(Il presente articolo è stato pubblicato in EXTRA MOENIA | 10 | 2016)
Se nella mitologia induista l’avatara designa l’incarnazione della divinità per ristabilire l’ordine delle cose, e più prosaicamente, nel blockbuster hollywoodiano diretto da James Cameron, gli avatar vengono utilizzati per consentire a un distopico turbo-capitalismo interplanetario lo sfruttamento umano delle risorse del pianeta Pandora, nella ricerca biomedica dei prossimi anni veri e propri “avatar cellulari” saranno utilizzati per la sperimentazione di nuovi farmaci e lo sviluppo di innovative terapie rigenerative.
Di fronte all’aumentata incidenza di patologie legate all’invecchiamento, quali ad esempio malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, una possibilità promettente per la produzione dei farmaci del futuro è infatti legata allo sviluppo di tecnologie che permettono di “esternalizzare” il corpo del paziente, tramite la creazione di una sua replica sperimentalmente accessibile in laboratorio. Sviluppo reso possibile dalla recente derivazione delle cosiddette cellule staminali pluripotenti indotte, o iPSC: definiti “avatar cellulari” del paziente malato, proprio in quanto consentono di ricreare in laboratorio i diversi tessuti umani danneggiati da una specifica malattia.
L’avvento delle iPSC, che è valso nel 2012 il premio Nobel per la medicina al suo scopritore, lo scienziato giapponese Shinya Yamanaka – ad appena sei anni di distanza dalla sua scoperta del 2006 – ha rappresentato un importante cambio di paradigma nella ricerca e nello sviluppo tecnologico della biomedicina contemporanea. Innestandosi su un filone di ricerca che risale ai pioneristici esperimenti condotti negli anni Sessanta da John Gurdon, che per primo dimostrò la reversibilità del differenziamento cellulare, la scoperta di Yamanaka ha chiarito i meccanismi epigenetici preposti al de-differenziamento, mostrando che, a tal fine, è sufficiente l’espressione forzata di un cocktail di appena quattro geni. Nel suo decisivo esperimento, Yamanaka ha infatti “riprogrammato” cellule della cute in cellule pluripotenti, e cioè capaci di differenziarsi in tutte le cellule che compongono i tessuti del nostro organismo.
Le implicazioni di questa scoperta, da subito definita il “Santo Graal” delle cellule staminali, sono molteplici. In particolare, rispetto alle cellule staminali derivate da embrioni umani, le iPSC presentano diversi vantaggi. In primo luogo, la semplicità di ottenimento di cellule adulte (attraverso una semplice biopsia cutanea) da riprogrammare, nonché la relativa facilità del processo di riprogrammazione stesso, ha consentito un’ampia diffusione di questa tecnologia nei laboratori di tutto il mondo. In secondo luogo, proprio in quanto non prevedono l’utilizzo di embrioni umani, le iPSC sono state percepite come meno problematiche da un punto di vista etico e politico. In terzo luogo, precisamente in quanto sono facilmente ottenibili dagli stessi pazienti, le iPSC rappresentano, rispetto alle loro controparti embrionali (derivate principalmente da embrioni soprannumerari creati attraverso tecniche di PMA), un modello più fedele della patologia dello specifico paziente. Da un lato, le iPSC permettono infatti di ricreare in vitro il tipo cellulare affetto dalla precisa mutazione genetica individuale che si è interessati a studiare. E ciò è di particolare importanza per quei tipi cellulari in precedenza sperimentalmente inaccessibili, come ad esempio i neuroni. Non solo. Esse permettono inoltre di studiare i meccanismi molecolari connessi all’insorgenza e allo sviluppo della patologia, anche a uno stadio precedente rispetto alla sua manifestazione sintomatica.
In ragione di queste caratteristiche, le importanti possibilità terapeutiche aperte da questa tecnologia vanno in due direzioni. Da un lato, le iPSC incarnano, forse più di ogni altra tecnologia biomedica attualmente a disposizione, il mito prometeico di rigenerazione del corpo umano. Di fronte all’insorgenza e ampia diffusione di patologie tipiche della senescenza, quali ad esempio quelle neurodegenerative, il trapianto (autologo o allogenico) di cellule derivate da iPSC potrà consentire – in un futuro, è bene sottolinearlo, la cui vicinanza non è ancora dato prevedere – la rigenerazione dei tessuti malati o compromessi. Nello specifico, sarà possibile prevelare dal paziente delle cellule che potranno, a loro volta, essere riprogrammate a uno stato di pluripotenza, “corrette” rispetto alla mutazione causa della patologia, per poi essere ridifferenziate nel tipo cellulare affetto da patologia e quindi re-immesse nel corpo del paziente.
Più di ogni altro, per via delle ingenti risorse e dei cambiamenti regolativi messi in atto negli ultimi anni, il Giappone è paese all’avanguardia nello sviluppo di tale approccio terapeutico. Tuttavia, un primo importante trial clinico iniziato nel 2014 per una terapia con cellule derivate da iPSC nel trattamento autologo della degenerazione maculare senile è stato interrotto a metà 2015, a seguito della decisione dell’istituto di ricerca RIKEN di Kobe di percorrere la strada del trapianto allogenico, in vista di una più rapida commercializzazione della terapia.
In secondo luogo, un’applicazione più immediata delle iPSC è rappresentata dal loro utilizzo nella ricerca farmaceutica. Proprio in quanto sono in grado di rappresentare fedelmente l’eterogeneità genetica di specifiche sottopopolazioni affette da determinate patologie, le iPSC stanno iniziando ad essere impiegate nei cosiddetti “trial clinici in vitro” per la sperimentazione di nuovi farmaci, aventi lo scopo di ridurre l’attrition rate caratterizzante il passaggio dalla ricerca preclinica a quella clinica. La speranza, che andrà verificata nei prossimi anni, è infatti quella di discriminare, in anticipo rispetto alla fase clinica della sperimentazione, i profili genetici individuali per i quali il nuovo farmaco può essere efficace, da quelli per i quali può essere inefficace o dannoso, aprendo così la strada a nuovi, innovativi approcci di medicina di precisione.
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Il seguente video è stato realizzato dal National Institutes of Health, U.S. Department of Health and Human Services.
“Induced pluripotent stem cell animation” NIH Image Gallery on Flickr.
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(photo by Jenni Konrad from Flickr)