Ormai da quasi vent’anni il movimento per l’open access nell’editoria scientifica e nella gestione dei dati scientifici sta cercando di cambiare il modo in cui sapere, informazioni e conoscenza vengono condivisi da chi fa ricerca. Dal 1993 a oggi sono nate, per esempio, migliaia di riviste scientifiche online che garantiscono a chiunque la possibilità di accedere ai contenuti pubblicati. Nello stesso periodo le maggiori istituzioni scientifiche pubbliche hanno adottato progressivamente politiche che favoriscono o esigono la pubblicazione dei dati o dei risultati delle ricerche in database open access come PubMed o GenBank.
Questo fenomeno si basa naturalmente sulle innovazioni tecnologiche che grazie all’affermazione di internet come mezzo di comunicazione principale hanno reso possibile un modello di pubblicazione alternativo a quello classico che si è affermato nel secolo scorso, basato su riviste di proprietà di editori privati, for profit, e ad accesso subordinato al pagamento di un abbonamento. In fondo non si tratta di una novità. L’introduzione di un nuovo medium ha sempre accompagnato le trasformazioni delle modalità di produzione e comunicazione del sapere. L’affermazione della stampa a caratteri mobili, per esempio, è stata parte integrante della rivoluzione scientifica, rendendo possibile il passaggio dalle forme di comunicazione epistolare che caratterizzavano le prime comunità scientifiche moderne alla nascita di un sistema di riviste che ha ampliato le possibilità di circolazione, condivisione e controllo del sapere.
Del resto il problema dell’accesso alle informazioni e lo scontro tra segretezza e trasparenza, restrizioni e condivisione, sono importanti terreni di conflitto sui quali si decide non solo chi può fare scienza e con quali mezzi, ma anche chi possiede e controlla i risultati della ricerca. Per questo l’approccio di molti sostenitori dell’open access, che credono che un nuovo modello sia reso possibile dalla somma delle potenzialità della rete e dell’etica degli scienziati basata su condivisione e disinteresse, è debole. Infatti nega l’importanza delle dinamiche di potere e di fattori socioeconomici che determinano gli incentivi cui gli scienziati sono sottoposti. Negli anni quaranta Robert Merton, il fondatore della sociologia della scienza, il comunitarismo, cioè la condivisione dei dati scientifici come bene comune che deve essere messo gratuitamente a disposizione della comunità, tra le norme che caratterizzano l’etica dello scienziato accademico e che includono disinteresse, universalismo e scetticismo organizzato. Anche se le norme mertoniane sono state criticate e non possono essere considerate una descrizione efficace del comportamento dei ricercatori, esse erano efficaci perché davano agli scienziati strumenti per lavorare all’interno di uno specifico contratto tra la scienza e la società.
Oggi non solo i media a disposizione, ma anche le dinamiche sociali ed economiche della scienza sono cambiate. Certo, la rete ha reso possibile la nascita di un modello alternativo di editoria scientifica fondato su pratiche di pubblicazione open access, cioè liberamente accessibile da chiunque, gratuitamente e senza restrizioni. Ma oltre a garantire una migliore circolazione delle informazioni, la pubblicazione online risponde anche al problema del potere nella gestione dei processi di comunicazione: il monopolio degli editori commerciali aveva sottratto agli scienziati il controllo diretto delle dinamiche di circolazione del sapere. Ebbene, negli ultimi quindici anni diverse comunità scientifiche si sono rese protagoniste in prima persona del fenomeno della pubblicazione scientifica online e open access. Hanno reperito i finanziamenti, studiato le soluzioni tecnologiche e comunicative, e scelto le strategie di nuovi progetti editoriali online.
In Italia c’è il caso della SISSA di Trieste, la cui comunità di fisici delle alte energie ha lanciato nel 1997 il Journal of high energy physics una delle riviste dell’era pionieristica della pubblicazione scientifica online. La SISSA ha anche partecipato alla nascita di arXiv, il database di preprint, cioè di studi non ancora pubblicati, che è da alcuni anni il media per eccellenza per chi si occupa di matematica, fisica, informatica, biologia computazionale eccetera.
A quali bisogni risponde quindi la partecipazione diretta delle comunità di scienziati nell’immaginare e rendere possibile un progetto di editoria scientifica online e open access? Su questa domanda si potrebbe discutere a lungo. Ma di certo non ci si può limitare a evocare una mitica etica della libera condivisione. Piuttosto, occorre prendere in considerazione ii cambiamenti che una gestione diretta della comunicazione da parte dei ricercatori, per esempio senza mediatori commerciali, ha sulla scienza e sulle sue dinamiche di potere. Peraltro la condivisione in forma aperta non implica il rispetto della norma del disinteresse. Sempre più imprese private, nella ricerca genetica come nell’innovazione di prodotto tecnologico, scelgono di usare la rete come strumento per condividere informazioni e conoscenze. E lo fanno come parte di un preciso modello di innovazione teso al profitto.
Così come già si fa nel mondo del software, dove l’open source è un modello di business ben consolidato, anche nella scienza bisogna andare oltre la dicotomia aperto/chiuso e invece concentrarsi sul capire chi beneficia, sia in termini economici, sia in termini di potere, della gestione dei flussi di informazione. E di come queste diverse modalità di gestione siano in grado di cambiare il modo in cui il sapere scientifico è non solo distribuito ma anche prodotto.
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(foto: “Teaching Open Source Practices, Version 4.0” di Opensourceway da Flickr)