Con un’idea rivoluzionaria in mente, alla fine del 2011, si è costituita ufficialmente a Torino l’associazione Slow Medicine, formata da medici e professionisti la cui attività ruota attorno alla salute.
L’idea è quella di modificare la prospettiva in cui si sta incanalando la medicina moderna che, applicando un approccio riduzionista, scompone il corpo nei singoli organi e attribuisce a ciascun malessere – vero o presunto – una causa esclusivamente biologica e molto precisa, sempre diagnosticabile e resa immancabilmente oggetto di una terapia specifica.
Slow Medicine, al contrario, adotta un approccio prevalentemente sistemico, che mette al centro il paziente, più che il trattamento della singola patologia, nella consapevolezza che alcune infermità non hanno una cura e che, non di rado, la prescrizione di esami, interventi e terapie modifica poco o nulla il corso della malattia, ma incide negativamente sulla qualità della vita e fa lievitare le spese a carico Servizio Sanitario Nazionale.
Per dirla con le parole dei suoi fondatori, Slow Medicine (un nome non casuale, giacché il movimento è in stretta relazione con Slow Food) si impegna per affermare una medicina sobria, rispettosa e giusta. Una medicina quindi libera da condizionamenti economici, che sappia prendersi il tempo necessario per riflettere e dialogare con i pazienti, accogliendone la diversità e rifiutando l’omologazione. Il movimento non intende certo rifiutare il progresso tout court, né promuovere interventi privi di una efficacia dimostrata con i metodi della evidence-based medicine.
L’obiettivo, piuttosto, è usare al meglio le possibilità che sono a disposizione, senza tuttavia rincorrere le novità proposte dalle aziende farmaceutiche e biomedicali, e contemplando anche il non intervento, o l’attesa, fra le possibili opzioni.
Il presupposto teorico al metodo descritto è ben spiegato in un articolo apparso su un numero recente della rivista Janus, scritto dal presidente dell’associazione, Antonio Bonaldi, direttore sanitario dell’Ospedale San Gerardo di Monza: «La maggior parte dei medici […], richiamandosi alla celebre definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è portata a considerare la salute come uno “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”, […ma questa aspirazione], oltre che irrealizzabile, ci espone al serio pericolo di incoraggiare la medicalizzazione della società».
La definizione dell’OMS, osserva Bonaldi, è figlia del clima che si respirava negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, quando la salute era minacciata per lo più da malattie acute, come quelle infettive, che avevano una causa ben individuabile e per le quali, nei decenni successivi, si sono in molti casi trovate terapie efficaci. «Oggi però i problemi della medicina sono diversi» prosegue l’articolo.
Le patologie del nostro secolo sono per lo più croniche e non tutte hanno una terapia risolutiva; le tecniche diagnostiche sono sempre più sofisticate e pervasive; i medici, anche per tutelarsi da possibili accuse di imperizia o negligenza, prescrivono sempre più frequentemente esami non necessari, ai quali tuttavia i pazienti sono ben lieti di sottoporsi. «Sui nostri stessi geni potremmo trovare, fin dalla nascita, le tracce dei nostri difetti e delle nostre future malattie. In questo contesto è difficile immaginare che esista qualcuno di veramente sano» si legge su Janus.
Chiarisce su Scienzainrete Roberto Satolli, medico e giornalista, membro di Slow Medicine: «Fra le tecnologie che si usano con crescente intensità vi sono gli esami diagnostici di ogni tipo, ed è ormai noto che più si cercano le malattie più se ne trovano.
Non solo, ma molte di quelle che si scovano prima che abbiano dato qualsiasi disturbo non si sarebbero in realtà mai manifestate e non avrebbero prodotto nessun problema di salute se non le si fosse cercate». (Questo articolo propone fra l’altro una visione interessante e controcorrente della decisione di Steve Jobs di non farsi operare subito per il tumore che lo aveva colpito).
Dall’esame di quanto sta accadendo, supportato da una letteratura scientifica sempre più critica verso l’approccio “fast”, Slow Medicine ha individuato i “sette veleni” che ammorbano la medicina moderna.
Le opinioni comuni da contrastare, diffuse tanto fra i medici quanto fra i pazienti, sono: che ciò che è nuovo sia sempre migliore; che tutte le procedure mediche siano efficaci e sicure; che lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate permetterà di risolvere ogni problema di salute; che una medicina interventista migliori la qualità della vita; che scoprire una malattia prima che si manifestino i sintomi sia sempre utile; che i fattori di rischio debbano essere sempre controllati con farmaci; che anche stati d’animo ed emozioni debbano rientrare fra le condizioni messe sotto controllo farmacologico.
————————
(foto: Frightened Snails di Mamboman1 da Flickr)