Situata fra Milano e Varese, non lontano dall’aeroporto di Malpensa e dal confine svizzero, la Fondazione Istituto Insubrico Ricerca per la Vita (Fiirv) di Gerenzano (VA) è fra le realtà italiane più originali nell’ambito delle biotecnologie. Nei suoi 15.000 metri quadrati di laboratori e uffici, il centro ospita infatti un Bioparco, che offre laboratori, consulenze e servizi ad aziende e start-up, ma anche progetti di ricerca biotecnologica finanziati da fondi pubblici e fondazioni (in particolare, la Fondazione Cariplo). Fulcro di questi studi è la biobanca, un patrimonio di biodiversità microbica unico al mondo, composta da circa 90.000 ceppi di funghi e batteri isolati da terreni provenienti da tutto il mondo e 188.000 estratti, che i ricercatori analizzano per individuare nuove sostanze di origine microbica, utili alla medicina. Diretta da Andrea Gambini, la Fiirv si è costituita nel 2007, potendo però sfruttare il grande patrimonio materiale e culturale del sito, attivo nella ricerca biomedica avanzata già a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso.
Dottor Gambini, la particolarità di Gerenzano deriva anche dalla sua storia. Ce la racconta?
Il bioparco nasce nel 1964, quando la Dow Chemical acquisì il Gruppo Lepetit, già noto per la scoperta dell’antibiotico rifampicina. Negli anni successivi, qui si sono individuati altri due antibiotici ancora in commercio, grazie agli studi che venivano fatti sui batteri presenti in campioni di terreno, conservati nella biobanca che si andava via via costituendo. In seguito si sono succedute diverse realtà aziendali, che hanno però sempre mantenuto centrale questa attività. L’ultima è stata la multinazionale farmaceutica Pfizer, che nel 2007 ha deciso di chiudere il centro e spostare la ricerca negli Usa. La Provincia di Varese ha trovato in questa crisi un’opportunità e si è fatta donare per un solo euro l’intera struttura, la strumentazione e la biobanca. Non essendo però in grado di gestire direttamente la ricerca, ha costituito una fondazione coinvolgendo altre realtà. Nello specifico, accanto alla Provincia di Varese, sono soci fondatori della Fiirv: l’Università dell’Insubria, il governo Canton Ticino, il Comune Busto Arsizio, l’ente Regio Insburica e la Fondazione Cardiocentro Ticino di Lugano. Lo scorso anno si è aggiunta infine la Fondazione del gruppo ospedaliero San Donato.
La vostra attività si svolge in due ambiti: la ricerca e il bioparco. Partiamo da quest’ultimo…
L’Isubrias BioPark ospita 18 aziende; abbiamo altre richieste, ma attualmente i nostri spazi sono al completo. Per la maggior parte sono realtà esterne, come la Diasorin, che fa kit diagnostici, e la Areta, che utilizza la cell factory del centro, una delle più grandi e importanti d’Europa, per produrre farmaci biologici che possono poi andare direttamente sul paziente. Ci sono poi quattro start up nate nell’incubatore: la Actygea, che si occupa di processi fermentazione, la GexNano, che produce kit diagnostici innovativi, la Milanese srl che si occupa di purificazione di sostanze, e la Chorosis, specializzata in tecnologie e modelli informatici per l’elaborazione di nuovi farmaci.
Che vantaggi ha un’azienda che si insedia nel Bioparco?
Oltre ai locali e alla strumentazione, il Bioparco offre servizi di laboratorio, tecnici e, quando occorre, assistenza amministrativa e nella ricerca di finanziamenti. Tutto ciò comporta notevoli risparmi perché le attrezzature di cui disponiamo, e che mettiamo in comune, sono costose sia nella gestione che nella manutenzione. Il confronto e lo scambio di idee sono l’altro aspetto che spinge le aziende a insediarsi in realtà come la nostra. In più di un’occasione si sono portati avanti progetti comuni, che hanno poi permesso di realizzare prodotti innovativi, oggi sul mercato. Fra questi, un sistema di somministrazione di farmaci basato su uno stent che si inserisce sottocute, e che col tempo si degrada. Il lavoro con le aziende è fondamentale per la Fondazione, perché permette di coprire almeno in parte i costi della nostra ricerca.
L’altro fulcro di attività è infatti la ricerca, indipendente dalle imprese insediate nel Bioparco.
Fra le nostre mission c’è quella di favorire e incentivare la ricerca medico scientifica, e trasferire nel territorio conoscenze. L’attività riguarda principalmente due aree: i nuovi antibiotici, settore cruciale per la medicina, perché sempre più emergono malattie infettive che sono diventate insensibili ai farmaci di cui già disponiamo, e la celiachia. In entrambi i casi, si parte dalla biobanca: per gli antibiotici, cerchiamo sostanze di origine batterica o fungina capaci di uccidere i microrganismi che provocano le infezioni. In ottobre abbiamo individuato due nuovi antibiotici ad ampio spettro e siamo in fase di brevettazione. Uno, in particolare, ha un’attività molto estesa, ha una struttura diversa da quella degli antibiotici già noti, e uccide il 100% dei batteri infettivi con cui classicamente si fanno queste valutazioni.
Per la celiachia, invece, l’obiettivo è individuare sostanze di origine microbica che tolgano la tossicità al glutine. Anche in questo caso abbiamo trovato due enzimi, che spezzano in tre parti la molecola in condizioni di acidità analoghe a quelle che si trovano nello stomaco. Le abbiamo brevettate e stiamo cercando aziende interessate ad acquisire il brevetto. L’idea è che da questi enzimi si possa ottenere un integratore da assumere mezzora prima dei pasti, per consentire ai celiaci di sopportare piccole quantità di glutine, e magari bere una birra o mangiare fuori, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze.
Qual è la parte più impegnativa del suo lavoro?
Reperire i finanziamenti per la ricerca è senz’altro l’aspetto più critico. L’attività del Bioparco infatti non copre tutti i costi e noi non possiamo vendere i prodotti finiti, ma solo i brevetti. Questo ci limita un po’ e ci rende dipendenti da fondi esterni. Copriamo i costi grazie alla Fondazione Cariplo e ai bandi regionali ed europei: per fortuna, a fronte di un disinteresse dello Stato in questo settore, la Regione Lombardia ha invece una certa sensibilità. È però difficile fare ricerca in Italia: anche con i risultati importanti che stiamo ottenendo, reperire fondi resta estremamente complicato, né ci sono agevolazioni per il costo dell’energia o altro.
Andrea Gambini
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(Foto in cima alla pagina: Rhizopus stolonifer (moldy bread) di Macroscopic Solutions da Flickr)
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