Questo articolo prosegue la rassegna di “design for all” ospitata dalla Fondazione Giannino Bassetti e inaugurata con il manifesto “Innovation for All. La diversità come risorsa” nel febbraio di quest’anno.
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IL DESIGN FOR ALL HA VENT’ANNI
è diventato maggiorenne.
di Avril Accolla, Luigi Bandini Buti
Una storia in tre capitoli:
3 – LA DIVERSITÀ È UNA RISORSA
(Leggi la prima e la seconda parte)
Noi riteniamo che l’approccio proposto dalla filosofia Design for All debba essere considerato come il naturale sviluppo di una cultura del progetto attenta alle necessità, abilità ed aspirazioni di tutti. Riteniamo anche che l’applicazione pedissequa e passiva di norme impositive rischi di creare ulteriori e più sottili discriminazioni.
Il trend virale del mercato è passare dal focus sulle prestazioni a quello sulla qualità delle stesse, per poi approdare alla qualità delle prestazioni per tutti, ognuno con le proprie specificità personali. L’approccio proposto dal Design for All risponde coerentemente sia alle nicchie ad alto margine sia al mainstream globalizzato. Il DfA interpreta efficacemente la globalizzazione dei mercati, in quanto sa leggere la ricchezza delle differenze individuali valorizzandole attraverso il progetto del sistema nel suo complesso. Se un prodotto è veramente for all sarà probabilmente adatto ai grandi, ai piccoli, ai grassi, ai magri, ai distratti, agli analfabeti, agli europei, agli orientali …
L’ergonomia per prima si è occupata della rispondenza di prodotti, ambienti e sistemi alle caratteristiche ed ai bisogni dell’uomo partendo da lontano, dalle prime esperienze di interventi sull’ambiente di lavoro, da temi reali e specifici come la salute e la sicurezza. Ha sviluppato tecniche per coinvolgere le varie discipline e ha utilizzato la partecipazione per passare dalla genericità degli intereventi alla specificità delle varie situazioni.
L’ergonomia parte dai fenomeni per arrivare all’uomo.
Il Design for All parte dalla realtà per arrivare all’individuo.
Il Design for All, disciplina di giovane costituzione ma di storiche radici, trae forza e significato dall’integrazione sociale del “desidero partecipare”, non del “posso partecipare”: cioè necessità, abilità ed aspirazioni dei tutti si concretizzano nella creazione di sistemi in cui tutti quelli che desiderano partecipare, effettivamente possono farlo con agio e soddisfazione. Un sistema DfA è necessariamente accessibile, un sistema accessibile non necessariamente è DfA: temi come qualità, rispetto, desiderio, benessere, gioia, must-have, moda, market trend, lanciano il sistema dal dovere dell’accessibilità, L’imprescindibile piacere del DfA.
Il DfA propone sue metodologie applicative specifiche sul coinvolgimento degli enti, delle strutture politiche e pubbliche e del fruitore e propone strumenti di analisi consapevoli e mirati per evolvere positivamente la realtà costruita e progettata e le implicazioni di questa.
UNIVERSAL DESIGN
Universal design è una disciplina diffusa negli Usa che ha diverse similitudini con Design for All.
Innanzitutto entrambe si occupano della diversità delle persone cercando di promuovere ambienti, prodotti e sistemi adatti a tutti. Entrambe si contrappongono a coloro che si occupano principalmente di stupire, ma si contrappongono anche a chi adotta i molto radicati metodi progettuali che fanno riferimento agli individui dei manuali (“standard”), sani, forti e motivati, che in realtà non esistono o sono così pochi da non rappresentare nulla. Per ottenere questi risultati UD propone strumenti pragmatici che analizzano le varie sfaccettature dei temi che hanno il vantaggio di essere ben utilizzabili. Difficilmente però sono in grado di valutare la rispondenza delle soluzioni alla dignità umana, che è il vero nodo fra discriminazione e inclusione.(1)
LA DIGNITÀ UMANA
È la dignità umana l’argomento cardine del progetto DfA.
