I percorsi che una tecnologia intraprende una volta che è stata messa a punto e resa disponibile alla collettività vanno spesso molto al di là di quanto chi l’ha sviluppata avesse in mente. Così, se la rivoluzione nella medicina pronosticata dai promotori del Progetto genoma di fatto non c’è ancora stata, il DNA è invece il protagonista di un fenomeno del tutto imprevisto e solo apparentemente più frivolo – il social networking genetico – capace di condizionare la percezione che abbiamo di noi e degli altri e ribaltare gli schemi attraverso cui le persone interagiscono. La sua portata innovativa è straordinaria; se ne parla poco solo perché è ancora agli inizi (in Italia è praticamente sconosciuto) e perché in pochi hanno la capacità di analizzare un territorio che sta a metà fra il web 2.0 e la genomica personalizzata. Fra quei pochi c’è Sergio Pistoi, genetista passato alla divulgazione scientifica, che nel suo libro Il Dna incontra Facebook (Marsilio) definisce il social networking genetico «una dimensione nuova della genomica personale, un mondo dove le informazioni sul DNA sono un vero e proprio contenuto digitale da cui partire per realizzare reti sociali». Il saggio, vincitore del Premio Galileo 2013, ha anche ispirato uno spettacolo teatrale che vede sul palco, assieme a Pistoi, l’attore Patrizio Roversi e il giornalista scientifico Andrea Vico, e che è già stato a rappresentato a Genova, Torino e Rimini.
Ma per capire davvero di che cosa si tratta occorre fare un passo indietro, e ripercorrere il viaggio che lo stesso autore ha intrapreso alla scoperta del mercato della genomica personalizzata; un viaggio che è partito ordinando sul sito dell’azienda specializzata 23andMe il kit per farsi analizzare il genoma. «Dopo anni passati a curiosare nel DNA degli altri, decidere di guardare dentro il mio non è stato facile» scrive Pistoi, che nel libro narra in prima persona la sua esperienza. «Provo una certa apprensione, come un chirurgo che dopo aver praticato mille operazioni un giorno debba farsi aprire la pancia da un collega sconosciuto».
L’autore parte da una conoscenza approfondita del settore. Non è, insomma, il cliente tipo delle aziende che offrono il sequenziamento del DNA, e per questo prima di lanciarsi alla scoperta del suo “io genetico” prende una serie di precauzioni e analizza in modo dettagliato i pro e i contro di ciò che sta per fare: i rischi per la privacy, l’impatto che potrebbe avere su di sé conoscere la predisposizione a malattie gravi (per alcune sceglierà infatti di non leggere il risultato), la possibilità che i suoi dati siano usati per scopi commerciali o comunque non avallati da lui stesso. Tutti questi temi, di cui si è parlato in diverse occasioni anche in questo sito, sono affrontati nella prima parte del saggio.
A un certo punto però lo scenario cambia repentinamente. L’autore, che come tutti gli utenti di 23andMe è iscritto al sito dell’azienda, riceve da un altro utente la richiesta di collegarsi. Nel database dei dati genetici, infatti, il sistema informatico ha individuato fra i due somiglianze che indicano una lontana parentela. Pistoi inizia così un viaggio in un territorio nuovo. «Ero partito considerando la mia pagella genomica poco più di una raccolta di test diagnostici e predittivi, un affare privato di cui parlare tutt’al più con il mio medico o i conoscenti più intimi. E invece mi ritrovo in una piattaforma tecnologica dove posso condividere il mio genoma con centinaia o migliaia di utenti sconosciuti contemporaneamente, come se il Dna fosse una foto, un messaggio o un video da postare su Facebook o YouTube. L’intero sito di 23andMe è in realtà concepito per essere un vero e proprio social network genomico: dalle funzioni principali alla grafica, tutto è progettato per trasformare la scoperta del proprio DNA in un’esperienza di condivisione delle informazioni e di creazioni di reti».
In un modo che quasi nessun bioeticista o genetista aveva previsto («i saggi scritti sull’argomenti si contano letteralmente sulle dita di una mano sola» scrive Pistoi) il settore più avanzato dell’innovazione biotecnologica – quello che ruota attorno alla genomica personalizzata – ha incontrato uno dei motori più potenti del cambiamento sociale – quello del web 2.0 – dando vita a un mondo ibrido che si sta rapidamente evolvendo, e che ha tutte le potenzialità per incidere profondamente sulla società. Non è un caso che 23andMe abbia legami strettissimi con Google: «Legami economici, perché Google è il maggior investitore della compagnia; legami geografici, perché le sedi delle due aziende si trovano nello stesso isolato di Mountain View, California; infine legami familiari, dato che Anne Wojcicki, cofondatrice di 23andMe, è la moglie di Sergey Brin, inventore insieme a Larry Page, del motore di ricerca più grande del mondo» si legge nel libro.
