Il 20 aprile 2012, a Firenze, si è svolto il seminario organizzato dalla Fondazione Bassetti nell’ambito del Public Communication of Science and Technology Conference (PCST2012). Al convegno internazionale hanno partecipato scienziati, operatori di istituzioni scientifiche, ricercatori e giornalisti. Pubblichiamo un riassunto degli interventi e il video del seminario.
Indice
Parte 1. (questo post)
Introduzione, Gail Edmondson, Alexander Gerber, video
Parte 2. (post seguente)
Franca Davenport, Ann Grand, dibattito, video, fotografie
Il tema della comunicazione della scienza è stato affrontato molte volte sul nostro sito, come pure in seminari e conferenze promosse dalla Fondazione Bassetti. Il legame con la responsabilità dell’innovazione risiede nel fatto che, costruendo un ponte tra scienza e società, la comunicazione della scienza e della tecnologia influenza l’opinione pubblica e le decisioni politiche, contribuendo così a indirizzare l’intero processo innovativo.
Il titolo scelto dal comitato organizzatore di questa edizione del PCST era «Quality, Honesty and Beauty»: la Fondazione Bassetti ha inteso quindi porre la questione se la comunicazione della scienza e della tecnologia non debba anche essere responsabile.
Nel disegnare il quadro di riferimento per il seminario, abbiamo iniziato da un passaggio che riteniamo necessario: dalla responsabilità individuale del comunicatore a una responsabilità collettiva e più forte del sistema. È possibile che questo passaggio sia più rilevante oggi di quanto lo fosse in passato, perché internet, i social media e la spinta per la trasparenza da parte dell’opinione pubblica rendono sempre più facile l’accesso alle informazioni. Questo nuovo contesto pone una sfida alla comunicazione della scienza.
Abbiamo bisogno di definire un nuovo ruolo per i comunicatori scientifici e di costruire un sistema di comunicazione della scienza consapevole della sua responsabilità.
Chair
Gail Edmondson
Editorial Director of Science|Business.
Introducendo il panel, Gail Edmondson ha sottolineato come le tecnologie moderne stiano cambiando la comunicazione della scienza e della tecnologia. Nel 2002, una sua inchiesta si era focalizzata sul traffico di rifiuti tossici nel Sud Italia. Rapporti di Legambiente e delle forze dell’ordine sottolineavano i possibili rischi per la salute, e la giornalista aveva approfondito in particolare questo aspetto, anche con interviste a scienziati e medici. Alcuni di questi avevano fornito dati allarmanti, per esempio sull’incremento dell’incidenza dei tumori, e tuttavia c’era una certa reticenza a esporsi in prima persona. Anche le autorità centrali italiane, interpellate dalla giornalista, non avevano preso iniziative concrete né assunto posizioni ufficiali. Non fu così possibile fornire sufficienti dati scientifici a supporto della pericolosità della situazione, ma l’articolo fu comunque pubblicato e fu ripreso dai media nazionali. A 10 anni di distanza, Edmondson rileva tuttavia che l’impatto di quella sua inchiesta giornalistica è stato quasi nullo: la mafia controlla ancora il traffico dei rifiuti tossici e la situazione non è cambiata molto.
Gail Edmondson si chiede se le tecnologie odierne permetterebbero a una vicenda come questa di avere una conclusione diversa. I social media e la possibilità di mettere in comunicazione persone interessate al tema – scienziati compresi – potrebbero infatti consentire a inchieste di questo tipo, e più in generale al giornalismo scientifico, di avere una maggiore incisività. Ci si deve però anche interrogare sulle conseguenze di una comunicazione più aperta di risultati che potrebbero allarmare la popolazione e incidere sull’economia.
Alexander Gerber, Innocomm Research Centre
Open science without scientists?
I media tradizionali soffrono la pressione dei social media, ma questa non è necessariamente una minaccia e può rappresentare, anzi, una spinta verso il miglioramento. Di fatto, sebbene i social media, il crowdsourcing, i blog e le altre forme di comunicazione e collaborazione rese possibili da internet siano ormai una realtà, la maggior parte dei giornalisti e dei rappresentanti del mondo accademico ricorre molto poco a questi strumenti. Soltanto il due per cento degli scienziati, per esempio, utilizza le possibilità offerte dai nuovi media. Usare queste tecnologie è certamente impegnativo, perché richiede apertura al dialogo e tempo. Peraltro, è un metodo che crea trasparenza, e la trasparenza è un’opportunità per generare credibilità nelle istituzioni, negli scienziati e nel messaggio che viene convogliato. Secondo Gerber, un sistema della comunicazione che fa uso dei nuovi strumenti ha tuttavia un livello maggiore di responsabilità, che gli deriva proprio dall’acquisizione di una più elevata credibilità.
Gerber passa poi ad analizzare il concetto di responsabilità nelle varie professionalità legate alla comunicazione della scienza. Dai giornalisti, che devono avere la capacità di discriminare fra la “buona” e “cattiva” scienza, agli scienziati, che in un sistema più trasparente non possono esimersi dall’affrontare anche in pubblico il tema dell’incertezza (giacché i ricercatori possono trarre conclusioni diverse anche a partire dagli stessi dati iniziali). Secondo il ricercatore, in questo contesto, il compito dei policy maker è invece quello di incentivare il sistema dell’open science e dell’accesso libero alle informazioni.
Qui sotto una breve presentazione grafica dei concetti esposti da Alexander Gerber.
Il video della prima parte della sessione:
(continua)
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(Immagine: Communication di Joan M. Mas (DailyPic) da Flickr – modificata)