Il 14 e 15 novembre 2011 si è svolto a Piacenza, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore il convegno “Innovating Food, Innovating the Law“.
Pubblichiamo le fotografie dell’evento, il report di Paola Sobbrio (qui sotto a seguire) e, nei prossimi giorni, i video suddivisi per interventi con le slide utilizzate nelle relazioni.
Il convegno Innovating Food, Innovating the Law. An interdisciplinary approach to the challanges of the agrofood sector.
di Paola Sobbrio.
seconda parte (qui la prima e la terza parte).
La seconda sessione si è concentrata sui problemi della sicurezza alimentare. Molte questioni di sicurezza sono filtrate dall’etichettatura. Il tema stesso dell’innovazione è oggi legato alla richiesta di un’etichettatura sempre più trasparente, anche relativamente alla tutela da rischi derivanti dalla mancanza di dati certi e da richieste di sicurezza a lungo termine. In particolare, in Europa ciò si è verificato dopo l’emergenza della mucca pazza, che ha prodotto una corsa al riempimento delle falle del sistema normativo. Una situazione analoga si è determinata in Cina in seguito allo scandalo del latte contaminato da melamina nel 2008. Sono entrati, ormai, a far parte integrante del sistema giuridico cinese le espressioni risk assessment, risk management e risk government. La Cina, ha affermato Du Gangjian, della facoltà di Giurisprudenza di Hunan, Cina, per la sua recente crescita economica ed il suo avvicinamento ai modelli alimentari occidentali, nonché in seguito allo scandalo latte, si è dotata di una cospicua legislazione sulla sicurezza alimentare. Questa, tuttavia, ha difficoltà d’implementazione a causa delle tradizioni alimentari che persistono in gran parte della Cina rurale. La legislazione cinese, pur tenendo conto della particolarità dell’ambito di applicazione, si è ispirata ai modelli occidentali di regolamentazione del cibo e di sicurezza alimentare, tra cui la creazione di un’agenzia di esperti che ha lo stesso nome dell’ omologa agenzia statunitense, la FDA. L’intervento di Du Gangjian ricorda, ancora una volta, come la globalizzazione nell’innovazione comporti anche una globalizzazione della regolamentazione, soprattutto nel settore della sicurezza alimentare, che non riguarda solo la contraffazione degli alimenti, ma soprattutto il potenziale diffondersi di pandemie che non conoscono confini geografici.
Analogamente, Ellen Vos, dell’Università di Maastricht, ha richiamato il tema della globalizzazione nelle differenze e nelle affinità esistenti tra OGM e nanofoods. Una di queste affinità è proprio data dalle implicazioni a livello globale che da tali tecnologie derivano. Le altre sono l’incertezza scientifica e la diffidenza del pubblico. Tuttavia, mentre gli OGM costituiscono un settore ben definito e regolamentato, lo stesso non vale per i nanofoods, che non solo non possiedono una definizione normativa(ma solo una regolamentazione intersettoriale), ma che soprattutto sono forse già sul mercato. L’incipiente politica di regolazione delle nanotecnologie, diversamente da quanto avvenuto con le biotecnologie, sembra tesa a sostituire al vecchio modello di gestione dei rischi un nuovo modello basato sul coinvolgimento del pubblico, sul riconoscimento dell’incertezza e su un contesto decisionale più ampio. Per raggiungere questi obiettivi è necessario considerare altri valori oltre alla scienza e tenere conto di ulteriori interessi ugualmente importanti. Questo è possibile passando da un modello, quello classico e obsoleto di comando e controllo, che attribuisce un ruolo centrale e preponderante agli esperti, ad uno di governance, in cui appunto vengono tenuti in considerazione altri interessi possibili. Nel settore del cibo si è creata una situazione per la quale l’Efsa indica alla Commissione Europea quale strada seguire, determinando così un’ “europeizzazione della scienza” ed una “scientifizzazione della regolamentazione” del cibo in Europa.