Ma come si misura la dignità umana? Non certo con valutazioni fisiche o percettive. Non certo con checklist da spuntare. Vuol dire occuparsi dei “comportamenti” dell’individuo perché occuparsi esclusivamente dell’ “individuo” come entità generica può essere molto riduttivo perché lo stesso individuo ha differenti comportamenti in funzione dei luoghi, dei compiti, degli stati d’animo, ecc. Non si deve quindi avere come riferimento l’individuo come entità fisica e percettiva, ma le “situazioni” nelle quali opera l’individuo.
L’unità di misura della dignità umana è la sensibilità del progettista.
Il rispetto della dignità umana è il successo nel mercato (se posso scegliere, compro ciò che mi valorizza e mi fa star bene, non ciò che mi umilia discriminandomi), è il ritorno d’immagine e non solo, per decisori e stakeholders, pubblici e privati, che aumentano esponenzialmente i propri consensi.
DfA dice che accanto agli strumenti di analisi bisogna sviluppare la sensibilità del progettista che deve avere una visione olistica del tema che sta affrontando. Il progettista deve essere sensibile sia alle disabilità che alle differenze con cui ciascuno dei fruitori esperisce l’intorno: motorie, percettive, sensoriali, comportamentali, linguistiche e culturali. Il progettista guarda quindi ai modelli di comportamento, alle situazioni, alle abitudini e alla cultura materiale.
Questo è il design for All! (2)
LA DIVERSITÀ COME RISORSA
“La diversità come risorsa” è l’altro elemento chiave della filosofia del Design for All.
L'”Evoluzione della specie” di Darwin ci insegna che la diversità è il motore dell’evoluzione e del cambiamento. Come mai 20 violini in una orchestra sinfonica non possono essere sostituiti dalla riproduzione venti volte dello stesso violino? Chi si occupa di musica sa che la sonorità dell’orchestra è data dalla diversità, dalle impercettibili diversità che si sono fra un violino e l’altro e fra un esecutore e l’altro. È la diversità che fa l’orchestra!
Credo che sia lecito dire che la nostra epoca ha scoperto la diversità, dopo che per tanto tempo si è cercato, inutilmente, di considerare tutti uguali. Quindi la diversità è una risorsa e lo sanno bene quei regimi che si sono proposti di abolire le differenze imponendo costumi, modelli, comportamenti, ed anche divise tutte uguali ai cittadini, magari eliminando i “diversi”. Non consideravano la diversità come una risorsa ma come un problema. Ma i cittadini sono diversi e vogliono e devono esserlo.
Oggi tutte le discipline umane riconoscono che la diversità è intrinseca nell’essere umano e che questa è una fortuna. Ma la diversità sembra scontrarsi con la richiesta di standardizzazione della produzione di massa. Sarebbe molto più facile progettare un unico prodotto buono per tutto e per tutti. Ma questa è una inutile utopia.
La nuova frontiera del progetto è considerare la diversità come una risorsa in quanto è dalla sfida che nasce l’innovazione. E anche le nuove tecnologie sulla produzione per piccoli numeri aiuteranno.
Il DfA parte dalla consapevolezza che affinché un progetto possa essere inclusivo, è necessaria da parte dei decisori la volontà di operare in quella direzione e che tutti i passaggi siano rispettati. Per esempio, se i vertici non decidono che un paese che offre un livello di servizio ferroviario scadente non è un paese civile, non saranno certamente i pur valenti e sensibili designer a cambiare l’accessibilità dei vagoni. Il passo successivo dei decisori è poi quello di scegliere un team di professionisti con le competenze e la sensibilità all’altezza di una tale sfida quale quella del DfA.
CATENA DEL VALORE
Nel progetto DfA devono essere coinvolti i vari attori della catena del valore in ciascuna fase.
– La decisione da parte dei politici fa riferimento alla coscienza civile, alla forza dei movimenti di opinione, alla ricerca del consenso, alla visibilità e attualità dei risultati ed infine all’internazionalità delle azioni.
