Il settore dell’energia è uno di quelli nel quale è lecito aspettarsi, nei prossimi anni, un rapido incremento del tasso di innovazione. E questo per due fatti, ampiamente previsti dagli scienziati da almeno una ventina di anni, ai quali negli ultimi mesi si sono unite situazioni che hanno reso ancora più urgente un cambio rapido della rotta energetica. I due fenomeni noti da tempo sono l’esaurimento delle risorse fossili su cui si è basato il nostro sviluppo, dalla Rivoluzione industriale a oggi, e il cambiamento climatico, che già incide in modo significativo sull’ambiente e sulle società umane, specie nelle regioni più fragili del mondo, e i cui effetti sono destinati ad aumentare se non si prenderanno provvedimenti seri e tempestivi per limitare l’immissione di gas serra nell’atmosfera.
Gli eventi contingenti sono invece: le rivolte e le guerre che stanno interessando i Paesi arabi (per fare un esempio, la produzione libica di petrolio, che di solito è di 1,7 milioni di barili al giorno, si è quasi azzerata), il disastro di Fukushima, che ha reso evidenti limiti dell’energia nucleare, e la siccità che a partire da gennaio ha colpito vaste regioni del mondo, e che ha ridotto drasticamente la produzione di energia idroelettrica, specie in Cina.
Un articolo pubblicato dall’esperto di sicurezza globale Michael Klare su Tom Dispatch illustra bene questi tre aspetti, fornendo un quadro complessivo, dal quale emerge chiaramente che una risposta ai problemi energetici mondiali è più che mai urgente.
Questa risposta dovrà basarsi su un’innovazione responsabile, che non faccia ricadere sulle generazioni future il carico delle nostre scelte, che rispetti l’ambiente, e che garantisca al contempo il benessere e lo sviluppo delle società umane, in particolare nei Paesi poveri. Questi requisiti escludono quindi il ricorso al nucleare, se non altro perché il problema delle scorie non è ancora stato risolto e ricadrebbe come un macigno su chi ci sarà dopo di noi (è stato fatto notare che se l’uomo di Neanderthal avesse costruito centrali, noi saremmo ancora lì a smaltire le sue scorie). Ma esclude anche i combustibili fossili – o, almeno, quelli che inquinano di più, specie se non accompagnati da metodi di cattura e sequestro dell’anidride carbonica.
La quadratura del cerchio sembra impossibile, eppure nei mesi che hanno seguito il disastro di Fukushima sono emersi scenari che escludono il ricorso al nucleare e, al contempo, hanno l’ambizione di limitare molto l’immissione di gas serra in atmosfera. A questi scenari hanno deciso di puntare la Germania, che spegnerà tutte le sue centrali entro il 2022, la Svizzera, che farà altrettanto entro il 2034 e il Belgio, che uscirà dal nucleare entro il 2025. La Polonia ha invece deciso di rivedere i suoi piani, che prevedevano la prima centrale attiva per il 2025, mentre una rivalutazione della questione è in corso anche in Spagna, Cina e Stati Uniti, che hanno deciso di incrementare le risorse per le energie rinnovabili (ma anche il ricorso ad alcune fonti fossili, come il carbone e il gas di scisto, la cui estrazione è fortemente nociva per l’ambiente). L’Italia, dopo il referendum, non ha altra scelta.
Ma è possibile fare a meno del nucleare attuando al contempo una politica energetica che rispetti l’ambiente? Sull’Indipendent, l’economista Hamish McRae ci ricorda che «il dato più evidente, ma spesso trascurato, è che il nucleare genera solo una piccola parte del fabbisogno mondiale di energia primaria, il 6 per cento». E che gli scenari futuri, anche prima di Fukushima, non prevedevano un incremento di quella quota. Peraltro, gli studi non prevedono neppure un aumento significativo delle rinnovabili, sebbene il mondo abbia bisogno proprio di questo per arginare i cambiamenti climatici, ma sostengono che almeno fino al 2050 continueremo a basarci sulle fonti fossili, raschiando – è il caso di dirlo – il fondo del barile delle risorse del pianeta.
McRae auspica quindi una «rivoluzione energetica, simile a quella che si è verificata nel settore delle comunicazioni», e sostiene che la decisione tedesca potrebbe esserne l’innesco. Nella sua visione, l’incremento delle rinnovabili andrebbe affiancato a misure per il risparmio e l’efficienza energetica.
Tenendo conto dell’incremento della domanda di energia previsto da qui al 2050, Mark Jacobson e Mark Delucchi, rispettivamente dell’Università di Stanford e di quella della California, hanno provato a escludere dal panorama energetico futuro il nucleare e le fonti fossili, chiedendosi se il mondo potrà davvero basare il suo sviluppo sulle sole rinnovabili e sul risparmio energetico. Lo studio, pubblicato sul numero di marzo 2011 della rivista Energy Policy (il pdf si può scaricare a pagamento) sostiene che si può rispondere a tutta la domanda mondiale di energia solo con “wind, water and solar” (WWS). Lo scenario prevede che la produzione energetica sia per il 9 per cento a carico dell’acqua (ideroelettrico, maree e onde), per il 51 per cento del vento e per il 40 per cento del sole. Di seguito, la quantificazione del numero di impianti:
Turbine eoliche da 5 MW: 3,8 milioni
Centrali solari a concentrazione da 300 MW: 49.000
Centrali solari fotovoltaiche da 300 MW: 40.000
Pannelli solari per abitazione privata da 3 MW: 1,7 miliardi
Centrali geotermiche da 100 MW: 5.350
Nuove centrali idroelettriche da 1.300 MW: 270
Sistemi di generazione a moto ondoso da 0,75 MW: 720.000
Turbine mareomotrici da 1 MW: 490.000
Il tutto comporterebbe un’occupazione aggiuntiva di suolo dell’1 per cento rispetto a quello attuale, ma soprattutto implicherebbe una completa rivoluzione dei processi nella mobilità (da trasformare in elettrica e a idrogeno), nell’accumulazione e nel trasporto dell’energia.
Ci si dovrebbe infatti dotare di una smart grid (rete intelligente) per consentire il trasporto di energia proveniente da molti punti distribuiti capillarmente sul territorio, e nuovi sistemi di accumulo (batterie, volani, produzione di idrogeno, ecc.) dell’energia prodotta in modo intermittente dal fotovoltaico e dall’eolico. Strategici, da questo punto di vista sarebbero anche gli impianti solari a concentrazione (da sostituire alle vecchie centrali termoelettriche) che consentono l’accumulo di energia.
Secondo Delucchi e Jacobson, questo scenario non comporta né un aumento complessivo di costi né grandi rivoluzioni tecniche, ma un completo cambiamento di rotta politica e sociale. Andrebbero ovviamente soppressi tutti gli incentivi per le fonti fossili (che oggi ammontano a 312 miliardi di dollari all’anno), penalizzandole anzi con severe carbon tax, mentre andrebbero aumentati gli incentivi per lo sviluppo delle rinnovabili (che oggi sono di 57 miliardi all’anno).
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(foto: Spagna: concentratore Solare termodinamico di tomcorsan da Flickr)