Cinquant’anni fa in Europa veniva messa in commercio la pillola anticoncezionale, disponibile già dal 1960 negli Stati Uniti. In occasione dell’anniversario, la Yale University Press ha ripubblicato, con alcuni aggiornamenti, il saggio Sexual chemistry, a history of the contraceptive pill, scritto da Lara Marks, esperta di storia della medicina della Open University e dell’Università di Cambridge, ed edito per la prima volta nel 2001. Ripercorrendo la storia di come il farmaco fu concepito e dei dibattiti che accompagnarono la sua messa in commercio, il testo mette in luce diversi aspetti che toccano da vicino il rapporto fra innovazione e responsabilità in un settore – quello della medicina – in cui la stima preliminare dei costi e dei benefici da parte di organismi terzi rispetto all’industria è prevista dalla legge e può determinare la bocciatura di una nuova terapia prima che questa venga sottoposta al vaglio del mercato.
Come però emerge dal libro, lo sviluppo della pillola e le decisioni sulla sua messa in commercio ebbero luogo in un’epoca in cui le regole per la valutazione dei farmaci, così come quelle che pongono oggi giusti limiti alle sperimentazioni, non erano ancora pienamente codificate. E tuttavia, pur in assenza di norme specifiche, a coloro che contribuirono all’impresa va riconosciuta una sensibilità particolare nei confronti del tema della responsabilità, che a tratti sembra quasi contrapporsi alle forti motivazioni personali, e che deriva certamente anche da una peculiarità del farmaco che difficilmente poteva essere ignorata: la pillola, infatti, e aveva l’obiettivo di prevenire una condizione – la gravidanza – che non è una malattia. In più, era pensata per donne sane, che per evitare una “non malattia” si esponevano al rischio di effetti collaterali. In un certo senso, nota Lara Marks, la pillola anticoncezionale è stato il primo farmaco lifestyle, e mai prima di allora la ricerca medica e le autorità preposte all’approvazione dei medicinali si erano trovate di fronte a una medicina con queste caratteristiche. Così, se tralasciamo il dibattito sociologico e religioso (ai quali peraltro il libro dedica ampi spazi), è questo il dilemma più sconcertante che dovettero affrontare i protagonisti di questa storia.
Le discussioni che accompagnarono la messa a punto delle sperimentazioni su larga scala, così come la decisione della Food and Drug Administration (FDA, l’ente che controlla il mercato dei farmaci negli Usa) di dare il via libera alla commercializzazione, non risolsero pienamente la questione. Il farmaco infatti fu approvato basandosi sul fatto che doveva servire per distanziare le nascite e preservare così la salute della donna, che sarebbe stata altrimenti compromessa da maternità ripetute e vicine nel tempo. Difficilmente però una motivazione analoga oggi sarebbe sufficiente e, del resto, non lo era neppure per alcuni di coloro che parteciparono alle sperimentazioni (per esempio, il ginecologo cattolico John Rock, che più tardi difenderà la pillola dagli attacchi della Chiesa, sostenne che il farmaco poteva porre rimedio alla crescita della popolazione mondiale che tanto preoccupava l’opinione pubblica fra gli anni ’50 e ’60). Forse anche per questo, negli anni immediatamente successivi alla messa in commercio, coloro che avevano sviluppato il medicinale furono accusati di aver usato le donne come cavie. L’evoluzione del dibattito, comunque, contribuì alla definizione di criteri più stringenti per i protocolli sperimentali, che, uniti alla messa a punto di metodi più precisi per giudicare l’utilità di un farmaco, rappresentano una delle eredità più preziose che ci ha lasciato l’intera vicenda.
Non è l’unica. Dopo la commercializzazione, per qualche tempo i dubbi sulla pillola furono messi a tacere dall’enorme successo sul mercato, che sorprese le stesse aziende farmaceutiche (che peraltro attuarono strategie di marketing innovative, rivolgendosi per la prima volta direttamente alle utilizzatrici finali, e non più solo ai medici). Le cifre, esposte nel libro di Lara Marks, sono a questo riguardo molto eloquenti: all’inizio degli anni ’60 la pillola era già usata dal 27 per cento delle statunitensi sposate e 10 anni più tardi la quota era salita al 34 per cento. Alla fine degli anni ’60, inoltre, più della metà delle donne statunitensi aveva provato il farmaco almeno una volta.
Le perplessità però riemersero quando iniziarono a farsi avanti dubbi sulla sicurezza, sulla scorta di studi che iniziavano a collegarla a casi di trombosi. Un caso era riportato su Lancet già nel 1961 mentre a partire da quell’anno la FDA aveva iniziato a ricevere comunicazioni in questo senso. Il rischio di trombosi emerse però con maggiore chiarezza negli anni che seguirono, anche in seguito a studi ad hoc che permisero di accertare che a porre i problemi maggiori erano le pillole con un elevato contenuto di estrogeni, poi ritirate dal commercio. Ben presto della faccenda iniziarono a occuparsi anche i media, che in quegli anni erano particolarmente sensibili al tema della sicurezza dei farmaci, per via della vicenda della talidomide, ritirata dal mercato nel 1961 per i gravi effetti teratogeni osservati nei neonati di madri che avevano assunto la molecola durante la gravidanza. Ad accusare la pillola contribuirono articoli apparsi su quotidiani inglesi e statunitensi, diverse trasmissioni televisive e alcuni libri (fra questi, particolare risonanza ebbe il saggio della giornalista americana Barbara Seaman, The doctor’s case against the pill). Il risultato fu che fra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 la percentuale di donne che assumevano il farmaco negli Usa e in Gran Bretagna diminuì (ma lo stesso fenomeno non si è osservato ovunque, e Paesi come l’Olanda ne sono stati completamente immuni). E parallelamente, si modificarono anche le caratteristiche sociodemografiche di chi si affidava alla pillola: se nei primi anni la contraccezione ormonale si era diffusa soprattutto fra le donne più istruite e più in là con gli anni, ora l’età media e il livello di istruzione delle pazienti-tipo tendevano entrambi a diminuire.
Il dibattito che seguì la messa in commercio della pillola ci lasca però un’altra eredità importante, che peraltro deriva anche dalla tragica vicenda della talidomide: si iniziarono infatti a definire i protocolli per la sorveglianza epidemiologica che segue la messa in commercio delle medicine (la farmacovigilanza) e che oggi monitora gli effetti avversi che le sperimentazioni preliminari non possono osservare, perché si manifestano a distanza di molti anni dall’assunzione del farmaco oppure perché sono talmente rari che solo la diffusione su larga del medicinale permette di rilevare.
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