(In fondo all’articolo, aggiornamento del 7 agosto 2012)
E’ tra i Paesi europei che producono e pubblicano maggiormente risultati di ricerca nel mondo. E allo stesso tempo è il Paese che detiene un numero cospicuo di prestigiose e importanti case editrici scientifiche. Se la rivoluzione dell’open science ha investito in pieno il Regno Unito, spingendolo verso la via obbligata dell’accesso libero, il movimento verso l’accesso libero sembra ormai inarrestabile. Intanto, nuovi interrogativi cominciano a sorgere. Come la gestione del Data Mining, che sarà argomento del prossimo articolo.
Se l’Unione Europea sta portando avanti, su più fronti, il processo di apertura alle pubblicazioni scientifiche (come visto nell’articolo precedente di questa serie), il Paese membro che più conta in termini di produzione di pubblicazioni scientifiche e possesso di case editrici scientifiche non sta a guardare. Il Regno Unito, sotto la spinta dei suoi accademici e il movimento innescato dal caso americano sul costo della conoscenza (vedi il primo degli articoli di questa serie sull’Open Science), sta discutendo ampiamente a livello politico su come aprirsi all’open access.
Come abbiamo visto, la discussione sull’apertura degli articoli scientifici al pubblico sta velocemente scivolando da un piano prettamente accademico a uno più politico, coinvolgendo i decisori politici in un’analisi delle questioni economiche e gestionali del problema e nella proposta di eventuali soluzioni che possano garantire la sostenibilità dell’apertura delle pubblicazioni, sia per i governi impegnati a supportare economicamente i ricercatori che intraprendono il cosiddetto Gold Open Access (pagamento di una fee da parte degli autori per pubblicare), sia per le case editrici coinvolte.
Il Regno Unito e i suoi governanti hanno intrapreso il percorso verso l’Open Science attraverso alcune azioni promosse da David Willets, ministro inglese dell’Università e della Scienza. Una linea programmatica in più fasi che ha avuto risonanza oltre i confini dell’isola, consacrando ancora una volta il Regno Unito come un Paese all’avanguardia della ricerca scientifica nella sua complessità.
A inizio maggio, in occasione della riunione annuale dell’Associazione delle case editrici inglesi, Willets ha apertamente dichiarato il suo appoggio all’open access: una mossa coraggiosa di fronte a un uditorio chiaramente ostile alla svolta open. Nonostante lo scetticismo, il ministro inglese ha voluto rassicurare uno dei settori più proficui e imponenti dell’economia inglese: l’apporto delle riviste scientifiche d’eccellenza inglesi, sia dal punto di vista economico che da quello del prestigio nel mondo, non dovrà cessare con il passaggio all’open access, ma dovrà trovare, assieme al governo e ai ricercatori, una nuova strada.
La discussione e il dialogo tra questi stakeholders è stato anche il nodo centrale del gruppo di lavoro voluto da Willets nella primavera 2011 e capitanato da Janet Finch (sociologa dell’Università di Manchester) per esplorare e incrementare le modalità di accesso alle ricerche finanziate con fondi pubblici (Working Group on Expanding Access to Published Research Findings). Il risultato del gruppo di lavoro è stato un rapporto presentato lo scorso 18 giugno in cui considerazioni generali sull’importanza dell’open science per promuovere l’innovazione e il progresso sono state rafforzate da elementi concreti su cui Research Councils e organi decisionali inglesi potrebbero fattivamente lavorare per il passaggio a una ricerca pubblica completamente all’insegna dell’accesso libero.
Ma le azioni del governo inglese non si fermano al Rapporto Finch, premessa importante ma non risolutoria. Willets ha infatti anche assoldato come consigliere Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, primo progetto di enciclopedia collaborativa in rete. Lo scopo? Capire in un tempo massimo di due anni come sfruttare al massimo la rete per la raccolta e la diffusione dei risultati della ricerca anglosassone, aiutando anche a creare delle piattaforme in rete ad hoc e lavorando per l’attuazione delle indicazioni del gruppo di lavoro Finch.
