Parte IV di IV
Nell’attesa di incontrarci l’8 settembre a City + Design In Transition, appuntamento che anticiperà di pochi giorni la chiusura dell’esposizione New Craft, proponiamo il report, i video e le fotografie di Labour versus Labour, rethinking work in a digital society che lo scorso aprile 2016 ha portato un prestigioso gruppo di ospiti a ragionare sulle implicazioni dell’innovazione nell’ambito del lavoro e della manifattura.
In particolare, è proprio questa parte dell’evento di aprile, dal titolo “Cities and craft: the future of work”, che introduce in modo efficace gli argomenti che verranno trattati in City + Design In Transition.
Nella lettura del post, i video anticiperanno lo scorrere del report e in coda verranno messe le fotografie. Per comodità abbiamo suddiviso la pubblicazione nelle quattro parti che hanno composto l’evento:
I. 27 aprile 2016: From Innovating with Beauty to New Craft: Connecting the Dots
II. 28 aprile 2016: Models after Models: reversing the innovation pyramid
III. 28 aprile 2016: ADDITTIVE ManifaCURing. DESIGN FOR THE CURE
IV. 28 aprile 2016: Cities and craft: the future of work
(I video precedono la porzione di report che li sintetizza.)
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LABOUR versus LABOUR rethinking work in a digital society
Cities and craft: the future of work
In questa ultima parte della giornata sono intervenuti alcuni rappresentanti di importanti istituzioni che si trovano attivamente coinvolte nei fenomeni di trasformazione del lavoro. Con questa parte conclusiva si sono voluti presentare una serie di scenari, presenti e futuri, che cercano di tracciare uno o più percorsi possibili, per trovare una via italiana all’innovazione legata al prodotto.
(il post prosegue sotto il video, con l’intervento di Stefano Maffei – Polifactory)
(I video sono visibili anche nel nostro account in Vimeo)
Stefano Maffei, Polifactory – “Cities and the Craft: the future of work. La relazione fra tecnologia e trasformazione”.
Stefano Maffei ha preso in analisi alcuni meccanismi fondamentali innescati dalla digitalizzazione e dalla robotizzazione di molti processi del mondo del lavoro. Se da un lato riscontriamo sicuramente un andamento crescente relativamente alla sostituzione di molte mansioni precedentemente svolte da esseri umani con macchine, è anche vero che vi sono alcune attività che le macchine non riescono ancora, e forse mai riusciranno, a fare. Attività come la percezione e la manipolazione di precisione, di intelligenza creativa e sociale sono ancora appannaggio esclusivo degli uomini. Se a questo fenomeno uniamo la spinta tecnologico-democratica rappresentata da tecnologie quali la stampante 3D, dal movimento dei Makers e DIY, da Internet, vediamo come si stia delineando un sistema produttivo alternativo a quello esistente, diffuso, dove la dimensione locale è in realtà prolificamente connessa al resto del mondo, dove la componente della città, intesa come luogo che addensa e catalizza questi processi, risulta fondamentale alla creazione di reti a supporto dell’intero sistema. Si pensi alle microproduzioni, dove l’imperativo della customizzazione rappresenta una componente importante del valore aggiunto oltre che il cavallo di battaglia nei confronti della grande impresa e delle produzioni di massa. Maffei conclude indicando alcune condizioni abilitanti questi processi quali la diffusione della cultura tecnica; il coinvolgimento dello Stato a livello di finanziamenti; la creazione e la diffusione di economie circolari, sharing economy basate su robuste reti collaborative; cultura originale del progetto e la nascita delle nuove economie manifatturiere.
(il post prosegue sotto il video, con l’intervento della Ph.D. task-force in “Urban Studies” – Università Milano Bicocca)
(I video sono visibili anche nel nostro account in Vimeo)
Letizia Chiappini, Monica De Bernardi, Laura Querci, Ph.D. task-force in “Urban Studies” – Università Milano Bicocca
Il gruppo di studi in Urban Studies dell’Università Milano Bicocca, è a capo di uno studio sugli impatti reali in termini di crescita economica che il fenomeno dei makers porta all’interno del territorio nel quale si insedia. Lo studio, tarato su Milano, ha mostrato come la città, a fronte di un’alta densità abitativa e ottime infrastrutture sia reali che virtuali, rappresenta una sorta di locus amoenus per lo sviluppo e il prosperare di quella che viene chiamata ‘manifattura diffusa’. Al tempo dell’intervento però non era ancora chiaro quale fosse il contributo in termini di impatti positivi sul tessuto economico locale/cittadino, né in termini di governance e gestione del territorio. Se da un lato è vero che questi luoghi rappresentano sicuramente dei punti di aggregazione sociale, dall’altro è altrettanto vero che l’establishment del tessuto produttivo urbano, le grandi aziende, fanno ancora fatica ad integrare i laboratori dei makers nei loro reparti di ricerca e sviluppo e il rischio è quello di non riuscire a sfruttare le ovvie sinergie che si potrebbero creare.
A riguardo, si è evidenziato come sia centrale il ruolo delle istituzioni scolastiche per riuscire a dialogare fin da subito con questi nuovi luoghi della produzione, in modo non solo da fornire una prospettiva alternativa ai propri studenti, ma anche l’inclusione progressiva all’interno dell’immaginario produttivo possibile.