– La decisione dei manager pubblici li vede interessati al valore sociale degli interventi, all’allargamento a fasce escluse (per esempio sono interessanti agli anziani perché vadano volentieri nelle località turistiche anche fuori stagione), alla fidelizzazione a luoghi o servizi (vado in quel campo giochi perché mi sento sicuro e protetto).
– I manager di industrie private hanno sfide analoghe, ma il mercato non perdona. Promuovere servizi e sistemi come ‘per Tutti‘ senza un effettivo riscontro concreto, trasforma molto rapidamente la gloria raggiunta in danno d’immagine e riduzione degli introiti.
L’industria vuol poi sapere la dimensione e la potenzialità del mercato. È certo che se si propongono prodotti per ristrette minoranze disabili, l’interesse sarà scarso. Operando con un approccio DfA, il prodotto sarà veramente utile e piacevole per tutti e non sarà più per una ristretta elite. Vi sono delle note esperienze. Per esempio nel campo dei mobili per cucina, ove il prodotto innovativo della Snaidero, pensato all’inizio per chi ha difficoltà motorie, è diventato il prodotto leader del catalogo.
Ma il mercato comincia ad essere anche sensibile al valore sociale dell’offerta. L’eco-sostenibilità dei prodotti e delle materie prime sta diventando un valore che paga. Lo stesso accade per l’attenzione ai valori sociali dei prodotti.
– I progettisti devono possedere gli strumenti per sviluppare progetti inclusivi, ed operare affinché questi non siano delle scadenti macchine per la sopravvivenza, come le rampe per i disabili in carrozzina messe all’ultimo momento perché lo chiede la legge.
Anche ai progettisti si deve richiedere una sensibilità sociale che li porti a favorire decisioni nella direzione dell’inclusione. Pensare “so che il mio prodotto è difficilmente accessibile … ma l’accessibilità non era prevista nel brief, per cui non me ne sono occupato” non solo non è più accettabile, ma nega i vantaggi d’immagine e di ritorno sull’investimento dell’approccio DfA: un mancato successo per tutta la catena del valore, prevenibile.
I progettisti devono conoscere anche degli strumenti specifici per utilizzare gli apporti interdisciplinari, per indagare la soggettività (che non è chiacchiera con i potenziali fruitori ma “farsi le domande giuste”), per verificare le soluzioni, per la corretta gestione dei sistemi e per la loro verifica.
– I gestori devono far si che quanto è stato eseguito venga realmente vissuto nei modi previsti, che ne venga diffusa la conoscenza e che ne sia salvaguardata l’operatività nel tempo. Se un sistema non è stato definito contestualmente al progetto della sua gestione, cioè contestualmente alle modalità del corretto uso, della loro rispondenza ai bisogni e alle esigenze reali dei fruitori e del loro mantenimento nel tempo, l’operazione sarà probabilmente fallimentare. Guardiamo la fine di molte piste ciclabili che si vogliono preservare a suon di multe invece che con il buon progetto.
I gestori devono anche essere attenti che il sistema si adegui a quegli sviluppi tecnologici che possono favorire l’inclusione sociale. È un insuccesso sia scrivere gli orari dei treni coi gessetti sulla lavagna, sia richiedere una laurea in informatica per saper quale treno prendere e quando.
Operare Design for All vuol dire attuare intelligenza progettuale.
Glossario:
Design for All
È il design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza.
Applica pensieri/concezioni olistiche per concentrarsi primariamente sui processi ed i metodi, in quanto il loro corretto uso porta ad una coerente/concreta applicazione del pensiero inclusivo. Ciò fa parte dell’ “approccio a tre gambe” per raggiungere lo sviluppo sostenibile, che deve essere eco-compatibile, economicamente accessibile (in quanto il grande mercato non comprerebbe prodotti e servizi alternativi ecologici ma cari) ed usabile (una proposta economicamente corretta ed ecologicamente compatibile non è particolarmente utile se la maggioranza delle persone ha difficoltà ad usarla).