Per gli utenti del sito (o di altri siti affini, spesso dedicati a un solo scopo), le possibilità sono molteplici: condividendo in parte o tutto il proprio DNA, è possibile individuare lontane parentele, discutere delle malattie per le quali la sequenza indica una predisposizione, confrontare i dati relativi al carattere e alle attitudini, cercare un’affinità per trovare l’anima gemella, rintracciare il proprio padre biologico (molto in voga fra i figli concepiti con lo sperma di donatori) e contribuire all’avanzamento della ricerca scientifica. Si possono fare scoperte divertenti (per esempio, sulla percentuale di Dna dei Neanderthal che si nasconde nei nostri cromosomi), o scoprire attitudini che non pensavamo di avere nei confronti del rischio o della difficoltà che potremmo avere a smette di fumare. Non tutte le informazioni saranno utili («Cosa ci faccio ora con tutti questi pseudoparenti?» si chiede a un certo punto Pistoi, dopo aver scoperto parentele con diversi utenti sconosciuti); certamente, nell’era della la recreational genomic, alcune saranno solo divertenti. Dietro tutto ciò si nascondono però non poche insidie. La più banale è quella di venire a conoscenza di qualcosa che sarebbe stato molto meglio non sapere. Un esempio su tutti: apprendere si non essere figli di colui che pensavamo fosse nostro padre. Altri pericolo sono però molto più subdoli.
Il rischio per la privacy, per esempio, è fra i più sottovalutati. Perché anche senza presupporre azioni illegali di hackeraggio delle informazioni riservate, è lo stesso meccanismo del social networking (genetico e non) a spingere gli utenti a rendere pubblici dati personali, che invece sarebbe meglio tenere per sé. «La nostra privacy non è messa a repentaglio esclusivamente da malintenzionati pirati informatici o abili spie» dice Pistoi, «ma da noi stessi e dal nostro modo di gestire il flusso delle informazioni che condividiamo in rete. Lo stesso principio vale per i dati che utilizziamo nel social networking genetico, con una differenza importante: possiamo cambiare credo religioso, partito politico, indirizzo, numero di telefono e perfino modificare il nostro stato di salute e i nostri connotati, ma non possiamo cambiare il nostro DNA. Una volta esposti i nostri dati in un forum, in un social network, in un file o in un profilo accessibile ad altri, queste informazioni resteranno per sempre. Oggi un profilo genetico non può dire molto, ma un giorno gli stessi dati potrebbero essere interpretati in modo più preciso ed efficiente e raccontare qualcosa che in teoria potrebbe anche essere usata contro di noi».
In prospettiva, c’è poi il rischio che i nostri dati personali siano ceduti a compagnie per scopi pubblicitari («non mi stupirei se nella mia pagina riservata di 23andMe un giorno comparissero annunci pubblicitari basati sul mio DNA» scrive Pistoi) o con altri obiettivi, senza il nostro consenso. Ancora più cupa è infine l’ipotesi che i dati personali possano essere usati come strumento per un controllo biopolitico, sul modello di quanto ipotizzato dal filosofo Michel Foucault negli anni settanta. «L’uso della scienza e la biologia, permettendo la gestione del corpo umano, si tradurrebbe in strumenti di controllo e di potere sulle popolazioni» si legge nel saggio. «Foucault non poteva certamente immaginare il social networking genetico, ma se oggi fosse vivo e avesse assistito alla comparsa di questo fenomeno lo avrebbe probabilmente citato come esempio perfetto di controllo biopolitico: una piattaforma virtuale dove migliaia di individui vengono raggruppati non dalla libera scelta ma in base a criteri biologici apparentemente oggettivi stabiliti dalla comunità scientifica».
Pur riconoscendo le ombre del fenomeno, il libro è comunque ben lontano da una sua condanna tout court. Rifiutarlo in toto sarebbe anacronistico, mentre è urgente dotarsi degli strumenti per governarlo e saperne cogliere i vantaggi, che indubbiamente ci sono. Pistoi lo dice chiaramente nell’epilogo: «Nel mondo nuovo, a cui dovremo abituarci e a cui dovremo dare forma, tutte queste applicazioni, e molte altre che oggi neanche immaginiamo, diventeranno parte integrante della nostra vita quotidiana. […] Potremo usare il nostro DNA in molti modi, dai più utili e intelligenti ai più stupidi e pericolosi. I dati genetici saranno un valido aiuto per prevedere e curare le malattie, ma anche un potenziale strumento di discriminazione e di marketing aggressivo. […]. Come individui, e come società, sarà nostro dovere valutare i pro e i contro della genomica di massa e reagire ai pericoli che, come tutte le innovazioni, anch’essa comporterà».
Su 23andme si veda anche l’articolo di Jonathan Hankins nella sezione inglese di questo sito.
Dal canale de La Scienza in rete in YouTube:
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(foto: “Micah’s DNA. This is a image of my actual dna.” di Micah Baldwin da Flickr)
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