attraverso la rete dei Business Angels di IAG di investire e sviluppare nuovi progetti imprenditoriali».
Nei primissimi passi del percorso imprenditoriale, quelli che rientrano nella fase “pre-seed” – “precedente alla semina” – gli investimenti partono solitamente dalla rete famigliare e amicale. Ma nel momento immediatamente successivo – la fase di “seed” – interviene il Business Angel. «È il momento che ci riguarda», spiega Antonio Leone. «La nostra organizzazione prevede un managing director, due business analyst e un assistente per tutta la parte organizzativa. I progetti imprenditoriali vengono presentati via internet ai differenti associati e quindi IAG opera una prima selezione basandosi sia sul contenuto specifico dei progetti, sia sul profilo della struttura proponente». E, a questo proposito, ci svela: «spesso, sono solito dire che “se si vede un progetto scarso con degli eccellenti proponenti occorre finanziarlo, se, invece, si vede un ottimo progetto con degli scarsi proponenti è decisivo non finanziarlo”. Questo perché sono sempre le persone a fare la differenza».
Superato questo step, i progetti selezionati sono sintetizzati in una scheda informativa, che viene inviata agli associati. Chi tra loro è interessato a un progetto aderisce a un gruppo di lavoro – composto sia dai soci, sia dai proponenti – per affinare il business proposto, attraverso conferenze telefoniche o incontri di persona. Al termine di questa fase, se considerato ancora valido, il progetto viene sottoposto ad un Comitato di screening composto da 7 soci, che di volta in volta selezionano 3 o 4 progetti da condividere con i 128 investitori IAG in un momento di assemblea generale. «In assemblea i progetti selezionati hanno 15 minuti per elevator pitch (la presentazione del progetto), a cui seguono 15 minuti di domande e risposte. Al termine della mezzora i proponenti sono invitati a uscire dalla sala per i 15 minuti di discussione interna. Dopodiché i soci possono indicare il proprio interesse a investire nelle società presentate oppure no: il taglio minimo di investimento per singolo business angel corrisponde a 10 mila euro».
Nell’area d’investimento dei business angels ciascun finanziatore può impegnare cifre che intercorrono tra i 10 mila e i 100 mila euro, mentre il finanziamento aggregato (la somma degli investimenti singoli) oscilla in media tra i 200 mila e il milione e mezzo di euro. «Dopo aver dichiarato la propria disponibilità all’investimento e dopo aver indicato una cifra», spiega il presidente di IAG, «si va a creare il cosiddetto “soft commitment”. Poi, per finalizzare il vero e proprio investimento, vengono identificate una o due persone che diventeranno i gestori del progetto (i cosiddetti “champions”)». Terminata questa fase viene avviata una triplice due diligence – tecnologica, legale, fiscale – e, qualora l’esito sia positivo sotto tutti e tre i profili, si crea un veicolo d’investimento nel quale tutti i soci che hanno dato l’iniziale commitment versano i soldi. Il veicolo di investimento viene amministrato dai due champions designati dagli altri soci.
«In cambio dell’investimento di denari noi chiediamo quote della società, ma preferiamo sempre mantenere una quota di minoranza, in media compresa tra il 20% e il 30%. Come spesso dico: “Vogliamo che siano i soci proponenti a sentirsi padroni del vapore”, per questo motivo non vogliamo mai entrare con una quota di maggioranza». La testimonianza di Antonio Leone continua «i progetti provengono da aree diverse, in particolare dall’Italia. Anche se negli ultimi tempi stiamo analizzando progetti dall’Inghilterra e in particolare da Israele, che ha un elevato numero di start up, poiché la loro università si pone come obiettivo quello della ricerca applicata».
Tra i vari settori che hanno attirato l’attenzione di IAG, un ruolo particolarmente significativo spetta alle scienze della vita. «Attualmente abbiamo investito in un’azienda nell’area Pharma, un team dell’Università di Bologna che sta mettendo a punto una nuova molecola per l’oncologia pediatrica: in questo specifico caso si tratta di un investimento su un progetto di lungo periodo. Nell’area biomedicale, invece, alcuni progetti sono già sul mercato: penso a Win Medical, lo spin-off del Santa’Anna di Pisa, una società unica al mondo nell’area del monitoraggio a bassissimo costo per i pazienti che non vanno in terapia intensiva; ma penso anche a una società di Pavia, “Margherita”, che ha sviluppato un accessorio per evitare le punture da siringa. Altre aziende sono ancora in fase d’incubazione: un’azienda di Bologna sta mettendo a punto una piattaforma per la verifica in vitro delle terapie di chemioterapia, con l’obiettivo di arrivare a dire in vitro se quella terapia funzionerà oppure no; un progetto di Pordenone sta mettendo a punto una piattaforma che rivoluzionerà la diagnosi nell’ambito della coagulazione del sangue, definendo, anche qui in vitro, se un paziente ha una tendenza emorragica oppure trombotica. Questi sono alcuni esempi di aziende in cui abbiamo investito direttamente».
Le opportunità sono molteplici, ma si può fare di più. Secondo Antonio Leone, infatti, la ricerca accademica italiana è «troppo poco business oriented e troppo poco applicata». Un freno, questo, che secondo il presidente di IAG potrebbe essere rimosso anche attraverso la collaborazione tra università. «Qualche giorno fa nel corso di un colloquio con il prorettore dell’Università Bocconi mi sono permesso di evidenziare il fatto che “sarebbe fondamentale unire le competenze e le qualità di Bocconi e Politecnico, andando a formare persone che abbiano al contempo capacità gestionali e tecnologiche”».
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