Universal Design
Tende a mirare al prodotto finale, infatti utilizza regole di facile applicazione. È un metodo che può avere vantaggi a breve termine, ma che fallisce nel creare il necessario movimento spontaneo di cambiamento culturale che farebbe dell’inclusione sociale una parte naturale del quotidiano brief di design.
Inclusive design
Il principio dell’Inclusive design, diffuso nel Regno Unito, è molto vicino alla concezione del Design for All. Recita che tutti i progetti di ambiente, di ingegneria ed architettura, i prodotti e i processi, devono rispondere il più possibile alla diversità dei bisogni umani. Ove non sia possibile soddisfare le esatte richieste dei diversi gruppi umani o quelle dei singoli individui, si possono sviluppare progetti che evitino la creazione di barriere e progetti con ampi gradi di flessibilità. Il britannico UKiiD (United Kingdom Institute for Inclusive Design) afferma che “è fondamentale che l’inclusione sia inserita nell’intero processo progettuale”.
1.
L’applicazione dei concetti ai principi dell’Universal design, secondo il Centro ricerche della University of North Carolina, considera i seguenti 7 principi fondamentali:
Principio 1 – Equità – uso equo: utilizzabile da chiunque.
Principio 2 – Flessibilità – uso flessibile: si adatta a diverse abilità.
Principio 3 – Semplicità – uso semplice ed intuitivo: l’uso è facile da capire.
Principio 4 – Percettibilità – il trasmettere le effettive informazioni sensoriali.
Principio 5 – Tolleranza all’errore – minimizzare i rischi o azioni non volute.
Principio 6 – Contenimento dello sforzo fisico – utilizzo con minima fatica.
Principio 7 – Misure e spazi sufficienti – rendere lo spazio idoneo per l’accesso e l’uso
Questi principi sono più ampi di quelli alla base della progettazione accessibile a tutti e di senza barriere e sono stati elaborati per essere applicati nel più numero più ampio possibile di settori, quindi dall’edilizia ai trasporti ma anche dall’informatica alle tecnologie, dall’ambiente di lavoro alle attività turistiche e sportive e così via.
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2.
Design for All propone, come caratteristiche da valutare, alcune categorie concettuali che vengono definite, solo a titolo di esempio, nelle norme per la concessione del Marchio di Qualità DfA:
Fisicità:
prensilità abilitante – sforzi minimi richiesti – precisione minima richiesta – abilità minima richiesta – offerta di alternative di manipolazione ed uso – offerta di sistemi di personalizzazione –
utilizzo di tecniche e accorgimenti tecnici (anche innovativi) per rispondere alle esigenze ed abilità di tutta l’utenza target – rispondenza alle differenze antropometriche – rispetto delle caratteristiche di sicurezza – rispondenza alle esigenze diversificate di benessere.
Percezione e sensorialità:
contrasti cromatici – contrasti tattili – contrasti sonori – stimolo gustativo – stimolo olfattivo – percezione cinestesica.
Comprensione:
autoesplicazione dell’uso/funzionamento – semplicità di linguaggio – uso di codici semantici per la comprensione del funzionamento/uso – qualità estetico/formale – implementazione dell’orientamento naturale (in ambienti, interfacce, oggetti, servizi, etc.) – comunicazione multisensoriale (aspetti grafici ed oggettuali) – comunicazione transculturale e translinguistica (aspetti grafici ed oggettuali) – documentazioni per l’uso rispondenti ai requisiti elencati.
Processo:
correttezza dell’approccio progettuale (indagini soggettive, verifiche con soggetti sensibili, coinvolgimento di utenti e/o experiencer in ogni fase del processo progettuale ecc.)
– correttezza nella filiera della decisione – estensione dei principi DfA a tutta la catena del valore – messaggi publi-promozionali che devono promuovere assieme al prodotto, sistema, ambiente o servizio la filosofia DfA, evitando ottiche contrarie, soprattutto se ghettizzanti.
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