La pratica di ricerca e selezione del personale da parte di società di consulenza aziendale risulta essere una innovazione dai risvolti complessi che non può precludere riflessioni in ambito di responsabilità.
Risorse Umane e responsabilità
di Giuditta Brasca.
Le ricerche di Hawthorne, la nascita della Scuola delle Human Relations, i dibattiti accademici della metà del ‘900 e le trasformazioni economiche e di mercato, intervenute soprattutto dopo gli anni Settanta, che descriverò nel prossimo articolo, hanno portato a definire nuove modalità di organizzazione e di gestione aziendale, iniziando a formulare e a rendere concreto un nuovo tipo di filosofia manageriale: si è cominciato a parlare di Risorse Umane e a pensare in modo diverso al significato ed al valore delle persone impiegate nel contesto d’impresa. Questo, a mio parere, rappresenta, e può essere definito a tutti gli effetti, un processo innovativo.
L’innovazione a cui faccio riferimento, teorica e pratica, sta nella centralità inedita data alla persona, intesa nella sua individualità, preziosità e in tutti i suoi aspetti relazionali e di competenze, come elementi determinanti dal punto di vista creativo (nel senso particolare di ingegnoso, immaginoso, brillante e nel senso lato di pertinente alla creazione, soggetto creatore, che può creare). Il tema del valore e della valorizzazione della persona all’interno della realtà d’impresa ha trovato compimento nel concetto di Risorsa Umana, concepita come capitale fondamentale e patrimonio dell’azienda. L’idea di Risorsa Umana non faceva parte dell’approccio e della visione imprenditoriale tipici d’epoca fordista.
Il discorso sulla responsabilità dell’innovazione che ne deriva, e che vi è strettamente legato, riguarda proprio il nuovo modo di impiegare le risorse, alla luce delle mutate caratteristiche del mercato e dello sguardo “umano” con cui si interpretano le risorse stesse. Si tratta di un problema insieme pratico e filosofico.
Mi spiego attraverso alcuni esempi tratti dalle testimonianze raccolte nel corso delle interviste per la mia ricerca. Una delle questioni con cui fin dagli inizi mi sono dibattuta, e che ho riproposto ogni volta ai miei intervistati, è stata quella della possibile compatibilità tra il concetto di valorizzazione, patrimonializzazione e fidelizzazione delle persone-risorse in azienda e la condizione di mutevolezza e volubilità dell’attuale mercato del lavoro. In base ad una prima istintiva e spontanea considerazione, mi era sembrato logico pensare che i due fenomeni fossero per definizione incompatibili e ho riproposto costantemente il problema in occasione di tutti gli incontri. Il fatto è che, inconsciamente, davo per scontata l’inconciliabilità di una retorica volta alla valorizzazione e fidelizzazione sempre più accentuata delle singole persone in azienda, ed alla patrimonializzazione delle loro competenze, con lo sviluppo di un panorama economico in cui la circolazione di queste stesse persone si fa sempre più intensa e flessibile.
Le lunghe e dense testimonianze dei miei interlocutori hanno riportato ad un nodo cruciale della questione, emerso più volte e a più riprese: a fronte di un panorama economico di sempre maggiore flessibilità e volubilità, la “cultura delle Risorse Umane” è ulteriormente giustificata.
Tengo a riproporne alcuni frammenti esemplari:
L.C. (Consulente di Direzione) e M.C. (cacciatrice di teste):
L.C.: Vorrei iniziare dalle Risorse Umane. Allora, l’azienda è fatta di persone e le persone sono il patrimonio dell’azienda. Un tempo i legami tra la persona e l’azienda erano molto più stabili e quindi la gestione delle persone era organizzata per schemi molto più generali. Bisognava assicurare che ci fossero delle carriere all’interno dell’azienda. La persona veniva assunta e portata avanti fino alla fine attraverso tutti i passaggi. […] Nella situazione attuale invece i rapporti tra persona e azienda sono molto più fluidi e precari e questo comporta un’accentuazione della necessità di gestire le persone per evitare di perderle. Questo vuol dire che la gestione delle risorse deve essere molto più sviluppata in questo momento perché se io ti assumo e tu sei precario e non c’è un legame stabile tra di noi, io devo ogni giorno negoziare il fatto che tu rimanga con me. […] Diciamo che mentre prima i numeri erano tenuti in piedi da situazioni stabili adesso il tutto è molto più precario il che giustifica ancora di più il lavoro della gestione delle persone e la necessità di gestirle meglio per evitare che l’azienda ne abbia dei danni. Sorge quindi la necessità di fare non tanto degli schemi generali all’interno dell’azienda, ma di creare dei progetti con e su le singole persone che interessano all’azienda per mantenerle. è come nel matrimonio. Il matrimonio può essere stabile oppure può esigere una continua negoziazione e rinegoziazione tra le persone che si chiedono se vogliono stare insieme o se voglio stare con altre. Questo richiede delle competenze molto più precise da parte di chi si occupa di consulenza e ricerca e selezione del personale e di gestione delle Risorse Umane.