E, allargando l’orizzonte, Jimmy Wales non sarà il solo guest advisor di eccellenza che metterà a disposizione esperienza e competenza ai politici e ai cittadini del Regno Unito. Anche Tim Berners-Lee, “padre” storico del World Wide Web, sarà co-direttore del nuovo Open Data Institute, l’istituzione che aprirà i battenti a settembre sulla gestione degli open data rilasciati dalle amministrazioni inglesi e sul loro utilizzo per creare applicazioni commercialmente sfruttabili.
Le decisioni del governo inglese degli ultimi mesi hanno poi trovato supporto in un clima ampiamente favorevole all’open science. Già da aprile anche la Wellcome Trust, organismo di supporto alla ricerca inglese biomedica (e seconda nel mondo per finanziamenti in questo campo soltanto alla Fondazione di Bill e Melinda Gates) aveva dichiarato di voler finanziare solo ricerche che pubblicano con modalità open. E andando oltre, aveva anche lanciato l’idea di una nuova rivista open access sulle scienze della vita, chiamata eLife: frutto della collaborazione con Howard Hughes Medical Institute e Max Planck Society, la rivista nascerà con lo scopo di competere con riviste del calibro di Science, Nature e PLos One.
Infine, anche la Royal Society inglese lo scorso giugno ha pubblicato un report intitolato “Science as on open enterprise” in cui vengono evidenziati sei campi di azione per sfruttare il potenziale offerto dalle nuove tecnologie e internet per dare vita a una rivoluzione scientifica all’insegna della trasparenza e dall’apertura nei confronti dei cittadini. Un rapporto che punta la sua attenzione sull’importanza di standard condivisi nella diffusione dei dati e informazioni e nell’importanza di creare nuovi strumenti e software per l’analisi dell’enorme quantità di dati ormai prodotti dalla ricerca, aprendo la discussione su come gestire il data mining, nuovo punto caldo del sistema open.
L’approccio inglese, attraverso i diversi strumenti messi in campo dai governanti, ma anche da importanti istituzioni e stakeholders come la Wellcome Trust e la Royal Society, stanno quindi segnando il passo in Europa e nel mondo della rivoluzione dell’open science. Mettendo sempre più in luce che il processo, nato come un movimento di pochi accademici, è diventato un interesse ad ampio respiro di coloro che governano e hanno la responsabilità delle decisioni nel campo della ricerca e della sua comunicazione.
Aggiornamento del 7 agosto 2012:
A distanza di un mese del rapporto Finch, il governo inglese ha risposto accettando pienamente le raccomandazioni espresse dal gruppo di studiosi sull’evoluzione del processo di pubblicazione delle ricerche scientifiche finanziate con fondi pubblici in UK. Accettando anche la conseguenza che aderire all’open access significa studiare nuove formule di finanziamento per sostenere i costi della pubblicazione. Una decisione che accoglie in pieno il modello Gold, con accesso immediato gratuito per tutti alle ricerche e che punta l’orologio verso il 2014, data in cui il passaggio pieno all’accesso libero a tutte le pubblicazioni inglesi si preveda debba essere completato.
In seguito all’annuncio inglese, l’Europa non è stata a guardare e dopo solo due giorni, Neelie Kroes, vice-presidente della Commissione Europea e responsabile per l’Agenda Digitale europea ha svelato i programmi del vecchio continente: entro il 2016 il 60% dei papers finanziati dall’europa saranno liberamente disponibili e il nuovo programma di supporto alla ricerca europea “Horizon 2020” che partirà nel 2014 finanzierà solo progetti che prevedano la pubblicazione dei risultati in modalità open access.
Due svolte importanti che confermano che l’accesso libero alla ricerca non è più soltanto una prospettiva futuribile e ancora distante, ma è ormai parte integrante del cammino presente della scienza e dell’innovazione.
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(Immagine: Omnitruncated 120/600 Cell di Jonathan Gray, Open Knowledge Foundation, da Flickr)