In questo contesto l’innovazione giuridica, ha ricordato Ferdinando Albisinni, dell’Università della Tuscia, può essere interpretata o come innovazione reattiva – una reazione ad un’emergenza, come nel caso della mucca pazza – oppure come innovazione proattiva – vale a dire può agire per favorire il cambiamento attraverso le norme, come nel caso della legislazione sull’etichettatura e la tracciabilità. In entrambi i casi non si può considerare una modalità di intervento regolativo disgiunta dall’altra, poiché esse sono collegate tra loro e costituiscono un sistema interconnesso nel settore del cibo. A questa interconnessione sono funzionali, ad esempio, il principio di precauzione o la tracciabilità, che percorrono trasversalmente tutte le normative inerenti il cibo. Tuttavia, sebbene il cibo sia da considerarsi un bene pubblico, sono ancora molteplici gli strumenti privatistici che fungono da strumento di rassicurazione del consumatore. Tra questi ci sono le certificazioni, argomento approfondito da Matteo Ferrari, dell’Università di Trento. Alle certificazioni si ricorre in modo crescente ed esse pongono il problema della responsabilità degli organismi di certificazione privati. I differenti tipi di certificazione usati nel settore del cibo e la natura delle informazioni che si generano e che vengono trasmesse in seguito al processo di certificazione pongono una serie di problemi di difficile risoluzione. A fronte del dilagare delle certificazioni come collegamento tra prodotto e fiducia del consumatore, il ruolo dell’etichetta torna ad essere preminente laddove il prodotto sia il frutto di un’innovazione tecnologica che comporta dei rischi perché rientrante nel novero dei novelfood ( OGM, nanofood, ecc…).
Sabrina Carciotto, dell’Università di Catania, ha evidenziato, invece, come l’etichettatura e la tracciabilità dei prodotti “a rischio” non siano altro che un’applicazione “sul mercato” del principio di precauzione. Quando il prodotto arriva sul mercato il principio di precauzione si traduce di fatto nell’indicazione in etichetta dei componenti del prodotto stesso e del processo da cui il prodotto è scaturito,la c.d tracciabilità. Il consumatore, una volta informato, viene, di fatto, investito dei rischi derivanti dall’acquisto e dal successivo consumo di quel prodotto. Per questo motivo l’armonizzazione legislativa dell’etichettatura e della tracciabilità non è solo volta ad assicurare l’informazione al consumatore, ma anche a prevenire le distorsioni sul mercato di determinati prodotti.
La tracciabilità, tuttavia, non serve solo ai consumatori ma anche ai produttori, come ha ricordato Luca Lanini, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Infatti, i produttori, nel momento in cui immettono sul mercato un prodotto, qualora si verifichi un danno ad esso ricollegabile, sono in grado attraverso la tracciabilità di ritirare dal mercato selettivamente solo i pezzi dannosi. Tutto ciò è possibile grazie all’innovazione, che attiene anche alla fase di controllo successivo sui prodotti immessi in circolazione. Questa possibilità si traduce in una rassicurazione del consumatore su tempi più ridotti d’individuazione del danno da parte del produttore e su una, conseguente, risposta più rapida di intervento.
Alberto Alemanno, École des hautes études commerciales de Paris, ha sottolineato come la politica della gestione del rischio in Europa sia inadeguata ad affrontare le nuove sfide innovative poste dal cibo, sia nel caso dei nanofoods che in quello degli alimenti provenienti da animali clonati. Non è ancora chiaro, infatti, se tale incapacità derivi dalla volontà di “uccidere” l’innovazione attraverso narrazioni “paralizzanti” oppure da una visione “olistica” che si riflette nella regolamentazione europea dei rischi derivanti dal cibo. La questione da risolvere è, quindi, se l’Europa voglia passare da una visione limitata e science-based della comprensione e policy del rischio ad un concetto più ampio, inclusivo, ricco ed inevitabilmente contestato.
Aldo Prandini, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha posto l’attenzione sul sistema d’allerta rapido per rischi derivanti da cibo e mangimi (denominato con acronimo inglese RASFF), che condensa in sé tutti i problemi di rischio e sicurezza evidenziati nel corso del convegno. Tale sistema è costituito da un network che si attiva subito in caso di allarmi alimentari. Attraverso questo si consente a ciascun Stato Membro di poter notificare un allarme di rischio verificatosi sul proprio territorio e consentire di isolare i casi ed anche di accertare possibili altri casi in altri paesi. Istituito dal regolamento 178/2002, fanno parte del RASFF la Commissione Europea, l’Efsa e l’Efta. Nel 2010 sono state effettuate 2873 notifiche relative al cibo e solo 190 relative ai mangimi. Di queste, 1169 sono state classificate come informazioni, 573 come allarmi e 1549 come un “ibrido” tra informazione e allarme. Solo l’1% è stato sottoposto ad un controllo da parte delle autorità pubbliche. Prandini ha richiamato il caso del latte proveniente dalla Cina e contaminato da melanina. Il sistema, come evidenziato, soffre di gravi lacune, tra cui la mancanza di un metodo standardizzato, un sistema complesso d’informazioni ed anche una insufficiente trasparenza verso i consumatori.
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