Governi e amministrazioni hanno una nuova parola d’ordine: open data. Dati accessibili e gratuiti che servono a rendere i cittadini più informati e più consapevoli. E a spingerli a essere innovatori, creando applicazioni (apps) per leggere i dati. Ma lasciare l’accesso libero ai dati, in un’ottica globale di responsabilità, è un passo sufficiente?
Se ne sente parlare sempre più spesso e in un’ipotetica classifica delle parole più significative ed emblematiche del 2011 in Italia, probabilmente avrebbero un posto d’onore. Gli Open data, o dati aperti e accessibili senza restrizioni o forme di controllo o proprietà, come suonerebbe una traduzione estesa italiana generalmente non usata, hanno conquistato in questo anno ormai definitivamente i media italiani e non solo.
Con la parola “dati” sicuramente ci si riferisce a dei veri e propri numeri (per esempio, dati sulla mobilità, sugli accatastamenti fatti in un anno, sulla quantità di un certo cibo comperato per gi asili comunali in un dato periodo, etc.), ma anche più estesamente a informazioni di diverso tipo, che possono essere anche di tipo testuale (leggi, regolamenti, etc.). I “data” sono comunque tutti quei pacchetti di informazioni che sia le amministrazioni pubbliche sia le aziende producono quotidianamente a bizzeffe e che spesso, fino a qualche decennio fa, rimanevano relegati in faldoni raccogli-polvere negli archivi aziendali o delle amministrazioni, o più recentemente protetti e mai letti in file e hard disk.
La rivoluzione del processo “open” in più campi, che ha interessato in prima battuta il mondo (e il movimento che lo sosteneva alle spalle) del software libero e poi l’accesso libero tramite internet a informazioni settoriali (l’open access per esempio al mondo della produzione accademica attraverso pubblicazioni scientifiche gratuitamente accessibili da parte dei lettori della rete), ha man mano creato l’esigenza e la consapevolezza in un vasto movimento di cittadini e di istituzioni di rendere aperti i dati prodotti dalle pubbliche amministrazioni, in un processo aperto di trasparenza, scambio e responsabilità da parte sia di chi rende disponibili queste informazioni, sia da parte di chi le “interpreta” e le utilizza. Molti dati, ma non tutti, erano ovviamente già accessibili ai cittadini in altre forme (magari facendone richiesta tramite complicate burocrazie agli enti preposti). Con open data ci si riferisce dunque precisamente alla possibilità, offerta dalla rete, di averli gratuiti e accessibili come una qualunque pagina libera di internet.
Certamente un passaggio fondamentale è stata la decisione nel dicembre 2009 del governo americano, sotto l’amministrazione Obama, di creare un luogo in rete apposito, “l’open government”, dove convogliare i dati prodotti dal ramo esecutivo in forma liberamente e facillmente accessibile ai cittadini (non solo americani), con il sito www.data.gov. Il sito americano oggi fornisce diversi set di dati su differenti argomenti, ma di base sono classificati sotto due categorie: i dati grezzi e i cosiddetti geodata, i dati geospaziali o geolocalizzati che di fatto collegano numeri e informazioni a un localizzatore spaziale sul territorio americano.
Lo sprone fornito dall’onda lunga dell’Open Government americano ha investito altri governi (e atre amministrazioni minori), a cominciare dal Regno Unito che si è dotata di una struttura similare: www.data.gov.uk.
Lo scopo di questi strumenti è chiaro, come cita anche la dichiarazione di intenti del portale inglese: le informazioni rese pubbliche dal Governo (che sia inglese o americano o di un altro Stato) servono ad aiutare i cittadini a capire come i governi lavorino e come le decisioni vengano prese, per poi, in ultima analisi, fornire suggerimenti di policies agli stessi governi. In pratica, la teoria alla base è “un cittadino correttamente informato decide meglio e collabora meglio nella gestione del proprio Stato”.
L’Europa come Unione Europea ha iniziato il suo cammino di apertura dei dati nel 2010, e in Italia alcuni regioni hanno già raccolto il testimone dell’ondata open data: il Piemonte già dal 2010 ha un sito dedicato e quest’anno è stata raggiunta anche dall’Emilia-Romagna. Il Governo Italiano, sotto spinta del precedente governo Berlusconi, su impulso dell’allora ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, ha aperto i battenti del sito www.dati.gov.it a metà ottobre 2011.
Quasi tutti i portali citati, oltre a mettere a disposizione dati grezzi assieme a dati geolocalizzati, offrono la possibilità di “navigare” attraverso la miriade di numeri mediante apps o applicazioni (per smartphones o tabs) fornite dalle stesse amministrazioni. Una sorta di strumento di ricognizione che ordina e facilita la lettura delle informazioni e le organizza in un materiale visualizzabile e facilmente comprensibile per il cittadino. In alcuni siti, i cittadini stessi possono proporre apps da condividere che abbiano lo stesso obiettivo.
In ogni caso, una volta rilasciati, i dati sono comunque a disposizione di tutti, anche per lo sviluppo di applicazioni commerciali (come appunto le apps che, per esempio, utilizzano i dati forniti dagli enti amministrativi che si occupano di mobilità stradale e permettono la geolocalizzazione di aree maggiormente trafficate nella propria città) in un’ottica di trasparenza e allo stesso tempo incentivo all’innovazione prettamente “locale”.
A primo acchito, i vantaggi dell’open data sembrano e sono tanti, ma cominciano ad affacciarsi i primi dubbi, che non invalidano la bontà della filosofia alla base, ma se mai dovranno servire per irrobustire i meccanismi di gestione. La difficoltà di lettura dei dati, secondo alcuni studiosi, potrebbe acuire il cosiddetto digital divide, in una sua particolare forma: solo programmatori esperti o studiosi di statistica potrebbero avere la possibilità di usare il dato grezzo per una lettura completamente autonoma, senza il “filtro” di apps o meccanismi di lettura o visualizzazione da parte delle stesse amministrazioni o terzi.
La sfida più grande che il movimento open data si trova oggi ad affrontare è quindi la diffusione e l’utilizzo reale da parte dei cittadini di questi dati. Se davvero lo scopo è rendere il singolo cittadino più e meglio informato, mettergli a libera disposizione i dati potrebbe non bastare. E’ certamente un passo importante, che ormai tutti i governi e le amministrazioni stanno compiendo, ma probabilmente, ancora non risolutivo e sufficiente in un’ottica globale di responsabilità.
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Un video sul caso Piemonte:
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(foto: open data discussions di Wrote – Mathias Klang – da Flickr)