(il post prosegue sotto il video, con gli interventi di Paolo Manfredi e Giovanni Lanzone, la sintesi del report e le fotografie dell’evento)
(I video sono visibili anche nel nostro account in Vimeo)
Paolo Manfredi, Confartigianato
Giovanni Lanzone, Fondazione Italia Patria della Bellezza
Paolo Manfredi ha anticipato alcune riflessioni presenti nel suo libro “L’economia del su misura”. Nell’intervento ha analizzato i processi di digitalizzazione e robotizzazione che stanno avvenendo a livello globale in chiave artigiana, ovvero cercando i punti di tangenza, se esistenti, fra queste due categorie della produzione. Secondo Manfredi, piuttosto che adottare un’ottica comparativa o di confronto fra queste due realtà, sarebbe auspicabile operare un matching delle competenze, ovvero vedere dove sono i limiti dell’uno (robotizzazione e digitalizzazione) e i limiti dell’altro (artigianato classico), per capire quando sia possibile instaurare una collaborazione virtuosa fra tecnologia e saper fare artigiano. Sicuramente Milano, con la sua concentrazione di competenze, rappresenta un luogo dove questa ibridazione è non solo facilitata ma soprattutto auspicabile. Il rischio che si corre è quello di esonerare il sistema artigiano dalle trasformazioni attualmente in corso all’interno del tessuto produttivo.
Giovanni Lanzone sposta l’accento della discussione sull’indicizzazione. L’indicizzazione, come processo propedeutico per la diffusione dell’Internet delle Cose, sarà alla base di alcune importanti trasformazioni non solo all’interno della manifattura, ma coinvolgerà tutti i tipi di lavori. La trasformazione in dato di ogni tipo di oggetto o fenomeno reale, in funzione della creazione di un flusso di informazioni direzionate all’implementazione di azioni o all’efficientamento di processi, comporterà il problema della gestione di questi dati e della loro privacy. Se riusciremo ad incanalare questi processi e direzionarli a favore della creazione di una maggiore armonia a livello di tessuto urbano, sicuramente ne beneficeremo tutti.
Ha concluso la giornata il direttore scientifico della Fondazione Giannino Bassetti, Francesco Samorè, con un intervento per ringraziare tutti i partecipanti e gli ospiti dei diversi panels.
In sintesi
con “LABOUR vs. LABOUR rethinking work in a digital society”, sono stati esplorati alcuni dei fenomeni più importanti registrati a livello internazionale per quanto riguarda l’evoluzione delle forme del lavoro contemporaneo. De-LAB, insieme ai suoi ospiti internazionali, ha illustrato come da un lato l’esistenza di mercati popolati da consumatori a basso reddito, rappresenti oggi una nuova sfida per le aziende Italiane, capace non solo di creare nuovo lavoro, ma di fare da tensore innovativo; dall’altro invece è stato fornito uno spaccato su processi di innovazione bottom-up, poco formalizzati, spontanei, localizzati principalmente in India, e su come questi si pongano in maniera totalmente nuova rispetto alle modalità classiche dell’innovazione, fornendo interessanti spunti e stimoli anche per il nostro continente. Durante la seconda parte della giornata invece abbiamo avuto le testimonianze dirette di alcune esperienze concrete su come la tecnologia in ambito bio-medicale possa realmente mettersi al servizio della società, rivoluzionando le dinamiche del lavoro che sottostanno a questi processi. Le testimonianze di Open Dot, Open Care, Open Biomedical initiative e di Jonathan Hankins ci hanno illustrato il potenziale delle stampanti 3d, che vengono usate rispettivamente per produrre oggetti per la riabilitazione neuromotoria (Open Dot), protesi (Open Biomedical Initiative), alcuni device che facilitano il self-care (Open Care) fino ad arrivare alla possibilità di stampare tessuti umani (Jos Malda intervistato da Jonathan Hankins). La ricerca di Ars Academy ha invece fornito alcuni scenari futuri dove queste tecnologie trovano ognuna il loro spazio, sollevando importanti questioni di bioetica. Infine la riflessione si è spostata sulle conseguenze che la digitalizzazione e la robotizzazione di moltissimi processi produttivi sta portando nel tessuto urbano e imprenditoriale Italiano. Stefano Maffei di Polifactory ha illustrato come a livello di sistema stiamo assistendo ad una mutazione nell’organizzazione dei nuovi asset produttivi, che ora si fanno micro, diffusi concentrati nelle metropoli e orientati alla customizzazione della loro offerta. Queste novità si inseriscono però in un’ecosistema pre-esistente di imprese, e il dialogo fra questi due soggetti nuovi e ‘vecchi’, ha spiegato il gruppo di ricerca in Urban Studies, risulta fondamentale per innescare processi virtuosi di crescita. Anche Paolo Manfredi di Confartigianato ha osservato come la tecnologia sia neutrale rispetto alla piccola impresa artigiana, che deve riuscire a trovare una relazione armonica con questa seguendo delle logiche di compatibilità e bisogno. In questo senso Giovanni Lanzone di Fondazione Italia Patria Bellezza ha fatto presente come la pervasività di fenomeni come l’indicizzazione si estenda a qualsiasi tipologia di lavoro, rimettendo in discussione i rapporti fra quest’ultimo e l’essere umano.
Abbiamo visto quindi come in sostanza siano in corso alcune profonde trasformazioni nelle modalità del lavoro contemporaneo, trasformazioni che rappresentano sicuramente delle sfide difficili per gli attori del nostro sistema produttivo, ma che se affrontate nel modo e con lo spirito giusto rappresentino un fonte preziosa di innovazione e cambiamento capace di riportare il nostro paese su di un sentiero di crescita sostenibile e duraturo. Il tessuto produttivo del nostro paese, caratterizzato principalmente da piccole e medie imprese altamente specializzate, flessibili, si presenta infatti come il più adatto a livello globale a rispondere in maniera ottimale a questi cambiamenti. Sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire quest’occasione.
(Le fotografie sono visibili anche nel nostro account in Flickr.)
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