La Fondazione Giannino Bassetti è tra gli sponsor del settimo Congresso Europeo di Filosofia Analitica (ECAP – European Congress of Analytic Philosophy) che avrà luogo a Milano nei primi giorni di settembre presso l’Università San Raffaele e l’Università degli Studi di Milano.
Dando continuità alla tradizione delle lecture promosse dalla Fondazione, abbiamo scelto di rivolgerci alla platea del Congresso, riunita in sessione plenaria, invitando a intervenire “uno dei più noti scienziati cognitivi e uno dei più influenti antropologi della scena culturale attuale“: Dan Sperber (Jean Nicod Institute, Paris & International Cognition and Cultural Institute).
Il 3 settembre 2011 Sperber parlerà sul tema The Deconstruction of Social Unreality. Non è questa la sede per anticipare i contenuti della relazione; nelle poche righe seguenti vorremmo piuttosto esplicitare – anche soltanto in forma di suggestione – alcuni dei motivi che rendono il pensiero di Sperber interessante dal peculiare punto di osservazione della Fondazione Bassetti, la cui mission è la responsabilità nell’innovazione. Saremo concisi e necessariamente parziali; i contributi di Angela Simone e Margherita Fronte, oltre al report che pubblicheremo nei giorni successivi al congresso, consentiranno di approfondire il pensiero di Sperber e di collocarlo nei percorsi già avviati sul sito.
Qui appunteremo l’attenzione su due temi di fondo che sottendono ai lavori dell’autore e sono cari all’elaborazione della Fondazione: lo studio dei rapporti tra individuo e società (spazio entro il quale, riteniamo, si esercita la categoria di responsabilità) e la tensione al superamento delle partizioni disciplinari, che egli sviluppa nel pluridecennale tentativo di porre il “metodo scientifico” in dialogo con le scienze sociali.
I suoi libri – tra i quali Le Symbolisme en général (Hermann 1974), Le Savoir des anthropologues (Hermann 1982) e La Contagion des Idées (Odile Jacob 1996) – delineano una concezione della cultura raccolta nella formula epidemiologia della rappresentazione; parallelamente, Sperber ha lavorato con Deirdre Wilson (Università di Londra) pubblicando La Pertinence, Communication et Cognition (Minuit 1989, poi riedita in inglese sotto il titolo Relevance: Communication and Cognition Second Edition, Blackwell 1995) e Relevance and meaning (Cambridge UP). Da questi volumi emerge una teoria cognitiva della comunicazione, che gli autori hanno battezzato teoria della pertinenza.
Nella postfazione al libro di Sperber L’epidemiologia delle credenze, Gloria Origgi rileva come, per il nostro, lo studio della cultura non possa prescindere da quello della psicologia individuale. Si tratta di un’innovazione rispetto ad approcci sedimentati all’interno di scuole antropologiche pur tra loro differenti. Secondo Sperber, per raggiungere una fondazione naturalistica dell’antropologia occorre infatti riconsiderare il ruolo dei processi psicologici nella cultura. Citiamo da Origgi: “Compito delle scienze sociali è spiegare i meccanismi attraverso i quali una rappresentazione mentale si trasforma in una rappresentazione pubblica, e i motivi per cui certe rappresentazioni pubbliche diventano stabili e diffuse in una popolazione, vale a dire come esse diventano cultura“. Tanto da condurre l’autore a intraprendere uno studio epidemiologico delle rappresentazioni, nell’intento di comprendere “perché certe rappresentazioni sono più contagiose di altre“. Processi mentali e rapporti sociali – mente e società – si influenzano reciprocamente.
Del resto, ha spiegato lo stesso Sperber intervistato da Piero Perconti, “alla base sia dell’interesse che ho coltivato da più tempo verso le scienze sociali sia di quello più recente rivolto verso le scienze cognitive ci sono motivazioni legate alla sfera politica“. La Fondazione Giannino Bassetti muove da più di dieci anni sul crinale, talmente sottile da farci sospettare della sua reale esistenza, tra scienza e società (su questo rimandiamo al materiale disponibile sul nostro sito e alla lettura del paper di Massimiano Bucchi Scientisti e antiscientisti. Perchè scienza e società non si capiscono, giugno 2009).
Abbiamo più volte preso atto – e ribadito in sede pubblica, forti di una serrata frequentazione con scienziati sociali formati in discipline differenti – di quanto la “politicità” della nostra mission (responsabilizzare l’innovazione) sia un tema che dovrebbe contaminare le scienze sociali. E spesso le nostre conversazioni hanno avuto interlocutori attenti tra gli antropologi: ad esempio in occasione del Meeting 2010 dell’ American Anthropological Association, quando Jeff Ubois ha presentato, a nome della Fondazione, il paper Responsible Innovation / Sustainable Innovation. Registriamo ora un allargamento della platea sensibile al tema, come documenta il recente convegno internazionale – finanziato dal governo olandese – intitolato proprio Responsible Innovation Conference. Per dirla con Piero Bassetti, “Abbiamo scoperto che sull’isola ci sono altri“.
Sperber, letto con le “nostre” lenti, ci parla di questa ibridazione e di come un programma di ricerca dal respiro lungo (almeno quanto la sua carriera, sintetizzata nell’intervista a Perconti) possa farsene carico senza andare a detrimento dei canoni propri del mondo accademico. È ancora l’autore a richiamarci, retrospettivamente, su quanto l’idea di una “utilizzazione” delle scienze sociali per agire politicamente nella società evochi il topos della responsabilità: “Le conoscenze scientifiche possono essere una bussola efficace per quelle azioni pubbliche che sono rivolte verso cambiamenti riformistici nel breve periodo. Ma quando si coltivano speranze di trasformazione radicale della società, allora bisogna ammettere che la comprensione del mondo non consente di discriminare tra le azioni giuste e quelle che non lo sono”.
Anzi, potremmo affermare che queste affermazioni di Sperber rappresentano una premessa alla “ragion d’essere” della Fondazione Bassetti, sfidata dalle frontiere della tecnoscienza e della neuroetica e, proprio per questo, permeabile a tutti gli ambiti di azione che definiscono il nuovo assetto della polis: un ventaglio che, dai problemi posti dalla vendita al dettaglio di test genetici in Usa (si veda sul sito FGB il report del seminario di Margaret Curnutte) si allarga fino al design, nelle sue declinazioni orientate alla ideazione di nuovi servizi collettivi attraverso il tipo di innovazione che abbiamo definito poiesis intensive.
Ascolteremo Dan Sperber, dunque, anche per circoscrivere meglio il rapporto tra individuo e società, attenti a recepire ogni riflessione che possa aiutarci nel dar seguito alle considerazioni di fondo che abbiamo proposto solo pochi anni fa:
“Come afferma Richard Nelson (…) ormai in tutti i campi la scienza moderna deve pagare un grosso tributo alla tecnologia per potersi realizzare sperimentalmente. Per questo esige un intenso negoziato con il potere. (…)
In sostanza, è pericoloso non preoccuparsi di come l’innovazione, cioè la combinazione tra scienza e potere, è oggi creata e finalizzata. Chi la indirizza? Chi la gestisce? Chi ne ha la responsabilità? (…)
E ricordiamoci che dire responsabilità non significa solo evocare responsabilità individuali. Vuol dire riferirsi anche alle responsabilità comunitarie della politica. (…) È compito della politica stabilire il senso, cioè la direzione, del più generale impegno comunitario e le relative regole.”
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foto: Whiteboard Philosophy di thewind da Flickr