L.C.: […] in questo momento c’è la necessità di rendere compatibili nel continuo i progetti. […] C’è un onere ben maggiore delle persone di fare dei progetti di vita. Saranno sempre più dei professionisti in questo senso, anziché dei dipendenti! Da parte dell’azienda c’è il compito, che è più complesso, di legare queste progettualità individuali con il progetto dell’azienda perché l’azienda è una realtà che esiste in quanto realizza dei progetti e li realizza con le risorse. Senza persone non si va da nessuna parte.
M.C.: l’eccellenza di una prestazione in questo momento diventa molto più importante che in passato. La natura della professionalità è cambiata.
L.C.: Anche perché ora devi venderla non una tantum a un’azienda che poi ti tiene per tutta la vita, ma sei costretto a metterla in vendita continuamente. Devi continuamente rinegoziare con le aziende, che magari nel frattempo sono cambiate. è un continuo negoziare, un continuo rinegoziarsi come persona nel mercato del lavoro.
L.C.: è esattamente il contrario di quello a cui vuoi arrivare. Più la situazione diventa precaria, più la persona deve investire sulla sua professionalità, indipendentemente da dove la esercita.
M.C.: Chi non investe è perduto. Capisci? Prima esistevano più garanzie, oggi il giovane lavoratore che si affaccia sul mercato del lavoro ha sempre meno sicurezze. Questo è il motivo per cui oggi più di ogni altro momento storico è necessario crearsi un’identità lavorativa ancora più salda e investirvi ancora di più.
L.C.: Una volta una segretaria veniva assunta in un’azienda per tutta la vita mentre adesso si troverà nella sua vita professionale a doversi confrontare con situazioni sempre diverse. Se l’azienda in cui lavora fallisce o viene venduta o viene spostata o lei stessa viene licenziata, è chiamata a rinegoziare la sua professionalità in un contesto diverso. Quindi, in prospettiva, è una continua rinegoziazione della propria professionalità che è tipica dei professionisti più che dei dipendenti. Essere dipendenti vuol dire legarsi in maniera stabile. Essere professionisti è il contrario. Dobbiamo cominciare a ragionare nell’ottica del professionista, non del dipendente. […] Bisogna sapersi identificare con i progetti che di volta in volta le aziende fanno e fanno al meglio. Bisogna di volta in volta identificare i vari progetti con il proprio livello di professionalità, il che significa elasticità da parte delle persone. Questo è il discorso della flessibilità. […] La stabilità non deve essere pensata in relazione al posto di lavoro, ma in relazione alla persona.
Queste parole esprimono bene, da un lato, l’importanza e la centralità date alla persona-risorsa, nonché uno spostamento interessante nel modo di intenderne il valore (da dipendente a professionista) e, dall’altro, un’importanza e una centralità che hanno però corrispondenza diretta con l'”onere” della flessibilità e della volubilità degli scenari d’impresa, ai quali il professionista non più dipendente deve far fronte.
La problematica della responsabilità dell’agire innovativo interviene a questo proposito nella dinamica che si instaura tra il contenuto ideologico che sta alla base della filosofia delle Risorse Umane, tesa ad una rivalutazione inedita della persona nella storia del management aziendale, e il contesto pratico nel quale tali risorse sono impiegate e fatte circolare nell’attuale panorama economico.
Credo che il continuo negoziare e rinegoziare competenze, abilità e potenzialità all’interno di un mercato del lavoro concepito come ambito mutevole di compravendita di ruoli sempre più specializzati e carriere sempre più personalizzate sia un modo non ancora completamente maturo di interpretare e vivere la vita lavorativa in Italia, oggi, a causa di un differente approccio, legato per esempio ad esigenze di stabilità.
L’ideologia del lavoro descritta dalle parole dei cacciatori di teste incarna una concezione fluida, volubile ed elastica della relazione tra le parti, impresa e individuo, e questa rappresentazione, come loro stessi hanno affermato, non ha ancora trovato ampia diffusione nella maniera comune di giudicare ed intendere il proprio ruolo produttivo e la propria vita lavorativa. L’idea di conciliazione, fidelizzazione e comunione tra Risorsa Umana e impresa, inoltre, rischia di essere invalidata in un momento di rielaborazione delle modalità di gestione dell’offerta di lavoro come quello attuale, dove la domanda, meno bisognosa, detiene, in molti casi, un potere decisionale ed impositivo più influente.
Alla luce di questi aspetti, le realtà aziendali dovrebbero essere chiamate ad interrogarsi sul tipo di responsabilità da assumersi nei confronti di una delle più importanti innovazioni introdotte in campo imprenditoriale e nella filosofia manageriale negli ultimi cinquant’anni: l’idea del valore umano delle persone-risorse d’impresa.
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Giuditta Brasca
è nata a Tradate nel 1984. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Siena, con una tesi in Antropologia Economica dal titolo “Cacciatori di teste. Elementi del valore economico della persona nella pratica di ricerca e selezione del personale”. Attualmente lavora in un progetto di ricerca etnografica su memorie, comunità e tradizioni intorno all’economia ed alle imprese della Valle Olona. (torna su)
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(fotografia: New Office di Phillie Casablanca da Flickr )