La robotica ha fatto il suo ingresso nelle sale operatorie italiane già da molto tempo. Fino ad ora, però, le macchine robotiche hanno avuto la funzione di accompagnare e “potenziare” l’intervento e la precisione del medico chirurgo: parliamo di manipolatori soft per la chirurgia addominale, ma anche di sistemi di assistenza per la sostituzione di organi e di sistemi per l’endoscopia indolore e per la terapia vascolare. Le cifre che testimoniano la rilevanza degli interventi con i robot chirurgici (dal più noto Da Vinci Xi della statunitense Intuitive Surgical entrato nel mercato 15 anni fa, al Magellan e molti altri) sono in lieve ma progressivo aumento.
I principali benefici per il chirurgo riguardano la possibilità di operare su scala microscopica e nanometrica, vale a dire ad un ordine di grandezza difficilmente raggiungibile dalla mano di una persona; per l’ospedale, invece, diminuisce il tempo del decorso post-operatorio. I benefici per i pazienti sono rappresentati da un minor dolore post-operatorio, un ridotto rischio di infezioni, un minor sanguinamento, una ridotta necessità di trasfusioni, un più rapido ritorno a tutte le normali attività quotidiane, un miglior risultato estetico.
I recenti sviluppi in tale ambito sono numerosi e ci sono territori in cui questa evoluzione prende più corpo. Prendiamo il caso del Centro EndoCAS dell’Università di Pisa, dove un team multidisciplinare composto da medici ed ingegneri sta lavorando per portare la realtà aumentata e la realtà virtuale nelle sale operatorie e nelle aule di formazione dei giovani medici. Con l’ausilio di alcuni visori per realtà aumentata i chirurghi hanno facoltà di vedere all’interno del corpo grazie all’incrocio delle immagini pre-operatorie con quelle trasmesse in real time dal robot: tale facoltà permette di comprendere meglio le modalità con cui intervenire sul paziente. Oppure consideriamo l’esperienza della Scuola internazionale di robotica di Grosseto, fondata dal Prof. Giulianotti e diretta dal Dott. Coratti, vera pioniera italiana in questo ambito e riconosciuta a livello internazionale: qui molti chirurghi arrivano da ogni parte del globo per apprendere l’arte della robotica chirurgica in un mix tra lezioni teoriche e assistenza in sala operatoria.
A fronte delle evoluzioni in essere (qui si accenna a due soli esempi, ma lungo tutto il Paese sono diversi gli ospedali che si sono attrezzati con robot chirurgici, ndr.) bisogna riflettere sul fatto che possedere una tecnologia non è sufficiente per migliorare le prestazioni sanitarie e per generare ricadute positive in termini di salute pubblica.
I limiti identificabili, che impediscono per ora una più ampia diffusione di tali soluzioni, sono principalmente due: I) l’assenza della pianificazione di una formazione per studenti e per chirurghi esperti (al momento le iniziative in essere sono promosse da enti indipendenti); II) l’elevato costo dei robot utilizzati in chirurgia.
È innegabile che i costi siano molti alti; d’altronde occorre non considerare solamente i costi diretti ma anche quelli relativi al posto letto (per il post-operatorio) che parimenti scendono ma che non garantiscono, in ogni caso, un pareggio dell’investimento. Inoltre sappiamo – come segnalato nel primo contributo – che il Sistema Sanitario Nazionale con la cifra sul 2016 di 111 miliardi di euro rappresenta per importanza la seconda voce nella spesa pubblica italiana, un capitolo di bilancio che è destinato a essere maggiormente razionalizzato (tradotto: ridotto) nei prossimi 2-3 anni. In ragione di queste considerazioni la robotica applicata alla chirurgia pare un’innovazione destinata a non prendere piede da subito nel nostro Paese (almeno nel sistema attuale) per ragioni di sostenibilità del S.S.N., nonostante le rilevanti ricadute sociali sopra descritte.
Tuttavia il settore, a livello internazionale, non ferma la sua corsa. In tal senso le novità riguardano lo sviluppo del primo robot in grado di operare anche su tessuti molli senza l’intervento umano e l’invenzione del primo prototipo di robot origami.
Il primo si chiama STAR, acronimo di Smart Tissue Autonomous Robot, ed è stato progettato da un gruppo di esperti coordinati dal Children’s National Medical Center di Washington: l’obiettivo è ridurre a zero il rischio di errore umano. I primi test relativi sono stati pubblicati Science Translational Medicine e dimostrano risultati migliori di quelli ottenibili da chirurghi o da chirurghi assistiti (come nel caso del Da Vinci Xi). STAR opera sotto la supervisione di un chirurgo, è equipaggiato con un braccio robotico e con strumenti chirurgici, è dotato di marcatori fluorescenti e altri dispositivi che gli consentono di visualizzare e navigare tra i tessuti molli dell’organismo adattandosi alla loro complessità.
Il secondo, invece, è il prototipo di Robot origami progettato dai ricercatori del MIT, in team con ingegneri dell’Università di Sheffield e del Tokyo Institute of Technology. Si tratta di un robot piccolissimo e biodegradabile, presentato recentemente a Stoccolma, che ha potenzialità enormi. L’apparecchio è contenuto in una piccolissima capsula (come la pillola di un farmaco) e viene attivato nel corpo dopo l’intervento dei succhi gastrici. Subito dopo viene manovrato dal chirurgo, che ha facoltà di ricucire lesioni interne e facilitare l’espulsione di corpi estranei. Gli stessi ricercatori progettisti hanno annunciato che stanno lavorando per rendere autonoma l’azione del robot origami.
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